Emozioni, depressione e mania. Uno schema delle interazioni

Breve introduzione alla visione psicologica delle neuroscienze affettive.

Questo schizzo è una mia interpretazione semplificata della visione psicologica di Jaak Panksepp. Vi sono sette emozioni fondamentali, a ciascuna delle quali corrisponde una struttura biologica sottostante, delle strutture nervose e dei sistemi di interazione chimica. Non si tratta soltanto di costrutti di natura sociale.

 

Di queste strutture emotive, la piú antica e profonda è quella che in inglese si chiama SEEKING. Noi abbiamo scelto di indicarla con l’espressione italiana “voglia di fare”. Questo sistema emotivo è in stretta correlazione con il livello di attività generale dell’organismo. Quando il SEEKING/voglia di fare si trova in uno stato di patologica sovreccitazione, si è in presenza di una fase di mania. Quando, all’opposto, il SEEKING/voglia di fare è in uno stato cronico di bassa attività, allora si è in presenza di una fase depressiva.

I sistemi emotivi della paura, della rabbia, e della pena della solitudine hanno una valenza negativa, e la loro tendenza generale è quella di deprimere le attività del SEEKING/voglia di fare. In particolare, secondo Panksepp, è la pena della solitudine (in inglese GRIEF) che con la sua azione protratta può condurre all’instaurarsi di fenomeni depressivi.

I sistemi emotivi che hanno una valenza positiva sono invece l’eccitazione sessuale, la cura, ed il gioco. Quando si parla di gioco nell’ambito della teoria di Panksepp bisogna ricordare che ci si riferisce essenzialmente agli episodi di gioco di lotta che sono comuni a molti mammiferi, uomo incluso.

Caratteristico della visione di Panksepp è che la pena della solitudine, la cura ed il gioco siano il sostrato emotivo grazie al quale è possibile la concretizzazione di formazioni sociali nei mammiferi. Questo implica che la socialità umana non sia il frutto specifico della razionalità verbale, la quale riuscirebbe finalmente a porre ordine nel disordine degli istinti e delle passioni. Piuttosto la radice della socialità viene a trovarsi ad un livello pre-verbale e biologico. Ed in questo noi vediamo una nota di ottimismo per il futuro del nostro essere sociali.

Naturalmente questo breve post e questo schema costituiscono soltanto un approccio super-semplificato alla visione psicologica proposta da Jaak Panksepp. Per un primo approfondimento vi invito a leggere il libro “Le emozioni di base secondo Panksepp” che ho pubblicato nel 2017, e nel quale colgo l’occasione per aggiungere alcune osservazioni di natura filosofica all’impostazione sviluppata da Panksepp.

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La ruota delle emozioni di Plutchik

Nell’immagine potete vedere la ruota delle emozioni cosí come é stata impostata da Robert Plutchik. Questa figura é stata ottenuta dalle otto emozioni che Plutchik considera fondamentali. Le emozioni di qualitá opposta si trovano in posizioni contrapposte di 180 gradi. Abbiamo dunque la gioia opposta a dolore/tristezza (sorrow in inglese), la rabbia opposta alla paura, l’accettazione opposta a al disgusto, e la sorpresa in opposizione all’attesa. Plutchik é stato uno psicologo americano di impostazione psicoevoluzionistica, molto influente nel campo dello studio delle emozioni. Per una sintesi del suo pensiero puoi leggere questo post.

Robert Plutchik e la teoria psicoevoluzionistica delle emozioni

Come altri post che ho pubblicato di recente, anche questo si propone di sintetizzare il testo di uno studioso attivo nel campo della psicologia delle emozioni. Tale lavoro di sintesi è svolto nell’ottica di introdurre il lettore al testo divulgativo che ho pubblicato di recente sulle neuroscienze affettive: “Le emozioni di base secondo Panksepp”. In questa occasione prenderemo in considerazione l’articolo “The Nature of Emotions”1 di Robert Plutchik, che è stato uno psicologo statunitense particolarmente influente nel campo delle emozioni.

All’inizio dell’articolo citato, Plutchik osserva che vi sono alcune difficoltà specifiche dello studio delle emozioni. Tali difficoltà nascono dal fatto che noi siamo in grado di controllare le nostre emozioni in modo cosciente ed inconscio, dalla tendenza di parte del mondo scientifico ad escludere dallo studio queste entità così poco precise e adatte allo studio quantitativo, e da difficoltà aggiuntive di ordine linguistico, in quanto non tutti usiamo allo stesso modo le stesse parole per le stesse emozioni. Per questi motivi lo sviluppo di una teoria delle emozioni sulla base dei report verbali appare difficile, ma ciò non rende lecito escludere le emozioni dal campo dei nostri studi.

Nel descrivere i tratti fondamentali delle emozioni Plutchik sottolinea la compresenza di una dimensione comportamentale e psicologica delle emozioni, nonché il particolare sentire ad esse collegato, ed il ruolo degli stimoli specifici che le attivano. Nella sua concezione, di impronta nettamente evoluzionistica, le emozioni non sono eventi isolati ma fenomeni caratterizzati da un alto livello di integrazione con le situazioni vissute dall’individuo. L’alto livello di interazione fra emotività ed aspetti cognitivi fa sì che non abbia molto senso considerare il processo emotivo come una catena, chiedendosi che posizione esatta vi occupino le funzioni cognitive.

Plutchik tenta di generalizzare teoricamente l’effetto delle emozioni concependole come se fossero il ripristino un equilibrio che è stato alterato, ed arriva a definirle come un sistema di comportamento omeostatico, a feedback negativo.

LA POSIZIONE EVOLUZIONISTICA

Nell’articolare la propria posizione evoluzionistica Plutchik cita John Paul Scott, notando che vi sono alcuni tipi di comportamento molto diffusi sia negli organismi evoluti sia in quelli più semplici: il mangiare, la reazione di fuga-o-lotta, la sessualità, il prendersi cura, e l’investigazione. Plutchik ci segnala che non è facile connettere queste modalità di comportamento osservabili dall’esterno con meccanismi interiori o stati di coscienza. A tale riguardo è opportuno notare che il merito di Jaak Panksepp è proprio quello di aver stabilito questa connessione, grazie all’individuazione di sette sistemi emotivi situati nelle parti più antiche del cervello.

Confrontando i sistemi emotivi di Panksepp coi moduli di comportamento elencati da Plutchik, si vede che alla reazione di fuga-o-lotta corrispondono i due sistemi emotivi di paura e rabbia. Nel sistema di Panksepp inoltre l’eccitazione sessuale e la cura sono due sistemi emotivi fondamentali, così come pure la ricerca/voglia di fare, che appare simile a ciò che Plutchik chiama investigazione. Al comportamento del mangiare invece non corrisponde nessun sistema emotivo nel sistema impostato da Panksepp. Plutchik enumera tra le reazioni emotive anche il piacere, il disgusto, il dolore, che Panksepp non considera come facenti parte il novero delle emozioni. Plutchik si riferisce anche alla depressione come se fosse un’emozione, mentre Panksepp la considera come un problema di bassa attività cronica del sistema emotivo della ricerca/voglia di fare, a seguito di prolungati stimoli negativi da parte della pena della solitudine.

Per quanto riguarda l’impostazione evoluzionistica complessiva, a mio avviso Plutchik spinge l’analogia molto in basso nella scala evolutiva, forse troppo, facendo riferimento agli organismi unicellulari e scegliendo di citare un passo di Darwin dove si parla di rabbia, terrore, gelosia ed amore manifestati dagli insetti. Simili parallelismi possono essere interessanti per fare luce sui fattori ambientali esterni che provocano lo sviluppo dei sistemi emotivi, ma non ci aiutano a capire quanto sia esteso ad altre specie animali il nostro sentire le emozioni. Nel discorso di Panksepp l’analogia emotiva tra esseri umani ed animali è molto più circostanziata a mammiferi ed uccelli, con i rettili in possesso soltanto delle emozioni più primitive, e con una somiglianza relativa ad organismi semplici come i gamberi circoscritta all’effetto di quegli elementi chimici che negli umani sono droghe d’abuso.

L’ATTEGGIAMENTO VERSO LE NEUROSCIENZE

Per quanto riguarda il dato neuroscientifico,2 Plutchik sembra porlo in contrapposizione con una teoria di ampio respiro sulle emozioni, temendo forse una tendenza riduzionista che potrebbe originarsi nell’approccio neuroscientifico. A mio avviso le neuroscienze possono contribuire in modo concreto allo sviluppo di una teoria generale delle emozioni, soprattutto prendendo in considerazione anche la posizione di Panksepp, e non soltanto quella di Ledoux e Damasio, come invece sembra fare Plutchik.

L’elettrostimolazione del sistema emotivo della paura non basta certo a darci una teoria soddisfacente della paura, ma una teoria soddisfacente della paura deve accordarsi coi dati di queste pratiche di elettrostimolazione. Ciò fornisce un vincolo ed un supporto non indifferente allo sviluppo di una teoria matura sulle emozioni.

Sempre per quanto riguarda il campo degli studi neuroscientifici sulle emozioni, va notato che Plutchik segnala il ruolo importante che sarebbe rivestito dall’amigdala, la quale però secondo Panksepp avrebbe più che altro la funzione di canale di trasferimento delle emozioni, e non di sorgente. Il luogo di origine delle emozioni sarebbe da indicarsi più correttamente in alcune zone del tronco cerebrale, ad esempio nel grigio periacqueduttale (GAP, o PAG in inglese).

LE OTTO EMOZIONI PRIMARIE E LA FIGURA DEL CIRCOMPLESSO

Plutchik nota che alcuni studiosi delle emozioni avrebbero riconosciuto una somiglianza fra la nostra percezione dei colori e quella delle emozioni. In particolare, sia i colori sia le emozioni sarebbero mescolabili a formare le più diverse combinazioni. Sulla base di questa concezione Plutchik imposta una rappresentazione grafica delle emozioni che a partire da un circolo di otto emozioni primarie sviluppa una struttura chiamata circomplesso delle emozioni.

Plutchik dispone le emozioni primarie in cerchio, mettendo in posizione di vicinanza quelle simili, ed in opposizione di 180 gradi quelle di significato opposto. Nella ruota delle emozioni così ottenuta abbiamo la gioia opposta a dolore/tristezza (sorrow in inglese), la rabbia opposta alla paura, l’accettazione opposta a al disgusto, e la sorpresa in opposizione all’attesa. Successivamente Plutchik dispone le emozioni simili a quelle primarie, ma di intensità inferiore, sull’esterno, mettendole tanto più lontane quanto meno sono intense. Seguendo lo stesso principio, le emozioni simili ma più intense sono disposte all’interno della ruota delle emozioni primarie. In questo modo si ottiene una specie di fiore i cui petali possono essere uniti verso il basso creando una sorta di cono. È questa la struttura che prende il nome di circomplesso.

È abbastanza chiaro dal discorso di Plutchik che la scelta di quali siano le emozioni di base (così come il disporle in un circomplesso) è una scelta parzialmente arbitraria, fondata sul giudizio degli esperti di settore e sulla lunga tradizione esistente in letteratura, ma non su dati sperimentali chiaramente oggettivi. Plutchik non si basa su dati di natura anatomica, come accade invece negli studi delle neuroscienze affettive, ed il risultato è che vi sono molte differenze fra le emozioni di base principali individuate da Plutchik e quelle individuate da Panksepp.

Rabbia, paura e tristezza sono i punti in comune, e fanno anche parte di molte altre liste di emozioni impiegate negli studi psicologici. Anche la gioia è comunemente indicata come emozione fondamentale, ma essa non ha un esatto riscontro tra i sistemi emotivi individuati da Panksepp. Può essere considerata come manifestazione di varie combinazioni dei quattro sistemi emotivi a valenza positiva: cura, sessualità, gioco, ricerca/voglia di fare. Il disgusto è secondo Panksepp un affetto di natura più sensoriale, e non un’emozione. La sorpresa è considerata da Panksepp un fenomeno con un elevato contributo cognitivo, e non un emozione di base. L’accettazione può forse essere messa in correlazione con la cura, mentre il senso di attesa potrebbe essere messo in connessione con la ricerca/voglia di fare, ma soltanto se lo consideriamo connesso ad un senso di desiderosa anticipazione.

CONCLUSIONI

Come già nel caso di Paul Ekman, anche nel considerare la posizione di Robert Plutchik notiamo che il confronto con il sistema di Panksepp introduce ad una comprensione più sistematica delle emozioni fondamentali. In Panksepp si ritrova l’impostazione evoluzionistica presente in Plutchik, ma consolidata con l’individuazione anatomica dei sistemi emotivi fondamentali. L’impostazione di Panksepp consente di distinguere con più significatività tra le emozioni fondamentali, le emozioni derivate, ed altri affetti di natura non emotiva. La sua visione consente di comprendere meglio la sorgente dell’esperienza emotiva interiore e quindi di rintracciarne con più sicurezza la manifestazione in altre specie animali diverse da noi. Per quanto riguarda il ruolo fondativo delle emozioni rispetto al tessuto sociale, si tratta di un tema riconosciuto da Plutchik, ma che in Panksepp riveste una posizione più centrale, soprattutto nel caso di mammiferi ed uccelli. Per un approfondimento vi invito alla lettura di “Le emozioni di base secondo Panksepp”.

1Robert Plutchik, The Nature of Emotions, American Scientist, vol. 89, Issue 4, (2001/07), 344-350. doi: 10.1511/2001.4.344

2Si tenga presente che Plutchik scrive nel 2001, soltanto 3 anni dopo l’uscita del libro di Panksepp: “Affective neuroscience.” Nella biografia dell’articolo di Plutchik a cui mi riferisco Panksepp non è presente, mentre è presente un riferimento al pensiero di Antonio Damasio, che comporta importanti differenze rispetto al lavoro di Panksepp. Per quanto riguarda Damasio, questi condivide con Plutchik l’impostazione per cui le emozioni contribuiscono a ripristinare una situazione considerata omeostatica.

Le emozioni di base secondo Panksepp

Le emozioni di base secondo Panksepp“Le sette emozioni di Panksepp non sono un punto di arrivo, ma il punto di partenza per un lavoro su se stessi. È come aver trovato i capi liberi che fuoriescono da un gomitolo aggrovigliato.”

Dalle neuroscienze affettive emerge un nuovo paradigma psicologico destinato a cambiare la concezione che abbiamo di noi stessi. Sette emozioni fondamentali sono state individuate nel sistema nervoso: paura, rabbia, eccitazione sessuale, cura, pena della solitudine, gioco e ricerca/voglia di fare. Queste emozioni sono la radice della coscienza ed il presupposto della nostra socialità. Offrono una nuova chiave di comprensione a fenomeni quali la depressione e la mania, la dipendenza da droghe, l’identità sessuale, il legame sociale.
La teoria dei sistemi emotivi trova una sistemazione organica grazie al lavoro di Jaak Panksepp (1943-2017), psicologo fisiologico emigrato dall’Estonia agli Stati Uniti. Il libro descrive in linguaggio divulgativo questa nuova visione della mente e i tratti fondamentali di ciascuna emozione di base. Segue una riflessione che ne mette in luce la rilevanza al fine della crescita personale e della ricerca di una sintesi sociale nuova.

SOMMARIO
INTRODUZIONE: IL MIO INCONTRO CON PANKSEPP
IL CERVELLO VISTO DA PANKSEPP
LE SETTE EMOZIONI
– LA RICERCA, O LA VOGLIA DI FARE
– LA PAURA
– LA RABBIA
– L’ECCITAZIONE SESSUALE
– L’IDENTITÀ SESSUALE
– LA CURA
– LA PENA DELLA SOLITUDINE
– IL GIOCO
PROSPETTIVE PER LA PSICOTERAPIA
RIFLESSIONI E CONNESSIONI FILOSOFICHE
BIBLIOGRAFIA

INTRODUZIONE: IL MIO INCONTRO CON PANKSEPP

Da molto tempo ero in cerca di un sapere scientifico sulla mente che fosse fruttuoso nell’ambito di un percorso di autocomprensione. Nel 2013 ero rimasto affascinato dalla teoria di Giulio Tononi, il quale prometteva una formula matematica in grado di catturare l’essenza della coscienza. Dopo avere studiato alcuni articoli dedicati alla cosidetta information integration theory però, mi sono reso conto che non si trattava di ciò che cercavo. I complessi calcoli statistici di cui è composta la teoria conducono infatti a dei parametri numerici simili alle “firme di un pensiero cosciente” di cui parla Stanislas Dehaene nel suo recente libro sul cervello, ma purtroppo non forniscono una visione illuminante per l’autopercezione di noi stessi.
Dopo l’immersione nella statistica ho cercato dunque un’interpretazione del cervello più prossima all’esperienza personale, ed è stato così che ho incontrato Jaak Panksepp, il quale non tenta di estrarre l’essenza della coscienza per mezzo di un’elaborazione delle combinazioni dei neuroni accesi e spenti, ma ci parla di sistemi emotivi che possiamo connettere al volo con il nostro vissuto personale. Tra le altre cose, Panksepp è noto per avere identificato nei ratti un’emissione vocale equivalente alla risata, caratterizzata da una frequenza di circa 50Khz, al di sopra quindi della gamma di suoni udibili dall’orecchio umano. Questa emissione vocale è tipicamente emessa nelle situazioni in cui i ratti praticano giochi di lotta e di inseguimento. Secondo l’impostazione di Panksepp i sistemi emotivi fondamentali sono gli stessi in tutti i mammiferi, e quindi dallo studio degli animali si possono ricavare dei dati impiegabili anche per gli esseri umani. Detto questo è d’obbligo puntualizzare che Panksepp non adotta un approccio riduzionista che porta a perdere le specificità più preziose dell’umano, ma ci dà una descrizione delle fondamenta su cui può elevarsi l’edificio spirituale. L’attitudine umana di Panksepp si riconosce nelle foto che lo ritraggono mentre sorride naso a naso coi roditori che così spesso si incontrano nei suoi studi.
Panksepp individua il proprio territorio d’indagine con l’espressione ‘neuroscienze affettive’, ed adotta un approccio triplice allo studio delle emozioni, costituito dall’osservazione del comportamento degli animali, dallo studio del funzionamento fisico-chimico del cervello, e dai resoconti introspettivi dei soggetti umani. Ad esempio nel caso della paura avremo un ratto con due elettrodi inseriti nelle corrispondenti zone sottocorticali del cervello. A seguito dell’applicazione di un livello minimo di corrente il ratto si immobilizza, mentre con un livello più elevato di corrente l’animale scappa. A questa osservazione dei comportamenti di immobilizzazione e fuga si associa il resoconto di uomini a cui viene praticata una stimolazione elettrica simile a quella applicata al ratto, resoconto nel quale i soggetti coinvolti dichiarano di essere spaventati.
I primi studi di questo genere risalgono alla metà del ventesimo secolo, ma è stato necessario molto tempo perché emergesse una visione complessiva dei sistemi emotivi come quella elaborata da Panksepp. Nelle pagine a seguire troverete un’introduzione ai suoi risultati basata sul libro L’archeologia della mente, un testo di lettura non facile per via della ricchezza dei dettagli chimici ed anatomici che vi vengono descritti. Nel comporre la sintesi che costituisce la prima parte del qui presente libro ho lasciato cadere quasi completamente tali dettagli, essendo io interessato ad un discorso non specialistico. Sulla base di tale sintesi segue una seconda parte del libro costituita da riflessioni di taglio filosofico sul modo in cui le idee di Panksepp possono essere connesse alla creazione di una sintesi sociale nuova.

IL CERVELLO VISTO DA PANKSEPP

All’inizio del suo discorso Panksepp fornisce una ricostruzione storica per giustificare il fatto che l’attenzione della ricerca scientifica sia arrivata a concentrarsi sulle emozioni soltanto negli ultimi anni.
Il desiderio di costruire un edificio del sapere che sia inattaccabile e che risponda in ogni sua parte ad un’infallibile criterio di verità può spingere a diffidare dei riferimenti alle profondità invisibili della soggettività umana. Questo è quanto purtroppo succede con la corrente di pensiero del comportamentismo, che domina l’ambito degli studi psicologici accademici fino agli anni sessanta del secolo scorso, e che si propone di studiare soltanto il comportamento osservabile, vietandosi di impiegare il dato dei resoconti introspettivi. È per questo che Panksepp individua nel comportamentismo uno dei fattori che sono d’ostacolo allo studio delle emozioni.
A partire dalla metà del ventesimo secolo però, la prassi dei calcolatori rende possibile concepire l’uomo come una macchina dotata di software, istituendo una metafora con cui si puó concepire in modo scientificamente accettabile il pensiero che sta invisibile dentro la testa. Tale concezione è influenzata dal fatto che il software è di fatto un’implementazione di quella parte di filosofia che è la logica formale, la quale si occupa delle regole di ragionamento equivalenti ad operazioni esatte sui segni. L’impiego della metafora del pensiero come software è il tratto distintivo della corrente di pensiero che in psicologia prende il nome di cognitivismo e che si sostituisce al comportamentismo come orientamento dominante a partire dagli anni settanta.
Abbiamo dunque in psicologia una tradizione comportamentista prima che vieta per principio di fare riferimento al vissuto personale, ed un cognitivismo poi, che accetta di parlare dei mondi invisibili della soggettività, ma soltanto per coglierne i tratti di razionalità riflessiva più affini al pensiero logico. Secondo Panksepp l’influenza del comportamentismo e del cognitivismo ha ritardato fino ad oggi uno studio scientifico e sistematico delle emozioni, e tale influenza è ancora viva in molti studiosi attivi nel campo delle neuroscienze.

Venendo a descrivere la situazione attuale degli studi sul cervello, Panksepp riscontra che è difficile capirsi fra aree specialistiche diverse, perché diverso è il modo in cui vengono utilizzati termini simili. Per questo motivo propone di fare chiarezza distinguendo le strutture biologiche del cervello in tre livelli: il livello primario (quello di cui si occupa Panksepp) che corrisponde alle risposte emotive grezze, il livello secondario che è composto dai meccanismi di memoria ed apprendimento, ed il livello terziario in cui troviamo le complessità cognitive della riflessione.
Per fissare le idee possiamo esemplificare il livello primario con il terrore immobilizzante o con la fuga che nascono trovandosi di fronte ad una tigre, il livello secondario con il ricordo dei segni, dei luoghi e degli odori del predatore, ed il livello terziario con la discussione di un progetto per catturare la tigre.

Pensando al cervello di solito ci immaginiamo quelle pieghe grigie che formano la corteccia cerebrale, mentre il lavoro di Panksepp riguarda soprattutto ciò che vi sta sotto. Un principio empirico a cui spesso Panksepp fa riferimento è quello che collega la posizione dei componenti del cervello con la loro età evolutiva. Quelli più vicini alla colonna vertebrale sono i più antichi, mentre quelli in posizione più lontana sono i più recenti. Fra questi vi è la corteccia cerebrale, che possiamo concepire come un mantello venuto ad avvolgere infrastrutture preesistenti.
La localizzazione dei circuiti emotivi avviene inserendo degli elettrodi nel cervello per produrre una stimolazione elettrica in punti specifici. Fondamentale per i sistemi emotivi è il ruolo della zona sottocorticale denominata grigio periacqueduttale (GPA), con le emozioni a valenza negativa che tendono ad essere collocate sul dorso di essa, ed altre a valenza positiva situate sul lato opposto.

Panksepp circoscrive il proprio oggetto di studio individuando i tratti formali dei sistemi emotivi. Ognuno di essi può rispondere inizialmente ad alcuni semplici stimoli innati e successivamente può imparare ad attivarsi a seguito di molteplici oggetti e situazioni che si incontrano nell’ambiente. Ogni sistema emotivo è inoltre caratterizzato dalla capacità di elaborare contemporaneamente più stimoli in ingresso. Per quanto riguarda invece l’output, ciascun sistema emotivo produce un particolare tipo di risposta sotto forma di un comportamento che non riguarda oggetti predefiniti, come si nota ad esempio con la tendenza distruttiva della rabbia, che può trovare sfogo su oggetti diversi. Un terzo punto è che i sistemi emotivi non rispondono alle influenze dell’ambiente in modo immediato: al contrario della lampadina che si accende e si spegne istantaneamente premendo l’interruttore, i sistemi emotivi si comportano come delle ruote che una volta messe in movimento vanno avanti a girare per inerzia e hanno bisogno di tempo per fermarsi. Altra caratteristica importante è che i sistemi emotivi sono soggetti a regolazione da parte delle zone riflessive del cervello, e a loro volta hanno una profonda influenza sul funzionamento di tali zone. Infine è rilevante il fatto che noi percepiamo direttamente la qualità affettiva e distintiva di ciascuna emozione, il suo particolare sapore mentale.

Le emozioni fondamentali descritte da Panksepp sono sette, ed a ciascuna di esse abbiamo dedicato un capitoletto nelle pagine seguenti. Alcune di queste emozioni rientrano nel novero di quelle normalmente impiegate nel discorso psicologico, mentre altre vi appariranno insolite. Tutte ricevono un significato particolare dall’essere state individuate come una parte fisica del cervello. Esse sono la ricerca/voglia di fare, la paura, la rabbia, l’eccitazione sessuale, la cura, la pena della solitudine, il gioco. La loro elaborazione cognitiva nei processi secondari e terziari può dare luogo ad una molteplicità di manifestazioni più variegate quali ad esempio coraggio, invidia, colpa, gelosia, orgoglio, vergogna, disdegno.

I sistemi emotivi non esauriscono l’intero spettro affettivo, che si completa prendendo in considerazione anche gli affetti di natura sensoriale e quelli…

Quello che avete appena letto è l’inizio del libro “Le emozioni di base secondo Panksepp”. Il libro può essere acquistato sui principali store online.

 

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JAAK PANKSEPP E L’ARCHEOLOGIA DELLA MENTE: ALCUNE PREMESSE STORICHE

Nel libro L’Archeologia della mente Panksepp prende le mosse da una ricostruzione storica del modo in cui le emozioni sono state escluse per lungo tempo dall’indagine scientifica. Secondo Panksepp la corrente di pensiero del comportamentismo, i cui fondatori sono John B. Watson e B.F. Skinner, é uno dei principali responsabili del mancato studio delle emozioni nel corso del ventesimo secolo. L’impostazione positivista del movimento comportamentista é stata di eccessiva chiusura nei confronti del contenuto mentale non direttamente osservabile, ritardando cosí il progresso dello studio delle emozioni, il quale avrebbe potuto essere condotto senza aspettare le tecnologie di laboratorio a noi contemporanee, come dimostrano i lavori di diversi studiosi del passato. Sia Charles Darwin che William James ebbero visioni dell’emotivitá piuttosto avanzate, pur senza il contributo delle moderne tecniche neuroscientifiche. Pavlov riconobbe l’importanza delle emozioni nei suoi famosi lavori sui riflessi nei cani. Nel lavoro di Freud la dimensione emotiva é irrinunciabile e riceve una principale concettualizzazione in termini di un polo positivo e di uno negativo fra loro contrapposti. Edward Thorndike formuló la famosa “Law of Effect” utilizzando le parole satisfaction e discomfort, che chiaramente suggerivano stati mentali e tonalitá emotive, ma i comportamentisti preferirono usare termini piú oggettivi ed osservabili quali reward and punishment. In generale, a seguito dell’influenza del comportamentismo furono eliminati tutti i riferimenti a stati affettivi e motivazionali, e si accettarono solo descrizioni oggettive in terza persona. Studiare gli stati mentali e le emozioni era difficile, nel passato, per mancanza di evidenze empiriche, ma la possibilitá di affrontare piú approfonditamente l’argomento a livello sistemico ci sarebbe stata.

La rivoluzione cognitiva degli anni settanta del novecento ha dato enfasi alle parti del cervello che funzionano in modo piú simile al software di un computer, ovverosia al lavoro di processazione delle informazioni. Con ció si é riportata l’attenzione sulla mente intesa come attivitá riflessiva invisibile, ma é rimasto il pregiudizio che trascura le emozioni. Quando il cognitivismo guarda ad esse, tende a considerarle come un sottoinsieme dei processi cognitivi, ma questi sono tipici della corteccia cerebrale, che é la parte piú recente del cervello, mentre le emozioni risiedono in strutture evolutivamente piú antiche, e giá in ció rivelano una natura intimamente diversa.

Al giorno d’oggi, ci dice Panksepp, ci troviamo in una situazione in cui esistono i mezzi tecnici per lo studio dell’esperienza emotiva, ma permane l’abitudine anacronistica di trascurarla, non piú motivata dall’assenza di metodi di indagine rigorosi. Questo é connesso col fatto che molti studiosi delle neuroscienze hanno una formazione di stampo comportamentista oppure cognitivista.

Panksepp propone una ricostruzione storica in cui é centrale il ruolo di quello che poi fu chiamato Berlin Biophysics Club, sotto l’influsso del quale fu ufficialmente dismessa nell’ottocento la teoria dei quattro fluidi risalente ad Ippocrate.

LE EMOZIONI NON SONO UN’INTERPRETAZIONE RIFLESSIVA

Sul finire dell’ottocento William James e Carle Lange svilupparono indipendentemente una teoria di tipo read-out secondo cui le emozioni sarebbero una sorta di interpretazione riflessiva di un comportamento che funziona in modo automatico e indipendente da esse. Walter Cannon nel 1927 notava che questo non poteva essere vero, in quanto non ci sono i tempi tecnici perché la mente possa generare un’emozione costantemente al passo con un comportamento da essa separato. Le emozioni non potevano essere una sorta di interpretazione a posteriori, ma dovevano originarsi in modo integrato col comportamento. Paul MacLean sviluppó questo concetto estesamente arrivando a definire un sistema limbico inteso come un antico strato del cervello comune a tutti i mammiferi, ma le sue teorie furono accantonate a causa di alcuni errori secondari. Panksepp considera il proprio approccio convergente con quello di MacLean e si ritiene un follower di Cannon e Darwin nel loro riconoscere le emozioni come dirette manifestazioni di attivitá specifiche del cervello.

Panksepp ha voglia di giocare

Il libro di Panksepp non vale tant’oro quanto pesa. Di più. Molto spesso utilizza i dati scientifici di base per delle considerazioni su come affrontare i principali “malfunzionamenti” mentali dell’uomo, come depressione, rabbia e mancata felicità in genere. L’importanza di queste considerazioni non sta nella loro novità assoluta, ma nel fatto che sono fondate sulla conoscenza della struttura fisica del cervello che si è andata accumulando nelle ultime decine di anni. Non sono soltanto “valide impressioni”, ma punti di riferimento consolidati. Traduco qui l’ultimo spunto interessante che ho trovato:

“Come vedremo nel prossimo capitolo, la giocosità, che è la sorgente di uno dei più positivi sentimenti sociali-affettivi che la nostra mente possa generare, non è ancora sistematicamente o adeguatamente impiegata nei contesti psicoterapeutici. Ci sono sicuramente dei modi per rendere questo robusto affetto positivo un aspetto comune delle interazioni psicoterapeutiche. Dovremmo ricordarci la famosa idea di Norman Cousin’s (1983): che la risata potrebbe essere una delle nostre migliori medicine.”

Ma gli angeli giocosi, per essere tali, non dovranno prima imparare ad usare i coltelli contro i cani arrabbiati?

Testo originale in inglese:
“As we will see in the next chapter, playfulness, which is the source of one of the most positive social-affective feelings our brain can generate, is not yet systematically or well used in psychotherapeutic contexts. There are surely ways to make this robust positive affect a more common aspect of therapeutic intereaction. We may be wise to remember Norman Cousin’s famous idea: Laughter may be one of our best medicines.”

Da: The Archaeology of mind – Neuroevolutionary Origins of Human Emotions.
Jaak Panksepp e Lucy Biven