Il concetto di omeostasi

In questo post daremo una descrizione canonica del concetto di omeostasi per poi proporre alcune riflessioni sui cicli che si possono sviluppare in un sistema omeostatico. Questo breve scritto é finalizzato a dare un’interpretazione dell’assimilazione (Piaget) in termini di omeostasi.1 2

L’omeostasi è la tendenza tipica dei viventi a mantenere inalterate le proprie condizioni interne rispondendo alle perturbazioni provenienti dall’esterno. È famosa l’espressione con cui nell’ottocento Claude Bernarde ne sintetizza il significato: “fixité du milieu intérieur”. In Italiano traduciamo con “stabilità del mezzo interno”, dove “mezzo” ha il significato di matrice o sostanza. La parola precisa “omeostasi” è stata coniata da Walter Cannon nel 1929. Omeo- significa “simile”, mentre stasi si riferisce all’azione dello stare. L’omeostasi è una sorta di “stare nello stesso posto”. L’uso del prefisso omeo- (simile) anziché omo- (stesso) evidenzia come nell’omeostasi non vi sia una fissità esatta dei parametri che identificano lo stato del sistema in esame, quanto piuttosto una fascia di valori all’interno del quale il sistema fluttua rimanendo funzionante.3

La temperatura corporea, la pressione arteriosa, la concentrazione di zuccheri nel sangue sono esempi di variabili che nell’organismo sono sottoposte a regolazione omeostatica. La sete ha una funziona omeostatica nello spingerci ad assumere liquidi per integrare quelli persi. Al livello cellulare l’omeostasi è quell’insieme di processi con cui si mantengono costanti le concentrazioni di certi elementi chimici all’interno della membrana cellulare.

L’omeostasi è un concetto che ha una possibilità di applicazione molto vasta. Diverse possono essere le variabili soggette a regolazione. Dalla composizione del liquido intracellulare si può andare, spostandosi nel campo dell’ecologia, all’equilibrio fra predatori e prede in un ambiente naturale. La concezione dell’intero pianeta come un organismo che mantiene il proprio equilibrio va sotto il nome di Gaia, ed è un altro esempio di omeostasi.4 Da un punto di vista ingegneristico possiamo ricordare l’esempio del riscaldamento di una casa, in cui le temperature rilevate dal termometro provocano l’accensione e lo spegnimento della caldaia per mantenere costante la temperatura, compensando gli scambi di calore fra la casa e l’ambiente esterno. Una situazione simile è quella della vasca di un impianto elettro-galvanico in cui il Ph (il grado di acidità) della soluzione deve rimanere all’interno di un certo range desiderato. Il sensore del Ph è allora collegato all’attivazione di due pompe distinte, una che aggiunge (ad esempio) acido solforico alla soluzione per abbassare il Ph, e l’altra che aggiunge soda per alzarlo.

Nel caso dell’impianto galvanico o del riscaldamento della casa la situazione si riduce ad un set ridottissimo di variabili. Abbiamo come input la temperatura ed il Ph, e come output l’azionamento della caldaia e delle due pompe chimiche. Nel caso invece degli organismi viventi abbiamo una molteplicità di valori regolati omeo-staticamente a diverse scale di grandezza, dalla cellula fino al corpo nella sua interezza. Possiamo parlare di omeostasi per descrivere ciò che accade nel riscaldamento di una casa o nella regolazione di un bagno chimico, ma dobbiamo aver ben presente che nel caso dell’organismo vivente siamo di fronte ad una enorme complessità del sistema e all’interazione reciproca di un numero smisurato di processi.

I CICLI PRODOTTI DALL’OMEOSTASI

L’omeostasi implica che si generino continuamente dei percorsi di ritorno all’equilibrio ogni volta che il sistema è stato spostato da tale equilibrio a causa di una perturbazione esterna. Assistiamo dunque ad incessanti viaggi che il sistema compie nel suo spazio delle fasi (la mappa, per così dire, dei possibili stati in cui il sistema si può trovare). Questi viaggi possono presentarsi come una serie di percorsi chiusi5 ogni volta diversi,6 interpretabili come una serie di anelli.7 In tal caso potremmo dire che ognuno di questi anelli consiste in una ripetizione caratterizzata da una certa specifica differenza, consistente nel particolare percorso di ciascun anello.

Quello di cui sto parlando non è un legame formale esatto fra il sussistere di un’omeostasi ed il verificarsi di cicli. Ciò che mi interessa notare qualitativamente è come il sussistere di un’omeostasi possa dar luogo a fenomeni che visti dall’esterno corrispondono ad una ripetizione di cicli, e dunque ad un’alternanza. Questo modo di intendere l’omeostasi è finalizzato all’interpretazione dell’assimilazione e del gioco nella teoria dello psicologo svizzero Jean Piaget, come vedremo meglio in un post successivo.

I cicli prodotti dall’omeostasi nello spazio delle fasi

1 http://www.treccani.it/enciclopedia/omeostasi/

2 Antonio Damasio, Hanna Damasio (2016) Exploring the concept of homeostasis and considering its implications for economics, Journal of Economic Behavior & Organization, Volume 126, Part B, 2016, Pages 125-129, ISSN 0167-2681, https://doi.org/10.1016/j.jebo.2015.12.003.

3 L’omeostasi è un idea che si adatta bene all’habitat concettuale idealista. Sembra in grado di far sussistere una stabilità a partire da radici che arrivano umili, molteplici e sfumate da molto, molto lontano. Il luogo dove si perde la loro origine è forse l’inafferrabile cosa in sé?

4 https://www.britannica.com/science/homeostasis

5 Si può dare il caso in cui i due percorsi si sovrappongano e che dunque sia più opportuno parlare di un oscillazione avanti ed indietro anziché di un percorso chiuso. Ma io sto pensando al caso in cui il sistema sia concreto ed abbastanza complesso da variare continuamente e rendere pressoché impossibile un semplice andare avanti e indietro, che corrisponderebbe al permanere immutate di tutte le altre variabili del sistema a parte quella sottoposta a controllo omeostatico.

6 Dipende ovviamente dal tipo di sistema concreto e dalle variabili che prendiamo in esame.

7 Al fine di evitare confusione, faccio notare che i disegni a forma di anello che si trovano facilmente in connessione al concetto di omeostasi si riferiscono solitamente alle sequenze causali fra i diversi elementi del sistema, e non ai percorsi seguiti dal sistema nello spazio delle fasi, che è ciò di cui sto parlando in questo articolo.

JACQUES MONOD: IL CASO E LA NECESSITÀ

RIFLESSIONI SUI CONCETTI PRINCIPALI DEL LIBRO DI JACQUES MONOD: IL CASO E LA NECESSITÀ.[1]

LE TRE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEI VIVENTI
LA DIFFERENZA FRA TELEONOMIA ED INVARIANZA
LA STRUTTURA DELLE PROTEINE
IL CASO
LA NECESSITÀ NEL DISCORSO SELEZIONISTA
IL BISOGNO DI SPIEGAZIONI
IL CONFLITTO FRA LA SCIENZA E LE SPIEGAZIONI
CONCLUSIONI: VERITÀ O VOLONTÀ?
NOTA BIOGRAFICA

LE TRE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEI VIVENTI

Jacques Monod - foto

Jacques Monod

Jacques Monod inizia questo libro proponendosi di stabilire come distinguere gli oggetti naturali dagli oggetti artificiali prodotti da una creatura intelligente. Inizialmente prende in considerazione la regolarità e la ripetizione come proprietà tipiche degli oggetti artificiali, ma finisce per constatare che questi criteri strutturali non sono adeguati allo scopo, in quanto presenti anche negli esseri viventi (i quali sono considerati come oggetti naturali), oltre che nei cristalli e nei prodotti di alcuni animali, come ad esempio i favi delle api.

Successivamente Monod sposta l’attenzione sulla definizione di alcune proprietà di carattere diacronico[2] che consentono di individuare in modo oggettivo gli esseri viventi. La prima caratteristica fondamentale dei viventi, a cui viene dato il nome di teleonomia,[3] è che sono oggetti dotati di un progetto. Questa proprietà non è però sufficiente da sola a distinguere gli esseri viventi dagli oggetti artificiali, in quanto anche questi ultimi sono dotati di un progetto.
Il passaggio successivo consiste nell’osservare che, mentre la costruzione degli oggetti artificiali avviene principalmente per mezzo dell’azione di agenti esterni, gli esseri viventi si costruiscono da sé. Questa proprietà viene chiamata morfogenesi autonoma.[4]
La terza caratteristica degli esseri viventi è costituita dal “potere di riprodurre e di trasmettere l’informazione corrispondente alla loro struttura”[5] e viene denominata riproduzione invariante, o semplicemente invarianza. Essa si riferisce chiaramente al DNA che i viventi si tramandano di generazione in generazione.

LA DIFFERENZA FRA TELEONOMIA ED INVARIANZA

Riflettendoci, viene la tentazione di considerare la teleonomia come un sottinteso dell’invarianza e di ritenere il progetto teleonomico equivalente all’informazione trasmessa col DNA, la quale è denominata “contenuto di invarianza”.[6] Ma quando si parla di teleonomia il progetto che ha in mente Monod non è il codice sorgente del DNA, bensì il fatto che le varie parti del corpo sono strutturate in funzione di uno scopo: le gambe sono costruite per camminare, le ali per volare, e l’occhio per captare immagini.[7] Con il concetto di progetto teleonomico ci si riferisce all’insieme delle prestazioni tipiche del vivente compiuto, “che si possono considerare come aspetti o frammenti di un unico progetto primitivo, cioè la conservazione e la moltiplicazione della specie.”[8]

Per rimarcare la differenza fra questi due concetti, Monod porta ad esempio il confronto fra l’uomo ed il topo: per quanto riguarda l’invarianza notiamo che il DNA di questi due esseri viventi ha dimensioni e contenuto molto simili, mentre per quanto riguarda l’aspetto teleonomico osserviamo che molte prestazioni dell’uomo sono inesistenti nel topo, e si pongono su di un livello qualitativo completamente differente. Il fatto che il topo e l’uomo abbiano un contenuto di invarianza molto simile ma prestazioni teleonomiche molto differenti indica che l’invarianza e la teleonomia costituiscono due caratteristiche ben distinte.

A questa osservazione di Monod si potrebbe obiettare che l’insieme delle prestazioni teleonomiche del vivente è già dettagliatamente descritta nel codice sorgente del DNA, e che dunque anche la differenza fra le prestazioni deve per forza di cose essere già inclusa nel DNA.[9] Se guardando l’uomo ed il topo vediamo due DNA molto simili e due corpi dalle prestazioni molto differenti, forse è per via del fatto che non siamo in grado di apprezzare a sufficienza la portata delle differenze presenti nel DNA umano rispetto al topo, o forse perché sovrastimiamo la differenza fra l’uomo ed il topo, che si ridimensiona se li mettiamo entrambi a paragone con il mondo inorganico.

Ciò che è evidente è che esiste una trasformazione esatta la quale dal DNA conduce al corpo, e che nel corso di questa trasformazione certe differenze vengono amplificate, almeno dal punto di vista della capacità osservativa umana. Non disponiamo ancora di un linguaggio formale per descrivere significativamente il DNA, l’insieme delle prestazioni del corpo e la trasformazione che li lega, ma in una certa misura possiamo considerare il progetto teleonomico come il risultato di una trasformazione che ha come input il contenuto di invarianza del DNA. Ciò sembrerebbe richiedere un ulteriore esame per esplicitare meglio le relazioni fra questi due concetti che possono essere considerati distinti ma non indipendenti.

Un altro argomento che Monod utilizza per sostenere la distinzione fra invarianza e teleonomia è che tale distinzione corrisponde a quella fra le due classi principali di macromolecole presenti nelle cellule. Infatti l’invarianza si realizza per mezzo degli acidi nucleici che compongono il DNA,[10] mentre la realizzazione delle strutture corporee che consentono le prestazioni del progetto teleonomico avviene per mezzo delle proteine.[11]

LA STRUTTURA DELLE PROTEINE

Esistono proteine filamentose e proteine globulari. Queste ultime sono le più importanti per il funzionamento dell’organismo, e sono costituite da una catena di amminoacidi che si ripiega spontaneamente su sé stessa a formare un gomitolo dalla struttura molto precisa.[12]

I legami fra gli atomi si dividono in legami covalenti e legami non covalenti. I primi sono quelli in cui due atomi mettono in comune un elettrone che con i suoi percorsi li avvolge entrambi, mentre i secondi sono quelli dove ogni elettrone rimane a percorrere orbite limitate al proprio atomo. Il legame non covalente è molto più debole di quello covalente, di circa dieci volte;[13] per via di tale debolezza, il legame non covalente può sussistere solo quando gli atomi che si legano si trovano ad una distanza molto bassa.
I legami covalenti sono quelli che tengono insieme gli anelli della proteina, mentre i legami non covalenti sono quelli disposti “lungo il bordo della catena proteica”; sono questi ultimi quelli che determinano il modo esatto in cui la proteina si ripiega.

Immaginatevi ora la superficie di una proteina una volta che si è ripiegata nella sua forma definitiva. Su tale superficie, ricca di creste e avvallamenti, ci sono atomi predisposti a formare legami non covalenti, ma perché questo accada sarà necessario che la proteina incontri un’altra proteina con una superficie combaciante con la propria, in modo che gli atomi sul fondo delle proprie valli possano essere vicini agli atomi che si trovano sulle creste dell’altra proteina, e viceversa.

La debolezze dei legami non covalenti fa sì che due proteine riescano a legarsi solo quando le loro superfici si accoppiano in modo preciso, e le rende così capaci di riconoscersi in base alla forma. Possiamo esprimere questo concetto dicendo che le proteine hanno un comportamento stereospecifico.[14]

La conseguenza è che all’interno di un ambiente in cui sono presenti miriadi di composti chimici è possibile che una proteina formi dei legami soltanto con certe altre proteine di tipo ben preciso. Ciò rende fattibile la coesistenza di innumerevoli processi chimici fra loro indipendenti, il che è un presupposto importante per l’esistenza di una cellula altamente organizzata.

jacques monod - il caso e la necessità

jacques monod – il caso e la necessità

IL CASO

Dopo aver dedicato ampio spazio alle notevoli caratteristiche delle proteine, Monod ci fa notare che la sequenza degli amminoacidi che formano una proteina è del tutto casuale, nel senso che “conoscendo esattamente l’ordine di centonovantanove residui in una proteina che ne comprende duecento, è impossibile formulare una regola, teorica o empirica, che consenta di prevedere la natura del solo residuo non ancora identificato.”[15]

Le mutazioni che nel corso del tempo hanno portato il DNA di ogni specie allo stato attuale sono essenzialmente casuali, sia perché derivano dal confluire di avvenimenti molecolari tra loro indipendenti, sia perché la mutazione è un avvenimento dai caratteri quantistici e quindi è intrinsecamente imprevedibile per via del principio di indeterminazione.[16] [17]

Nella concezione di Monod il ruolo del caso è molto rilevante non solo per quanto riguarda la formazione del DNA e quindi delle proteine in esso codificate, ma anche per quanto riguarda l’origine della vita e l’esistenza stessa della biosfera: “Secondo la tesi che presenterò qui, la biosfera non contiene una classe prevedibile di oggetti o di fenomeni, ma costituisce un evento particolare, certamente compatibile con i primi principi, ma non deducibile da essi e quindi essenzialmente imprevedibile.”[18] [19]

LA NECESSITÀ NEL DISCORSO SELEZIONISTA

Tutto il ragionamente di Jacques Monod è inscritto in una concezione selezionista: “…si tratta dell’idea darwiniana che la comparsa, l’evoluzione e il progressivo affinamento di strutture sempre più fortemente teleonomiche sono dovuti al sopraggiungere di perturbazioni in una struttura già dotata della propria invarianza, e quindi capace di conservare il caso e di subordinarne gli effetti al gioco della selezione naturale.”[20] [21]
Il termine necessità assume una funzione precisa nel discorso selezionista di Monod là dove viene riferito alla raffinata e precisa organizzazione a livello molecolare destinata a garantire la riproduzione di un’informazione genetica identica all’originale. Potremmo dire che tale necessità, riproducendo per sempre ciò che è avvenuto una volta per caso, è il mezzo grazie al quale il caso diviene la sorgente da cui si possono sviluppare strutture altamente organizzate come i viventi.[22]

Monod specifica come la giusta interpretazione del selezionismo non sia quella di una lotta per la vita; la normale azione del selezionismo non è tanto l’eliminazione dei più deboli, quanto la promozione degli individui che all’interno della specie si riproducono maggiormente.[23] [24] Per quanto riguarda l’uomo però, a partire da quando si è raggiunto un livello di evoluzione tale da dominare l’ambiente circostante, si è creato il presupposto per la lotta fra gruppi distinti all’interno della specie: la guerra.[25]

Un’altra precisazione di Monod è che la selezione non proviene soltanto dall’ambiente esterno, ma è fortemente condizionata anche dalle precedenti scelte evolutive della specie oltre che dalle sue strutture e prestazioni specifiche.[26] In particolare, la notevole autonomia dell’uomo rispetto all’ambiente ha fatto sì che nel suo caso il comportamento orientasse la selezione più che negli altri esseri viventi.

jacques monod - citazione

jacques monod – citazione

IL BISOGNO DI SPIEGAZIONI

Monod osserva che per un tempo lunghissimo dell’evoluzione umana la forte integrazione nel gruppo sociale è stata un carattere premiante, e che quindi ci deve essere stata una selezione in grado di promuovere la coesione sociale. Monod è convinto che ci siano dei caratteri genetici che determinano l’angoscia esistenziale, la quale costringe l’uomo a cercare il significato dell’esistenza creando miti e storie. Questi si pongono a fondamento della legge che garantisce il funzionamento e l’unità del corpo sociale. “Come spiegare”, altrimenti, “l’universalità nella nostra specie del fenomeno religioso su cui si basa la struttura sociale?”.

A questa dinamica sarebbero riconducibili tutte quelle visioni del mondo che Monod cataloga come animistiche, le quali spiegano l’intero percorso evolutivo del cosmo riconducendolo a un progetto complessivo in cui l’uomo ha un posto d’onore. In questa categoria troviamo “tutte le religioni, quasi tutte le filosofie, perfino una parte della scienza, che sono testimoni dell’instancabile, eroico sforzo dell’umanità che nega disperatamente la propria contingenza.”[27] In quest’ottica, un’attenzione particolare è data da Monod al materialismo dialettico,[28] che viene riassunto all’incirca nei termini che seguono.[29]

Secondo il materialismo dialettico c’è un solo principio che governa l’evoluzione del mondo intero, che si tratti della materia o dello spirito. Dunque, visto che lo spirito è accessibile alla nostra introspezione, noi possiamo osservare come esso si comporta e poi dire che il mondo si comporta allo stesso modo.[30] Kant, in precedenza, ha ritenuto di dover compiere un’analisi dello strumento con cui l’uomo indaga il mondo: la ragione. Ciò però non va d’accordo con il materialismo dialettico, secondo il quale lo spirito è intimamente connesso al mondo materiale: l’analisi di Kant implica che la ragione abbia dei limiti e che essa non sia “lo specchio perfetto”[31] di ciò che accade nel mondo.
L’idea di un’analisi della ragione si accorda invece con l’esistenza di un sistema nervoso che elabora i dati dei sensi prima di presentarli alla mente. Monod sottolinea che inizialmente l’idea di una critica della ragione era stata propria solo dei filosofi, mentre in seguito questa esigenza iniziò ad essere sentita anche dagli uomini di scienza, nella fase immediatamente precedente l’avvento della teoria della relatività e della meccanica quantistica.

IL CONFLITTO FRA LA SCIENZA E LE SPIEGAZIONI

Il fondamento della scienza, secondo Monod, è il principio di oggettività, che viene fatto risalire a Galileo e Cartesio e coincide con l’assenza di un progetto che governa il divenire del mondo materiale e degli esseri viventi.[32] [33] Questo fa sì che la scienza non possa accettare le storie che raccontano il divenire del cosmo riconducendolo ad un progetto universale assegnando un posto di rilievo agli esseri viventi e all’uomo in particolare.

Alla sua comparsa l’evoluzionismo lasciava una possibilità di mantenere una visione antropocentrica nel pensare l’uomo come erede ultimo e necessario del processo evolutivo, ma a partire dalla seconda metà del novecento questo non sarebbe più possibile, in quanto una ipotetica teoria universale potrebbe prevedere la possibilità degli esseri viventi ma non la loro necessità.

Il problema centrale che oggi ci troviamo di fronte è che la scienza su cui la nostra società è basata entra in conflitto con i nostri sistemi di valori, nel senso che distrugge le storie[34] che li giustificano:
“È vero che la scienza attenta ai valori. Non direttamente, poiché essa non ne è giudice e deve ignorarli; però essa distrugge tutte le ontogenie mitiche o filosofiche su cui la tradizione animistica, dagli aborigeni australiani ai dialettici materialistici, ha fondato i valori, la morale, i doveri, i diritti, le interdizioni.”[35]

Si evidenzia dunque una netta distinzione fra il discorso dei valori, l’etica, e il discorso della conoscenza. Noi perseguiamo dei valori il cui fondamento è negato dai tratti distintivi di una conoscenza di cui non possiamo fare a meno. Con queste premesse si possono impostare dei discorsi autentici soltanto tenendo chiara ed esplicita la distinzione fra il campo dell’etica e quello della conoscenza.[36]
Per eliminare alla radice il problema, Monod propone di adottare un’etica che ponga il raggiungimento della conoscenza oggettiva come obiettivo ultimo: “Essa impone istituzioni votate alla difesa, all’ampliamento, all’arricchimento del Regno trascendente delle idee, della conoscenza, della creazione.”[37]
Dando uno sguardo utopico verso il futuro, trovo possibile intravedere un progresso in cui, una volta risolte le necessità più stringenti del corpo, il sapere diventi il cibo più raffinato con cui formare lo spirito, ma personalmente non condivido l’idea di un’etica della conoscenza così come è stata impostata da Monod. Benché l’acquisizione del sapere sia un importante momento di formazione dello spirito, il sapere mantiene anche una ineliminabile dimensione strumentale, e mi risulta difficile porlo come unico fondamento di un’etica.[38]

CONCLUSIONI: VERITÀ O VOLONTÀ?

Questo libro è un discorso che ruota attorno alla natura degli esseri viventi: prende in esame le loro caratteristiche distintive ed il processo selezionista da cui si sono originati. Tale processo è caratterizzato dall’azione congiunta del caso e della necessità che Monod mette in luce con un esame dettagliato delle strutture cellulari fondamentali: le proteine globulari e il sistema del DNA.
L’esame degli esseri viventi viene condotto sottolineando il rispetto del metodo scientifico, il quale presuppone l’assenza di un disegno predefinito che governa l’evoluzione del cosmo. Il metodo scientifico stesso diviene oggetto del discorso là dove se ne prende in esame la compatibilità con le credenze dell’uomo, le quali sono da considerarsi influenzate dalla storia evolutiva dell’uomo stesso.

Monod ha uno stile scorrevole e fornisce informazioni scientifiche e interpretazioni di grande interesse, ma forse la sua argomentazione non è abbastanza precisa e puntuale per poter dire che abbia sviluppato una teoria solida come sarebbe stato lecito aspettarsi.

Personalmente mi trovo d’accordo con Jacques Monod là dove critica i facili antropocentrismi promossi dal marketing popolare delle concezioni animistiche che garantiscono l’illusione di un paradiso in cambio di una mano alzata, ma penso che l’alternativa non stia tanto nella ricerca della verità (a cui l’etica della conoscenza di Monod assomiglia molto), quanto nell’esercizio della volontà.

Se mettiamo la conoscenza oggettiva dinanzi a tutto, non è difficile immaginarsi creature naturali o artificiali in grado di soppiantare l’uomo. Il regno della conoscenza oggettiva non offre garanzie per la creatura uomo,[39] e ci rendiamo conto che se vogliamo un umanesimo dobbiamo costruircelo. L’umanesimo non è gratis, e l’uomo non può semplicemente credere nell’uomo: l’uomo deve volere l’uomo.[40]

NOTA BIOGRAFICA

Jacques Monod

Jacques Monod nasce a Parigi nel 1910 da una famiglia protestante. Il padre è ammiratore di Darwin e appassionato di musica. A metà degli anni trenta passa un anno al California Institute of Technology di Pasadena. Al ritorno ha la tentazione di fare il musicista per professione, ma alla fine sceglie di essere biologo. Nel corso della II guerra mondiale partecipa alla resistenza contro i tedeschi. Dal 1953 è capo laboratorio all’Institut Pasteur. Nel 1965 raggiunge la popolarità grazie al Nobel per la medicina per le ricerche sulla regolazione cellulare. Nel 1970 pubblica “il caso e la necessità”. Muore nel 1976, 4 anni dopo la moglie.

 

 

Safe Creative #1207080641904

 

  1. [1]Monod, J. (1997) Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Milano, Mondadori, Oscar classici moderni. Titolo originale: Le hasard et la nécessité, 1970.
    Dove non è indicato diversamente, i riferimenti di pagina nelle note seguenti sono riferiti a quest’opera.
  2. [2]Questo aggettivo non è utilizzato da Monod.
  3. [3]Dal greco télos che significa scopo, e nomia, che indica governo: la teleonomia indica un organizzazione mirata allo scopo. Il termine teleonomia fu introdotto da Colin Pittendrigh nel 1958* per rendere disponibile un termine per indicare che un sistema è organizzato in modo da favorire il raggiungimento di un obiettivo, ma senza che tale obiettivo possa essere considerato la causa che ha dato origine all’organizzazione del sistema.
    La questione presenta delle sfumature più complesse di quanto non sembrerebbe a prima vista; Pittendrigh aveva proposto la parola teleonomia in opposizione alla teleologia di Aristotele, ma secondo Mayr** questa non è un’impostazione del tutto corretta.
    * Pittendrigh, C. S. (1958) Adaptation, Natural Selection and Behavior, in Behavior and Evolution, ed. Roe, a. Simpson, G. G. New Haven, Yale University Press, pp. 390–416; p. 394
    ** Mayr, E. (1965) Cause and Effect in Biology, in Lerner, D. Cause and effect. New York, Free Press, pp. 33–50
  4. [4]Morfogenesi: dal greco morphé=forma. In senso lato è il processo da cui si genera la forma. In embriologia è “l’insieme dei processi che portano al differenziamento dei tessuti e degli organi da elementi indifferenziati” (Enciclopedia Treccani)
  5. [5]Pag. 17
  6. [6]Pag. 18
  7. [7]“… sarebbe arbitrario e sterile voler negare che […] l’occhio, rappresenti la realizzazione di un progetto (quello di captare le immagini)” Pag. 14
  8. [8]Pag. 19
  9. [9]Potremmo forse più correttamente dire: “nel sistema DNA-cellula”, in modo da tener conto che il DNA è significativo solo se associato al proprio sistema di conversione in proteine.
  10. [10]Andrebbe però notato che l’invarianza può aver luogo solo in un processo dove la partecipazione delle proteine è indispensabile. Si potrebbe forse dire che ad essere strettamente legata agli acidi nucleici non è tanto l’invarianza, quanto il contenuto di invarianza.
  11. [11]C’è un ulteriore argomento che Monod porta in favore della distinzione fra invarianza e teleonomia: “Oggetti capaci di riproduzione invariante, ma sprovvisti di qualsiasi apparato teleonomico sono perlomeno concepibili: le strutture cristalline ne sono un esempio” (Pag. 21). Ma il fatto che i cristalli siano sprovvisti di qualsiasi apparato teleonomico è opinabile; è possibile infatti considerare la semplice sussistenza del corpo cristallino come una funzione teleonomica elementare, in quanto influenza la crescita del cristallo (e là dove non la influenza, allora l’informazione della struttura cristallina non può essere considerata come riprodotta, e dunque non c’è riproduzione invariante),
    D’altronde, dopo aver definito “l’unico progetto primitivo” come “la conservazione e la moltiplicazione della specie”(Pag. 19)*, affinché ci sia invarianza riproduttiva senza teleonomia serve che l’informazione corrispondente alla struttura venga riprodotta inizialmente senza poi dar luogo a nessun nuovo corpo, nemmeno alla semplice ulteriore copia di sé, altrimenti la prima copia dell’informazione potrebbe essere considerata il mezzo per giungere alla seconda e assumerebbe così una funzione teleonomica.
    Forse sarebbe meglio considerare come esempio, al posto del cristallo, una cellula rotta la quale non fa altro che riprodurre il proprio DNA mandandolo all’esterno; in questo modo potremmo dire che la cellula non ha funzione teleonomica perché la sua attività non porta alla creazione di altre cellule. L’importante in questo caso è però che il DNA rimanga considerabile come informazione della struttura cellulare pur non disponendo più della possibilità effettiva di essere proiettato in una nuova struttura cellulare. Ciò sembra collegato al modo in cui definiamo il concetto di informazione.
    *Dopo aver parlato dell’”unico progetto primitivo”, Monod riformula il progetto teleonomico essenziale come “la trasmissione da una generazione all’altra del contenuto di invarianza caratteristico della specie” (Pag. 19). In questo modo il concetto di teleonomia si sposta ulteriormente verso quello di invarianza.
  12. [12]Monod sottolinea che nel DNA è scritta la sequenza degli amminoacidi, mentre il modo in cui avviene il ripiegamento è una conseguenza automatica di tale sequenza e dell’ambiente in cui avvengono le reazioni.
  13. [13]“Con una certa semplificazione e precisando che si considerano qui solo reazioni in fase acquosa, si può ammettere che l’energia assorbita o liberata, in media, da una reazione in cui compaiono legami covalenti è dell’ordine di 5-20 kcal (per legame). In una reazione in cui compaiono solo legami non covalenti l’energia media varierebbe da 1 a 2 kcal.” Pag. 54
  14. [14]Stereospecifico: dal greco stereo che indica tridimensionalità. Si ricollega al fatto che i legami chimici in questione si formano in base alla configurazione tridimensionale delle proteine.
  15. [15]Pag. 90
  16. [16]Il principio di indeterminazione implica l’impossibilità di conoscere in modo completo lo stato in cui si trovano le particelle elementari, e di conseguenza rende impossibile prevedere in modo esatto la loro evoluzione.
  17. [17]Non sono un esperto della materia, ma mi risulta che, nonostante le mutazioni casuali rimangano il paradigma di riferimento per l’origine del DNA, non sia più possibile considerare come completamente casuali le sequenze di amminoacidi nelle proteine. Per approfondire:
    http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3296660/?tool=pubmed Tiessen, A. e Pérez-Rodriguez, P. e Delaye-Arredondo, L.J. (2012) Mathematical modeling and comparison of protein size distribution in different plant, animal, fungal and microbial species reveals a negative correlation between protein size and protein number, thus providing insight into the evolution of proteomes
  18. [18]Pag. 44
  19. [19]A riguardo dell’origine della vita, bisogna notare che Monod prendeva come punto di riferimento un primo essere vivente equivalente ad una cellula dotata già del DNA e del relativo sistema di traduzione costituito di proteine, come negli esseri viventi odierni. Ma a seguito di alcune scoperte, a partire dai primi anni ottanta ha preso sempre più consistenza l’ipotesi di un RNA-world iniziale in cui sia il codice genetico che il meccanismo di traduzione erano costituiti da strutture simili all’attuale RNA (che garantisce una minore fedeltà nel riprodurre l’informazione). Dunque nei primissimi viventi sarebbe stata assente la dicotomia fra acidi nucleici e proteine. Per approfondire:
    http://www.arn.org/docs/odesign/od171/rnaworld171.htm Mills, G.C. e Kenyon D. (1996) The RNA world: a Critique.
    http://www.ploscompbiol.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pcbi.1002024 Takeuchi, N. e Hogeweg, P. e Koonin, E.V. (2011) On the Origin of DNA Genomes: Evolution of the Division of Labor between Template and Catalyst in Model Replicator Systems.
  20. [20]Pag. 26
  21. [21]Per Monod il fatto che l’invarianza sia antecedente alla teleonomia è un punto decisivo* ed è ciò che rende il selezionismo adatto al discorso scientifico. Ma cosa succede se ci chiediamo da dove è originariamente venuta l’invarianza destinata ad accogliere il caso facendone un agente di costruzione? Il fatto di considerare la comparsa dell’invarianza come un eccezionale frutto del caso (l’atteggiamento spesso assunto da Monod) taglia la questione sul nascere, mentre l’individuazione di eventuali passaggi intermedi fra l’assenza del meccanismo di riproduzione invariante e la sua presenza potrebbe forse comportare la necessità di riformulare in modo più sfumato l’affermazione in base alla quale l’invarianza precede la teleonomia. Ad esempio ponendo come punto di partenza un meccanismo invariante più semplice che poi si è evoluto in quello attuale.
    * “…dell’unica ipotesi che la scienza moderna considera accettabile, cioè che l’invarianza precede di necessità la teleonomia.” Pag. 26
  22. [22]“Ancora oggi molte persone d’ingegno non riescono ad accettare e neppure a comprendere come la selezione, da sola, abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera. In effetti, la selezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo di necessità rigorose da cui il caso è bandito.” Pag. 110
  23. [23]Pag. 111
  24. [24]La selezione a livello macroscopico avviene comunque soltanto dopo che ogni mutazione ha dovuto sottostare ad una sorta di test d’ingresso che avviene a livello microscopico: “noi abbiamo, della potenza, della complessità e della coerenza della cibernetica intracellulare […] un’idea abbastanza chiara, un tempo sconosciuta, che ci consente di comprendere […] che ogni ‘novità’ sotto forma di alterazione di una struttura proteica, verrà innanzitutto saggiata riguardo la sua compatibilità con l’insieme di un sistema già assoggettato a innumerevoli vincoli che controllano l’esecuzione del progetto dell’organismo.” Pag. 111
  25. [25]Pag. 147
  26. [26]A tal riguardo Monod propone un’ipotesi interessante a riguardo dell’origine dell’intelligenza che distingue l’uomo dagli altri esseri animali. Monod ipotizza che la causa dell’aumento di volume del cervello umano sia stata l’acquisizione del linguaggio. Infatti, senza linguaggio non c’è un grande vantaggio nell’essere più intelligenti, mentre in presenza del linguaggio l’intelligenza maggiore conferisce un vantaggio rilevante. Pagg. 119 e seguenti.
  27. [27]Pag. 44
  28. [28]Monod è attratto dall’idea socialista, ma ritiene che questa debba sganciarsi dalla teoria marxista, verso cui assume una posizione molto critica.
  29. [29]A Monod non interessa una ricostruzione precisa della teoria di Engels e Marx, ma individuare “il significato che di essa rimane nello spirito dei suoi seguaci e che le attribuiscono gli epigoni”. (Pag 37). A maggior ragione il mio brevissimo riassunto non può che essere un’ulteriore semplificazione di tale teoria.
  30. [30]Almeno in una certa misura ciò significa, aggiungo io, negare l’alterità del mondo, la quale è scomoda al pensiero umano, e questo concorda con l’interpretazione del materialismo dialettico come visione consolatoria dell’animo umano.
  31. [31]Pag. 38
  32. [32]Da notare che ciò si pone in contraddizione con il fatto gli esseri viventi sono dotati di un progetto, Monod lo evidenzia (pag. 25), ma non è molto chiaro nell’affrontare la questione. In particolare non distingue in modo preciso fra un progetto chesemplicemente corrisponde alla struttura del divenire ed un progetto perseguito da una volontà attiva; tra una finalità debole ed una finalità forte.
  33. [33]Il postulato di oggettività è un concetto definito da Jacques Monod, e si pone in un ruolo simile al più noto principio di causalità.
  34. [34]“È facile rendersi conto che le ‘spiegazioni’ su cui si fonda la legge, placando così l’angoscia, sono tutte ‘storie’ o più esattamente ontogenie.” Pag. 153.
  35. [35]Pag. 157
  36. [36]Pag. 159
  37. [37]Pag. 163
  38. [38]Sono più prossimo a considerare la conoscenza come un valore derivato: partendo da un’assegnazione di valore allo spirito, il sapere deriva il suo valore dall’essere un arricchimento per lo spirito. E tale valore risulta spostato più verso il processo di acquisizione del sapere da parte dell’uomo (e quindi anche verso la forma in cui il sapere è definito) che verso il processo di accumulo di un sapere fine a sé stesso.
  39. [39]A proposito dell’etica della conoscenza, Monod dice che “essa è anche un umanesimo, poiché rispetta nell’uomo il creatore e il depositario di questa trascendenza”. (Pag. 163) Come si capisce da quanto ho scritto sopra, a me pare che questa garanzia di umanesimo sia piuttosto debole.
  40. [40]Cfr: “Non si può credere nell’uomo. Bisogna volere l’uomo.” Cappello, M. (2011) Aforismi di un futuro, Brescia, Manuel Cappello. Aforisma N°759 pag. 80