“Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman: una sintesi (e qualche idea nuova).

In questo articolo riassumeremo i concetti fondamentali del famoso libro di Goleman, per poi accennare brevemente alla visione corrente delle neuroscienze affettive.

L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Il libro Intelligenza Emotiva, di Daniel Goleman

Il libro di Goleman sull’intelligenza emotiva è una sorta di passeggiata attraverso i temi della psicologia più rilevanti per la vita di tutti i giorni. L’intelligenza emotiva migliora la vita di coppia, l’ambiente di lavoro e l’educazione dei figli. Aiuta la salute del corpo, promuove il rendimento scolastico, previene i problemi con l’alcol il fumo e le droghe.

L’intelligenza emotiva implica anzitutto la capacità di riconoscere ed esprimere le emozioni comprendendone le cause. Sulla base di tale consapevolezza si sviluppa poi la capacità di influenzarne il corso. Le emozioni vissute in prima persona, da dentro, sono conosciute in modo diverso rispetto alle emozioni viste negli altri, dal di fuori. L’intelligenza emotiva è tanto più matura quanto più è in grado di riconciliare il sentimento delle nostre emozioni private con gli stati emotivi osservati nelle altre persone.

Una persona dotata di intelligenza emotiva riesce a intuire la condizione interiore dell’interlocutore, sa come parlargli, è pronta a cooperare e ad ascoltare. È in grado di assumere il punto di vista degli altri ed è predisposta a risolvere i conflitti. L’intelligenza emotiva si associa alla capacità di resistere agli stimoli immediati e al mantenimento di un livello di motivazione costante. L’equilibrio emotivo migliora la fiducia in sé stessi, facilita la gestione dell’ansia e la resistenza allo stress.

LO STUDIO DELLE EMOZIONI

All’inizio del libro Goleman dedica molto spazio alla descrizione del modo in cui la psicologia ha iniziato a interessarsi delle emozioni. La psicologia, infatti, non si è sempre interessata alla sfera emotiva. All’inizio del novecento era predominante la corrente del comportamentismo. Si desiderava impostare la psicologia come uno studio esatto del comportamento osservato dall’esterno, e il contenuto della mente era considerato inaccessibile dalla scienza. Poi, dagli anni settanta, si è affermata la corrente del cognitivismo. Il contenuto della mente veniva studiato come informazione, per mezzo della metafora del computer e del software, ma le emozioni non erano ancora oggetto di attenzione. Quando Goleman scrive, negli anni novanta, è soltanto da pochi anni che l’interesse della psicologia si è concentrato sulle emozioni, sospinto dallo sviluppo delle neuroscienze e dall’avvento delle tecnologie in grado di fornire immagini del cervello vivente.

Da un punto di vista evolutivo, il tronco cerebrale è la parte più antica del cervello, connessa al midollo spinale, e garantisce alcune funzioni fondamentali come il respiro o il metabolismo degli organi. Attorno al tronco cerebrale si sviluppa il sistema limbico, nel quale sono compresi i centri emozionali. Nel corso dell’evoluzione il sistema limbico ha sviluppato delle capacità di apprendimento e memoria, che hanno consentito una maggiore adattabilità del comportamento all’ambiente, sulla base dell’esperienza. Il passo successivo è stato lo sviluppo della corteccia cerebrale, che ha la proprietà di modulare gli impulsi emotivi generati nel sistema limbico, e rende possibile un repertorio più ampio di comportamenti.

Da questa descrizione della struttura del cervello è chiaro che le emozioni non sono un evento secondario rispetto alla vita intellettuale. I centri emotivi erano già vecchi di milioni di anni quando si è sviluppata la corteccia cerebrale, l’organo della razionalità. I circuiti emotivi sono situati nelle radici biologiche più profonde della mente, e l’aspetto esclusivamente razionale non rende conto per intero dei fenomeni che emergono dalla vita della mente. È per questo motivo che uno strumento di indagine come la misurazione del quoziente intellettivo rispecchia soltanto una parte circoscritta delle capacità della mente. Goleman insiste molto su questo punto, ricordandoci che il QI è in grado di spiegare soltanto il 20% dei fattori di successo1, e che l’intelligenza emotiva è un fattore molto importante per la buona riuscita di un progetto di vita.

LA COLLERA

La collera è una delle emozioni fondamentali a cui Goleman dedica più spazio nel corso del libro. La collera è caratterizzata da una concatenazione di pensieri che tendono ad auto-amplificarsi. Ma mano che il monologo interiore rafforza la rabbia, la nostra capacità di giudizio diventa sempre più debole, e la collera diviene più difficile da controllare. La collera ha una natura energizzante, motivo per cui a volte si ritiene benefico darle sfogo, ma questo non rappresenta la soluzione ideale al controllo della rabbia, perché dopo essersi sfogati si può rimanere allo stesso livello di emotività da cui si era partiti, se non più elevato. Per contrastare la rabbia è fondamentale interrompere la catena dei pensieri che la alimenta fin dal suo primo presentarsi, quando lo sviluppo del sentimento è ancora all’inizio. Se questo non funziona, ciò che può aiutare è evitare di alimentare la ruminazione negativa ricorrendo a delle distrazioni. Alcune valide strategie di distrazione possono essere le tecniche di rilassamento, l’attività fisica, leggere qualcosa o guardare la televisione. Quando la collera si sarà calmata sarà allora possibile compiere una riflessione per reinterpretare quanto accaduto, cercando di comprendere il punto di vista della persona che ci ha fatto arrabbiare.

Per un approfondimento su questo tema si possono leggere i nostri articoli:
La Rabbia Repressa
Attacchi di rabbia (e scatti d’ira): come gestirli.
Sfogare la rabbia?
Regolazione emotiva: distrazione e reinterpretazione.

ANSIA E PAURA

Le immagini producono manifestazioni d’ansia più intense rispetto ai pensieri. Per questo le concatenazioni dei pensieri preoccupati possono avere l’effetto di alleviare il sentimento negativo degli stati ansiosi. La riflessione promossa dalla preoccupazione ha la funzione positiva di proporre delle soluzioni per risolvere i problemi da cui scaturisce la paura. Il problema si ha quando la preoccupazione assume forme ripetitive e sterili che non conducono a nessun cambio di situazione. Se il ciclo dei pensieri ansiosi persiste, può dare luogo ad una varietà di patologie quali fobie, ossessioni e attacchi di panico. Le tecniche di rilassamento possono essere d’aiuto per distrarci e spezzare il ciclo dei ragionamenti che producono ansia, così come pure l’uso dei farmaci2. Ciò che però è più importante per affrontare l’ansia in modo sistematico è abituarsi a riconoscere sul nascere i concatenamenti di pensieri ansiosi e ripetitivi, e metterli in discussione cercando visioni alternative.


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TRISTEZZA E DEPRESSIONE

Vi sono delle situazioni in cui l’effetto di una lieve sensazione di tristezza può anche rivelarsi positivo, interrompendo le attività in corso e favorendo un momento di riflessione. Quando però la propensione all’attività diviene patologicamente bassa, allora si parla di depressione. Vengono a mancare il senso del piacere e la speranza, non si riesce più a trovare il valore e il senso di nulla, e si instaura un profondo sconforto unito ad una sensazione di dolore. La depressione è un fenomeno che riguarda più le donne degli uomini. Come nel caso dei disturbi ansiosi, la depressione è caratterizzata dalla frequente esecuzione di pensieri sterili e ripetitivi che non portano a soluzioni concrete. Interrompere le catene di ragionamenti ripetitivi è un passo importante per affrontare la depressione. Questo può essere fatto ricorrendo a distrazioni quali la lettura, piuttosto che il cinema, il sonno, un puzzle o la programmazione di un viaggio immaginario. Le tecniche di rilassamento non sono molto efficaci nel caso della depressione, mentre possono essere utili i confronti verso il basso. Uno dei modi migliori di affrontare la depressione è quello di imparare a riconoscere e perseguire le attività che ci fanno stare meglio. La ricerca dei piaceri sensuali può essere d’aiuto, come pure la pratica dell’esercizio fisico e il raggiungimento di obiettivi che ci siamo prefissati. Molto importante può rivelarsi il prendersi cura di qualcuno, per esempio sotto forma di volontariato. Chi volesse approfondire questi aspetti può leggere il nostro testo “Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione”.

LA RELAZIONE DI COPPIA

La relazione di coppia è una situazione dove si manifestano dinamiche emotive molto importanti, che tendono a modellarsi sulla base delle differenze intrinseche fra uomo e donna. Le donne sono solitamente più empatiche degli uomini, i quali invece faticano a percepire il malessere della propria compagna, e spesso si creano un’immagine più rosea del rapporto rispetto alla situazione reale. Per le donne è molto importante l’intimità che si crea parlando della relazione, mentre gli uomini, “in linea di massima, non capiscono che cosa vadano cercando le loro mogli.” Uno degli atti più negativi che possono avvenire all’interno di una relazione di coppia è l’attacco personale, la critica aspra rivolta alla persona. Al posto di questo meccanismo distruttivo dovrebbero esserci dei rimproveri costruttivi, indirizzati all’azione esatta che ha creato il problema. La formula giusta per esprimere una critica dovrebbe essere del tipo “Quando hai fatto X, mi hai fatto sentire Y; avrei preferito che avessi fatto Z.” Ad esempio: “Quando sei arrivato in ritardo mi hai fatto sentire trascurata, avrei preferito che mi avvisassi in anticipo”.

Quando in una coppia si evidenziano dei problemi, l’approccio più tipico delle donne è quello di cercare un confronto approfondito ed intenso, mentre gli uomini spesso si trovano a disagio in tale situazione, alla quale spesso reagiscono rifugiandosi in comportamenti inespressivi. I problemi nascono quando questi meccanismi diventano sterili e ripetitivi, stratificandosi, e portando i membri della coppia a vivere due vite parallele “sentendosi soli all’interno del matrimonio”.

Gli argomenti tipici su cui la coppia va in disaccordo sono il sesso, l’educazione dei figli e i soldi. Le coppie che funzionano non sono quelle che hanno eliminato il disaccordo, ma quelle che hanno trovato il modo di parlarne, pur mantenendo opinioni differenti.

Vi sono una serie di consigli che si possono dare per migliorare il benessere emotivo della coppia. Gli uomini dovrebbero “guardarsi dal tagliar corto durante la discussione offrendo troppo spesso una soluzione pratica – solitamente, per la moglie, è più importante sentire che il marito ascolta le sue lamentele ed empatizza con i suoi sentimenti (anche se non deve essere necessariamente d’accordo con lei)”. Gli uomini dovrebbero interpretare le critiche come richieste d’attenzione, mentre le donne dovrebbero evitare accuratamente di porre le critiche nella forma di attacchi diretti alla persona.

Nelle discussioni bisognerebbe evitare le divagazioni e affrontare gli argomenti uno alla volta dando al partner la possibilità di esprimersi. Bisognerebbe esercitare empatia, chiedendosi cosa c’è dietro le parole pronunciate. Quando si ha torto si dovrebbe chiedere scusa, ed è utile trovare qualcosa di buono da apprezzare nel partner. Esercitarsi ad assumere il punto di vista dell’altro è una pratica fondamentale, ma non è così scontato riuscirci. Nelle terapie di coppia si suggerisce un metodo chiamato rispecchiamento: “quando un partner dà voce a una protesta, l’altro la ripete con le proprie parole, cercando di cogliere non solo il pensiero che la anima, ma anche i sentimenti che l’accompagnano”.

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L’AMBIENTE DI LAVORO

L’ambiente di lavoro è un’altra situazione tipica dove le dinamiche emozionali sono molto importanti. Quando nell’ambiente di lavoro gli equilibri emotivi sono gestiti in modo inadeguato si verificano dei fenomeni negativi quali una riduzione della produttività, un maggior numero di errori e di scadenze non rispettate, e un elevato numero di persone che scelgono di andarsene in cerca di possibilità migliori.

Un aspetto decisivo della vita emozionale dell’azienda riguarda la comunicazione delle informazioni sgradevoli. Come nel rapporto di coppia, le critiche che assumono il carattere di attacchi personali hanno effetti molto negativi. Le comunicazioni dovrebbero sempre essere specifiche, individuando in modo preciso ciò che va bene e ciò che non va bene. L’esercizio dell’empatia è consigliato per modulare in modo corretto la comunicazione dei problemi. L’indicazione di un problema dovrebbe essere accompagnata da suggerimenti su come è possibile fare meglio le cose. I momenti di comunicazione faccia a faccia e la trasmissione di un feedback frequente sono entrambi fattori che possono migliorare l’ambiente di lavoro.

Le persone che in ambito aziendale riescono meglio sono quelle che si costruiscono una rete di rapporti informali cui appoggiarsi. Queste reti informali possono essere suddivise in tre tipi: le persone con cui si parla, le persone competenti a cui si può chiedere un parere da esperti, e le persone di cui ci si fida. Chi sa costruirsi reti di questo tipo sarà molto più rapido nel raccogliere l’informazione necessaria per far fronte alle situazioni impreviste.

Una parte importante della vita aziendale si svolge in situazioni di gruppo. Ogni gruppo è dotato, per cosí dire, di un suo quoziente di intelligenza, il quale però non è determinato dalla media delle intelligenze di chi vi partecipa. L’intelligenza del gruppo dipende dall’armonia emotiva al suo interno, là dove la presenza di attriti impedisce al gruppo di mettere a frutto le capacità dei membri più capaci. Un buon livello di intelligenza emotiva dovrebbe evitare sia che alcune persone intervengano troppo ed assumano il controllo del gruppo, sia, all’opposto, che alcune persone non intervengano per nulla.

LE EMOZIONI E LA SALUTE

Goleman osserva che abbiamo a disposizione una quantità crescente di evidenze che mostrano come lo stato emotivo influisca in modo concreto sullo sviluppo di molte patologie fisiche. La collera, in particolare, ha un effetto negativo sulle cardiopatie. L’ansia e lo stress invece tendono a compromettere la funzionalità del sistema immunitario. Lo stress rappresenta la reazione alla percezione di un pericolo e rende l’organismo più pronto alla reazione di attacco e fuga (ad esempio alzando la pressione sanguigna). Questo è un vantaggio nel breve lasso di tempo in cui ci si trova di fronte ad un pericolo immediato, ma diventa controproducente quando porta ad uno stato di tensione permanente. L’effetto negativo della depressione sullo stato di salute fisico si manifesta soprattutto quando la depressione è presente insieme ad altre patologie fisiche. In tal caso la depressione è spesso associata a percentuali inferiori di decorso positivo. Un altro fattore molto importante che influenza in modo negativo il corso di una malattia è lo stato di isolamento. Non si tratta tanto di uno stato di solitudine fisica, quanto della mancanza percepita di legami sociali intimi (un approfondimento del legame fra solitudine e depressione si può leggere nel già citato libro sulla depressione).

Goleman suggerisce alcuni provvedimenti che si potrebbero prendere per migliorare l’approccio del sistema sanitario allo stato emotivo dei pazienti. Anzitutto si potrebbero inserire nel percorso di formazione dei medici alcuni momenti dedicati allo sviluppo delle capacità di ascolto ed empatia. L’insegnamento di tecniche di rilassamento ai pazienti può essere utile, soprattutto contro l’ansia e lo stress. I pazienti dovrebbero essere aiutati a porre le domande più efficaci ai dottori, i quali dovrebbero impegnarsi a rispondere in modo esauriente. I dottori dovrebbero anche descrivere con cura il corso della malattia e le condizioni tipiche del periodo di convalescenza. Un altro provvedimento interessante potrebbe essere l’organizzazione degli ospedali in modo da favorire la presenza dei familiari vicino ai pazienti.

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L’EDUCAZIONE

Il cervello umano si mantiene plastico per tutta la durata della nostra vita, ma la plasticità delle strutture cerebrali è particolarmente evidente nelle prime fasi di vita. “Mentre le aree sensoriali maturano nella prima infanzia, e il sistema limbico entro la pubertà, i lobi frontali – sede dell’autocontrollo emotivo, della comprensione e della reazione corticale perfezionata – continuano a svilupparsi fino alla fine dell’adolescenza”3. Nel corso del processo di maturazione le reti nervose del cervello sono più esposte alle influenze dell’esperienza. Ne risulta evidente l’importanza dell’educazione che i genitori impartiscono ai figli.

Goleman si sofferma a descrivere il caso dei bambini oggetto di trascuratezza e di maltrattamenti. Quando i genitori puniscono i bambini in modo arbitrario, questi tendono a sviluppare sentimenti di inutilità ed impotenza. I bambini percossi sono solitamente più problematici e divengono facilmente indifferenti al dolore degli altri. Uno dei problemi principali è la precocità con cui i bambini ripropongono il modello di violenza proposto dai genitori.

Al di là di questi casi più tristi, Goleman considera anche alcuni approcci alle emozioni che si verificano in situazioni più normali, ma che sarebbe meglio evitare. Il primo di questi approcci è quello dei genitori che considerano i problemi emotivi dei bambini come una cosa di secondaria importanza, aspettando che passi. Un secondo approccio è quello di considerare valida qualsiasi strategia per calmare le tempeste emotive, incluso lo scontro fisico piuttosto che mercanteggiare ricorrendo alle lusinghe. Il terzo approccio negativo individuato da Goleman è quello di reprimere con durezza le manifestazioni emotive dei bambini.

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L’approccio migliore sembra essere quello di dare importanza ai turbamenti emotivi del bambino, cercando di comprenderne l’origine, discutendone col bambino, cercando di suggerire delle soluzioni praticabili per calmarsi: “Invece di prenderlo a pugni, perché non trovi qualcosa con cui divertirti da solo finché non ti torna la voglia di giocare ancora con lui?”.

Un caso che richiede delle attenzioni particolari è quello dei bambini timidi. Un bambino su cinque è caratterizzato da una elevata timidezza che sembra avere origini biologiche ed i cui segni si manifestano fin dal primo anno di vita. Sono bambini tendenzialmente silenziosi, dall’atteggiamento reticente, hanno una paura pronunciata dei luoghi sconosciuti e degli estranei, sono predisposti ai sensi di colpa e ai rimorsi, e diventano facilmente ansiosi nelle situazioni sociali. Gli atteggiamenti che in questi casi sarebbe meglio evitare sono l’eccesso di protezione e l’indulgenza nello stabilire i limiti di fronte a potenziali fonti di pericolo. Ciò che funziona invece sono la fermezza nello stabilire i limiti e “una delicata pressione spingendoli a essere più estroversi”.

L’ambiente scolastico è per sua natura una situazione dove si possono intraprendere molte iniziative volte all’alfabetizzazione emotiva. Con i bambini più piccoli il focus cade sulle capacità di riconoscere le emozioni, dando loro un nome e ricollegandole alle proprie esperienze vissute. Si può lanciare il “cubo delle emozioni” e, se esce la tristezza, invitare i bambini a raccontare l’ultima situazione in cui si sono sentiti tristi. Quando si fa l’appello si può chiedere agli allievi di rispondere con un numero da uno a dieci che indica il livello dell’umore, e usare questa indicazione come punto di partenza per possibili approfondimenti. Una strategia generale da seguire è quella di soffermarsi sugli episodi emotivi che avvengono in classe e farne oggetto di discussione comune.

Vi sono alcune strategie semplici ma efficaci che si possono insegnare ai bambini per migliorare il controllo degli impulsi, e che possono essere impiegate per evitare di aggredire, di chiudersi nel broncio o di scoppiare in lacrime. Prima di tutto bisogna calmarsi e descrivere in parole la situazione che ha creato il problema, per poi valutare le alternative e pensare alle conseguenze. Con il progredire dello sviluppo intellettuale dei ragazzi, diventa sempre più importante promuovere la capacità di assumere la prospettiva degli altri.

Per chi fatica ad integrarsi nel gruppo può essere utile una forma di addestramento all’amicizia: “…vennero incoraggiati a pensare a soluzioni e a compromessi alternativi (invece di accapigliarsi), nel caso in cui sorgessero tra loro contrasti sulle regole del gioco; a ricordarsi di parlare con il compagno di giochi e di fargli domande; ad ascoltarlo e a osservarlo per vedere come agisce; a dire qualcosa di gentile quando l’altro bambino fa bene qualcosa; a sorridere e a offrire aiuto, suggerimenti o incoraggiamento.”4

Col passare degli anni i temi affrontati in classe si evolvono in base alle fasi di transizione verso l’età adulta, e l’oggetto della discussione si sposta dalle esclusioni dal gruppo e dalle prese in giro alle difficoltà dei primi appuntamenti, alla gelosia, all’incontro con il sesso, il fumo, l’alcol, le droghe.


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COMMENTO

Se volessi essere un poco critico, potrei dire che nel libro di Goleman la sensibilità poetica non è di casa, e ci si trova spesso immersi in un mare di parole che avrebbero bisogno di essere sintetizzate. D’altra parte, se tralasciamo il gusto letterario, bisogna dire che Goleman scrive chiaro, ha una visione ampia dei temi di cui parla, e dice tante cose che riguardano aspetti importanti della vita quotidiana. Rimane dunque un libro da consigliare, e magari anche da regalare.

Detto questo, da quando Goleman ha scritto, nel 1995, di acqua sotto i ponti ne è passata, e le neuroscienze hanno fatto passi avanti. Chi scrive ha per punto di riferimento la visione di Jaak Panksepp, il fondatore delle neuroscienze affettive. Il punto di vista di Panksepp si può trovare sintetizzato nel nostro libro divulgativo “Le emozioni di base secondo Panksepp”.

Ci sono alcune differenze importanti fra la visione di Goleman e quella di Panksepp. In Goleman, ad esempio, passa l’idea che le emozioni siano degli istinti provenienti da un mondo preistorico in cui la vita era più difficile e violenta. Le emozioni sarebbero un residuo obsoleto che bisogna in qualche modo accomodare, se vogliamo vivere una vita di successo nel mondo civilizzato e tecnologico in cui ci troviamo.5 Questa visione è accompagnata da uno spazio argomentativo polarizzato sull’evitamento delle tre grandi emozioni a valenza negativa (rabbia, tristezza, paura) e da una riflessione meno incisiva sulle possibilità di vivere attivamente le affettività positive quali amore, felicità, sorpresa.

Nella visione di Panksepp, invece, le emozioni appaiono come una sorgente primordiale di vita a cui dobbiamo imparare ad attingere. La società non è resa possibile dalla ragione che addomestica degli istinti emotivi pericolosi ed irrazionali. La società è ricondotta invece precisamente all’azione delle emozioni, che ci spingono a cercare gli altri uomini e a costruire legami durevoli. Il ruolo della ragione non è anzitutto quello di dettare le regole che rendono possibile la società, il ruolo della ragione è quello di riconoscere e modulare queste fondamentali sorgenti di vita che sono le emozioni.

Le emozioni fondamentali secondo Goleman e secondo Panksepp

P.S. Per chi volesse leggere il libro originale di Goleman, si tenga presente che Goleman insiste davvero tanto sul ruolo centrale dell’amigdala come sorgente centrale delle emozioni, ma questa è una posizione che oggi non è più sostenibile. Panksepp al riguardo è molto esplicito.6

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L’intelligenza emotiva, un fattore eterogeneo

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Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione

1Il restante 80% include fattori di svariata natura, che possono andare dalla famiglia di origine alla fortuna, e includono anche l’intelligenza emotiva.

2Chi scrive preferisce le soluzioni che non ricorrono agli psicofarmaci

3Pagina 366

4Pagina 407, in riferimento ad un corso ideato da Steven Asher (“Helping Children Without Friends in Home and School Contexts”).

5Questo modo di vedere il ruolo delle emozioni è riflesso in modo evidente nel concetto di “sequestro emozionale”, che Goleman impiega molte volte nel suo libro. Questa impostazione alimenta l’idea che le emozioni siano un qualcosa di pericoloso da tenere a bada, e implicitamente le relega ad un ruolo secondario rispetto alla funzione di regia esercitata dalla ragione. In questo modo si ripresenta un dualismo netto fra ragione ed emozioni che lo stesso Goleman in alcuni passaggi denuncia.

6Si consideri il parere di Jaak Panksepp a riguardo del lavoro di Joseph Ledoux, che è uno dei riferimenti principali di Goleman: “Ma ha anche, purtroppo, condotto all’idea sbagliata che l’amigdala sia letteralmente il quartier generale – La Grande Stazione Centrale – per la produzione delle emozioni in generale. Non lo è.”

Jaak Panksepp e Lucy Biven. “The Archaeology of Mind. Neuroevolutionary origins of Human Emotions” (New York e Londra: 2012, Norton & Company) pagina 228.

L’intelligenza emotiva, un fattore eterogeneo

Il concetto di intelligenza emotiva é diventato famoso col libro omonimo di Daniel Goleman, scritto nel 1995. Sul nostro sito é disponibile un articolo in cui proponiamo un riassunto sintetico dei concetti principali esposti nel libro di Goleman. In questo post invece,  cercheremo di capire il fondamento scientifico del concetto di intelligenza emotiva, appoggiandoci in particolare ad un lavoro di Adrian Furnham.2

UN CAMPO DI APPLICAZIONE DELL’INTELLIGENZA GENERALE

Per mettere a fuoco il nodo concettuale dell’intelligenza emotiva può essere utile costruirci un esempio. Se fin da piccoli siete sempre stati appassionati di automobili e avete colto tutte le occasioni per impararne qualcosa, probabilmente ora le conoscerete molto bene, e potremo dire che avete una grande intelligenza automobilistica. Non per questo però sarà lecito ritenere che l’intelligenza automobilistica sia una struttura profonda del pensiero, con una natura ben distinta da quella dell’intelligenza generale. Al contrario, sembrerà più opportuno concepire lo sviluppo della vostra intelligenza automobilistica come una conseguenza del vostro livello di intelligenza generale e della continua frequentazione del mondo delle automobili. Le cose stanno in modo simile per quanto riguarda il caso dell’intelligenza emotiva, che non sembra essere tanto un tipo specifico di intelligenza, quanto il risultato di un’intelligenza generale applicata al mondo delle dinamiche emotive.

Il concetto di intelligenza generale si sviluppa nella moderna psicologia a partire dall’osservazione di Charles Spearman per cui i risultati scolastici nelle differenti materie sono collegati fra di loro, nel senso che di solito gli studenti ottengono risultati di un livello simile in tutte le materie, piuttosto che risultati di livello molto differente da una materia all’altra. Da ciò nasce l’ipotesi che vi sia un fattore generale di intelligenza al quale sono collegate tutte le prestazioni cognitive nei diversi campi del sapere.

Ciò di cui stiamo parlando è il quoziente di intelligenza che si misura normalmente nei test psicometrici. La rilevazione statistica di questa intelligenza generale non implica che se ne conosca la natura biologica, non ci dice se essa dipenda per esempio dal numero di neuroni, da quanto gli assoni dei neuroni sono intrecciati o da quanto frequentemente si attivino.3 Ciò che viene misurato è un’abilità largamente a valle delle strutture biologiche fondamentali da cui si origina, e che nondimeno presenta un significativo carattere di generalità.

MISURARE L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Fra i campi di applicazione degli studi sull’intelligenza emotiva vi sono il mondo del lavoro, dell’educazione, della salute. L’obiettivo di molti studi è quello di stabilire una correlazione fra le misure di intelligenza emotiva ed i risultati raggiunti da lavoratori, dirigenti, studenti, insegnanti, medici, etc. Nel prendere in considerazione il modo in cui viene definita e misurata l’intelligenza emotiva notiamo che vi sono tanti autori che se ne occupano, molti dei quali propongono una descrizione differente. Il tratto comune alle varie definizioni è l’abilità di riconoscere e regolare le emozioni sia in sé stessi che nell’ambito delle relazioni interpersonali.

Al di lá del modo in cui si definisce l’intelligenza emotiva, le misurazioni che se ne possono fare sono di due tipi fondamentali, il primo dei quali consiste nell’utilizzo di report composti di domande che chiedono al soggetto di autovalutarsi. Il vantaggio di tali questionari è la possibilità di interrogare direttamente gli aspetti qualitativi del vissuto personale. Lo svantaggio è che i soggetti possono alterare deliberatamente o inconsciamente le risposte, ad esempio per dare una migliore immagine di sé.x

L’altro metodo per misurare l’intelligenza emotiva consiste nel sottoporre i soggetti a dei test di abilità che non implicano i problemi collegati all’autovalutazione. Ad esempio, si mostra ai soggetti un’espressione facciale e gli si chiede di indicare a che emozione corrisponde. Si può chiedere anche di connettere le emozioni più adeguate a certi dipinti, fotografie, registrazioni vocali o descrizioni di situazione. Un’altra possibilità è verificare la capacità di individuare come si trasforma un’emozione a seguito di un’intensificazione.4

Furnham ha sviluppato insieme a K.V. Petrides un questionario per la misurazione dell’intelligenza emotiva che prende il nome di TEIQue.5 Nel 2016 Annamaria di Fabio ha pubblicato un articolo che si occupava di esaminare la validità della versione italiana di tale questionario su di un campione di 1154 giovani adulti italiani.6 Nel corso di questa ricerca è emersa una buona corrispondenza fra il questionario TEIQue ed un altro questionario molto popolare, quello sviluppato da Reuven Bar-on. Risulta invece bassa la correlazione fra il questionario TEIQue ed il test di abilità di Mayer, Caruso e Salovey (uno dei più importanti), ad indicare che le due procedure misurano qualcosa di diverso. La correlazione del TEIQue con il modello dei cinque fattori è moderatamente positiva: l’intelligenza emotiva da esso misurata “si sovrappone ad alcuni aspetti della personalità, ma è configurata come un costrutto distinto.”

ALCUNE CONCLUSIONI

Nel 1983 Gardner propose l’ipotesi che vi fossero 7 tipi fondamentali di intelligenza distinti uno dall’altro.7 Tale ipotesi si poneva come alternativa al fatto che vi fosse un unico fattore generale di intelligenza, ma in seguito vi sono stati alcuni studi che hanno riaffermato la validitá interpretativa del fattore unico. Il caso dell’intelligenza emotiva è simile a quello delle intelligenze multiple individuate anzitutto da Gardner e successivamente da altri. L’intelligenza emotiva sembra interpretabile meglio come un’applicazione dell’intelligenza generale al campo socio-emotivo, e non come un tipo di intelligenza a sé stante.

Per quanto riguarda la possibilità di stabilire una misurazione sicura e utile dell’intelligenza emotiva, al di là dei problemi specifici dell’autovalutazione, sembra più opportuno attendere che venga accumulata una maggiore mole di dati su cui vengano poi effettuate della meta-analisi di spessore adeguato.

L’intelligenza emotiva si presenta come un fattore parzialmente sovrapposto a ciò che già in precedenza veniva chiamato intelligenza sociale e a ciò che Gardner, ad esempio, indicava come intelligenza interpersonale e intrapersonale. Ciò non toglie che il gruppo di abilità collegate all’intelligenza emotiva abbia una notevole importanza pratica, ed il rinnovato focus di interesse sulle emozioni è da vedere con occhio positivo, anche se al momento gli studi scientifici di questo settore sembrano trascurare la natura delle emozioni fondamentali.

Facendo una ricerca su Google Scholar con la parola chiave “intelligenza emotiva”, ho scaricato una ventina di articoli accademici di cui ho controllato l’abstract e alcune bibliografie. In ció che ho letto non ho trovato riferimento alle neuroscienze affettive di Jaak Panksepp, che sono un ottimo punto di riferimento per chi vuole comprendere quali siano i sistemi emotivi fondamentali. Sembra che l’attenzione dei lavori sull’intelligenza emotiva si concentri sul problema della misurazione, ma non su quali siano le emozioni di base che andrebbero riconosciute e regolate dai soggetti coinvolti nei test. Si dà per scontato il riferimento alle emozioni tipiche degli studi sulle espressioni facciali, che peró sono differenti da quelle individuate dagli studi di Jaak Panksepp. Per approfondire questo tema si possono leggere questi due articoli: Le emozioni di base secondo Panksepp, oppure Paul Ekman e le emozioni di base.

1 Consiglio ad esempio quella che si trova sul sito tramedoro.eu

2 Adrian Furnham, Emotional Intelligence, (2012 INTECH Open Access Publisher). Ho scelto questo testo per via dell’autorevolezza dell’autore, perché ha contribuito a sviluppare uno dei test di riferimento per l’intelligenza emotiva, e perché tale testo è impostato come una meta-analisi che compara l’esito di approcci differenti al tema dell’intelligenza emotiva.

3 Si tratta di esempi di fantasia, non significativi.

3 Tale problema di misurazione viene meno là dove l’impiego di tali questionari si dimostra in grado di prevedere una variabile concreta quale il rendimento scolastico o la carriera in ambito professionale. Questa capacità previsionale è ciò che hanno di mira i ricercatori e si pone, per così dire, a valle di tutto. Se c’è quella, qualsiasi cosa possa essere accaduta nella mente di chi ha compilato i questionari non è più un’obiezione valida. Se infatti l’obiezione fosse stata valida, sarebbe stato impossibile riscontrare la capacità previsionale. Se c’è vento e devo tirare la freccia, si può giustamente dubitare della mia capacità di colpire il bersaglio. Ma la successiva osservazione di quante volte colpisco il bersaglio non vale di meno a causa di quei dubbi.

4 John D. Mayer, Peter Salovey and David R. Caruso, “Emotional Intelligence. New Ability or Eclectic Traits?,” American Psychologist Vol. 63, No. 6, (2008 September), 503–517. doi: 10.1037/0003-066X.63.6.503

5 Trait Emotional Intelligence Questionnaire. I quindici aspetti su cui si basa sono: adattabilità, assertività, espressione delle emozioni, gestione delle emozioni, percezione delle emozioni, regolazione delle emozioni, impulsività, abilità relazionale, autostima, automotivazione, competenza sociale, gestione dello stress, empatia, felicità, ottimismo.

6 Annamaria Di Fabio, Donald H. Saklofske and Paul F. Tremblay, “Psychometric properties of the Italian trait emotional intelligence questionnaire (I-TEIQue),” Personality and Individual Differences 96, (2016), 198–201. doi: http://dx.doi.org/10.1016/j.paid.2016.03.009.

7 Linguistico-verbale, logico-matematica, musicale, corporea, spaziale, interpersonale, intrapersonale.