Emmanuel Todd e la sequenza alfabetizzazione-rivoluzione-calo della fecondità.

 Frammenti tratti da: Emanuel Todd Dopo L’impero. La dissoluzione del sistema americano.Marco Tropea Editore. 2003

 

Queste riflessioni sono utilissime per capire il senso della rivoluzione invocata dalle masse impoverite dalle dinamiche contemporanee.

 

“Se si tiene conto di un principio di accelerazione, possiamo considerare che per le giovani generazioni l’alfabetizzazione universale del pianeta sarà compiuta all’orizzonte del 2030.” p. 30

 

“Quando gli uomini sanno leggere, scrivere e far di conto, giungono quasi naturalmente ad assumere il controllo del loro ambiente materiale.” p. 31

 

“Quando gli uomini o, più esattamente, le donne sanno leggere e scrivere, incomincia il controllo della fecondità. […] Nel 1981 l’indice mondiale di fecondità era ancora di 3,7 figli per donna. […] Nel 2001 l’indice mondiale di fecondità è sceso a 2,8 figli per donna, cifra ormai molto vicina a quel 2,1 che si limita ad assicurare la semplice riproduzione della popolazione, uno per uno.” p. 32

 

“Alfabetizzazione di massa e controllo delle nascite disegnano insieme una storia del mondo ben più incoraggiante di quella diffusa dall’attualità televisiva.” p. 36

 

“Molto spesso, forse anche nella maggioranza dei casi, il decollo culturale e mentale si accompagna a una crisi di transizione.” p. 37

 

“La sequenza alfabetizzazione-rivoluzione-calo della fecondità, sebbene non sia universale, è abbastanza classica. L’alfabetizzazione degli uomini progredisce più rapidamente di quella delle donne, ovunque tranne nelle Antille.” p.38

 

“La destabilizzazione politica, opera degli uomini, precede quindi, in generale, la diffusione del controllo delle nascite, che dipende soprattutto dalle donne. In Francia, il controllo delle nascite si generalizza dopo la rivoluzione del 1789; in Russia, il calo massiccio della fecondità è seguito alla presa del potere da parte dei bolscevichi e ha coperto l’insieme del periodo stalinista.” p. 39

 

“Nel caso della Russia come in quello della Francia e della Germania, la transizione è stata una fase particolarmente agitata.” p. 39

 

“Anche se è difficile e sembra contraddire l’evidenza, occorre accettare l’idea che nella maggior parte dei casi le crisi e i massacri descritti senza sosta dai media non siano fenomeni semplicemente regressivi, ma irregolarità transitorie, legate al processo stesso di modernizzazione; e che ai disordini debba succedere automaticamente una stabilizzazione, nell’assenza totale di interventi esterni.” p. 40

 

 “Il mondo musulmano, molto differenziato se si considerano i suoi livelli di sviluppo educativo, è comunque globalmente in ritardo sull’Europa, la Russia, la Cina e il Giappone. È per questo che, nella fase storica che stiamo attraversando, numerosi paesi musulmani stanno effettuando adesso il grande passaggio.” pp. 40-41

 

 “La nozione di terrorismo universale, assurda dal punto di vista del mondo musulmano, che uscirà dalla sua crisi di transizione attraverso un processo automatico di distensione senza interventi esterni, è utile soltanto a un’America che ha bisogno di un Vecchio mondo infiammato da uno stato di guerra permanente.” p. 47

 

Leggi l’articolo principale su Emmanuel Todd

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CONTRO IL RUMORE

Le aringhe, le donne e i discorsi

Questo articolo è stato scritto in risposta all’articolo di Federico Sollazzo: “Se una para-democrazia si fa dogma” pubblicato sulla rivista Critica Liberale il 17 giugno 2013.

1 – LA DISTRAZIONE DEL PREDATORE

Konrad Lorenz si chiedeva il motivo per cui molti pesci piccoli ed indifesi come le aringhe si muovono in branchi. A prima vista non è molto logico, sembra che si faccia un favore al predatore riunendo tutti gli obiettivi in un volume relativamente piccolo. Non sarebbe meglio, dal punto di vista delle aringhe, disperdersi in uno spazio il più ampio possibile? La spiegazione di Lorenz è che quando il predatore si lancia all’attacco non riesce a mantenere la concentrazione su una singola aringa perché viene distratto dalla possibilità di catturarne un’altra che nel frattempo è divenuta più vicina. Spostando continuamente la concentrazione da un’aringa all’altra, il predatore si trova a dover prevedere la posizione futura di una preda di cui conosce la posizione presente ma non la velocità e la direzione di provenienza.

2 – IL MOMENTO DI CHIUSURA

Io non sto facendo immersioni fra i banchi di aringhe, sto bevendo un succo di frutta in un caffè nella via centrale di Szeged, dove fa caldo e per strada passano tante donne vestite poco. Ma se mi giro a guardarle tutte, non ne conquisterò nessuna. Forse la mia situazione non è poi tanto diversa da quella descritta da Lorenz.

È finito il tempo in cui si diceva che i sensi erano una cosa cattiva, ma un’autodisciplina è necessaria. Non possiamo guardare tutto quello che ci si propone alla vista. Bisogna esercitare un autocontrollo tenendo le porte normalmente chiuse ai suggerimenti dei sensi. L’apertura al mondo è necessaria ma va circoscritta, non nei suoi tratti qualitativi, ma dal punto di vista dell’estensione. Infatti, tale apertura trova un suo motivo d’essere nella possibilità che ci dà di attingere all’inesauribile alterità del mondo, e questo si lega al suggerimento di Federico di non definire la qualità che richiediamo ad un discorso. Sempre parlando di donne ma intendendo discorsi: non bisogna farsi distrarre da tutte quelle che passano per strada, bisogna coltivare alcune amicizie in privato.

3 – UNA SITUAZIONE SFAVOREVOLE

C’è da dire che in quanto fruitori di discorsi ci troviamo in una situazione più svantaggiata rispetto ai predatori di aringhe e a quelli di donne. Nel momento in cui il predatore dovesse risolvere la sua incertezza, scegliendo definitivamente la preda da inseguire, riuscirebbe a prevederne i movimenti e a mangiarla (o almeno si spera, dal punto di vista del predatore…).

Mettiamoci invece nei panni del cittadino, soprattutto di quello giovane in fase di formazione, che si trova a dover valutare un ventaglio di discorsi politici. Il suo primo problema è quello di scegliere fra questi discorsi che si rinnegano l’un l’altro. Ma se anche poi si decide a compiere una scelta, non è detto che con ciò abbia risolto il problema, anzi, è facile che il discorso politico scelto si riveli essere un inganno.

4 – IL SOVRACCARICO

Forse possiamo individuare un paio di caratteristiche della situazione di rumore nella presenza di molti discorsi alternativi e nell’inconsistenza di molti di essi. Si pone quindi il problema di adottare una strategia di ricerca fra le alternative. Dedicando poco tempo a ciascuna alternativa si finisce per non essere in grado di riconoscere i discorsi più profondi, passandoci sopra senza riconoscerli. Se invece vogliamo esaminare con più attenzione ogni alternativa, il carico di lavoro che ci sobbarchiamo diventa insostenibile. E’ così che si attua la censura del rumore.

5 – INSUFFICIENZA DEI METODI PREDETERMINATI

Il ruolo dei dispositivi selettivi sarebbe quello di sfoltire il fascio delle alternative eliminando quelle di qualità insufficiente. Una prima osservazione che mi viene in mente da fare su questi dispositivi selettivi riguarda la loro natura. La necessità, evidenzata da Federico, di preservare la natura sfuggente della qualità dei discorsi ci consiglia di evitare qualsiasi metodo predeterminato e sembra richiede l’impiego in prima linea della capacità di giudizio di una mente. Un esempio di questo lo si trova nelle riviste di maggior prestigio internazionale, le quali adottano dei meccanismi di revisione paritaria per valutare gli articoli da pubblicare.

6 – UNA REDENZIONE TOTALE?

Una seconda osservazione riguarda l’ambito di applicazione di tali meccanismi selettivi. A tratti percepisco nelle parole di Federico l’idea di una rimozione completa del rumore, altre volte mi sembra che abbia in mente uno spazio privilegiato, per esempio nel passo in cui dice che gli scenari di qualità si dovrebbero distinguere anche “nei tempi e nei luoghi […] dal rumore”.

Personalmente, mi pare che l’uomo libero lasciato a sé stesso abbia dimostrato che nel 90% dei casi ha per obiettivo di vita lo starsene seduto tranquillo in poltrona a guardare la TV. O qualcosa di simile. Con questa premessa, temo che ciò in cui possiamo sperare sia al massimo la creazione di luoghi circoscritti in cui il rumore non abbia accesso. Mi sembra difficile una rimozione del rumore da tutte le case e le strade del mondo.

7 – UN GIARDINO PRIVATO

Se penso a dei luoghi ristretti nei quali abbia luogo la rimozione del rumore, mi vengono in mente un paio di alternative. La prima è che ad essere bonificate dal rumore siano le zone sociali prossime o interne alle istituzioni dello stato. Ad esempio i discorsi del parlamento. Questo sarebbe auspicabile, ma fatico a credere che possa avvenire. La seconda alternativa è che ad essere pulito dal rumore sia un contesto sociale privato, delimitato, altro dalle istituzioni. Qui il rischio è quello di trovarsi a non parlare più di questioni politiche generali, ma della gestione di un’organizzazione specifica con fini specifici.

8 – I MOLTI GIARDINI

Come si può fare ad evitare questo rischio, ad assumere una posizione contraria al rumore che sia praticamente sostenibile ma senza ritirarsi in un ambito politicamente troppo circoscritto? E’ possibile enunciare una serie di norme da mettere in atto per “vivere intensamente”1 (e non soltanto sopravvivere) in un mondo di rumore? E’ concepibile un manuale pratico contro il rumore, avente per destinatari i cittadini e in grado di facilitare la loro cooperazione in organismi sociali in grado di difendersi da un ambiente irrimediabilmente rumoroso?

  1. Come auspicava Federico in un precedente scambio di pareri.

Articolo protetto con safecreative

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IL GOVERNO LETTA? GRILLO CI SPERA…

I cinque stelle stavano perdendo punti per l’incapacità di compiere un discorso propositivo valido, ma la mossa di Rodotà è stata abile e ha consentito loro di recuperare dei punti. Adesso l’insediamento di un governo Letta dichiaratamente sostenuto da PD e PDL sarebbe per Grillo e Casaleggio un evento fortunato: li toglierebbe dall’impaccio di dover assumere un ruolo attivo e li collocherebbe nei panni degli oppositori in cui si trovano tanto bene. Senza contare che la crisi non si attenuerà minimamente nel futuro immediato, e sappiamo che nei momenti di difficoltà reale le forze d’opposizione guadagnano voti. La lega di Maroni non è più la lega di Bossi(1), e Vendola ha il problema di dover fare qualcosa di simile a Grillo ma senza dare l’impressione di seguirlo. Ne segue che i frutti politici della crisi sembrano destinati ad essere raccolti dai cinque stelle, sempre ipotizzando un governo Letta durevole.
Complessivamente il giocatore migliore in campo (che si faccia o meno il governo Letta) si è rivelato essere Berlusconi, perché il consenso recuperato se l’è guadagnato lui combattendo sul campo, mentre il successo di Grillo è dovuto in parte non trascurabile alle circostanze(2). Grillo (o chi lo consiglia) deve ancora dimostrare quello che vale(3). Renzi invece sarà anche bravo, ma l’accostamento che è stato fatto fra lui e Berlusconi è improprio e finisce per rivelare i limiti del sindaco di Firenze, che non ha spazio di manovra autonoma al di fuori del partito da cui proviene, a cui non può ordinare cosa fare. Il grande perdente, lo sanno tutti, è il PD. Perché pur essendo l’entità politica più programmaticamente devota allo straniero è quella che è riuscita a trarre meno vantaggio dalla debolezza del contesto interno.

 

(1) Campagne giudiziarie a parte, il Bossi di una volta saprebbe prendere Grillo di petto mettendone in luce i punti deboli più di quello che non sanno o non possono fare i leader oggi in campo.
(2) La forza della crisi
(3) Per quanto riguarda la posizione di Grillo sul 25 Aprile, la trovo consona al ruolo storico che fino ad ora è lecito attribuire ai cinque stelle: attirare le forze di protesta in un rumore privo di identità, dimentico della storia. Staremo a vedere se nel corpo del movimento si formeranno delle linee di pensiero dotate di maggiore coscienza storica; e soprattutto vedremo come G&C le gestiranno.

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IL GRILLO STUDENTE

Il sondaggio con cui il movimento 5 stelle ha proposto dei nomi per il Quirinale obbliga a una mossa scomoda PD e PDL. Accettare la proposta di Grillo significherebbe concedergli una grande vittoria. Rifiutandola però il consenso dell’establishment non ne guadagnerebbe, in particolare per la modalità “democratica” della scelta dei nomi. Quanto velocemente Grillo sta imparando a fare politica? Al di là di quello che è stato il movimento 5 stelle prima delle elezioni, è utile chiedersi cosa diventerà, perché ormai si tratta di una presenza parlamentare consistente destinata ad avere delle conseguenze. Quali leggi voteranno? A quali parti reali del paese si accosteranno? Grillo e Casaleggio hanno la stoffa per cavalcare il consenso così come hanno saputo fare per tanto tempo Bossi e Berlusconi? E dunque: sapranno anche loro prendere per il naso l’incapacità strategica cronica della sinistra italiana?

 

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EMMANUEL TODD CONTRO LA CRISI: IL PROTEZIONISMO EUROPEO

RIFLESSIONI SULLO SCRITTO DI EMMANUEL TODD[1]: APRÈS LA DÉMOCRATIE (DOPO LA DEMOCRAZIA)[2]

LA FATTORIA DEGLI ANIMALI 2.0[3]

(Sulla contrazione della domanda provocata dalla globalizzazione)
C’era una volta una grande Fattoria in cui i Cani compravano solo le merci prodotte dai Cani e i Gatti compravano soltanto quelle prodotte dai Gatti. I capi dei Cani non avevano interesse ad abbassare gli stipendi dei loro dipendenti Cani, perché altrimenti questi avrebbero comprato di meno dalle bancarelle del mercato dei Cani.

Poi venne un giorno in cui i capi di tutte le specie animali della Fattoria fecero una Riunione Generale in cui si decise una svolta verso il Libero Scambio. Il mercato dei Cani non sarebbe più stato diviso da quello dei Gatti, dei Conigli, dei Maiali e di tutti gli altri animali della Fattoria. Ognuno avrebbe potuto acquistare anche i prodotti degli altri animali, scegliendo liberamente quello di qualità migliore e al prezzo più conveniente.

Il presidente del consiglio dei cani
Nei giorni successivi alla Riunione Generale, i capi dei Cani fecero una riunione segreta fra di loro, in cui qualcuno disse: “Perché tenere alto lo stipendio dei nostri dipendenti Cani se poi quelli lo usano per comprare anche le merci dei Gatti e dei Cavalli? Se noi gli abbassiamo lo stipendio i nostri prodotti costeranno di meno e potremo venderli anche sui mercati degli altri animali, vincendo la concorrenza!”.

Così fecero. All’inizio alcuni dei dipendenti Cani protestarono per la riduzione dello stipendio, ma poi videro che con il Libero Scambio potevano comprare i collari ed i guinzagli dai Topi ad un prezzo molto più basso rispetto alle bancarelle dei Cani. Così i dipendenti Cani compensarono il ridimensionamento della busta paga con la disponibilità di prodotti più economici, in particolare quelli provenienti dai Topi, dalle Galline e dai Corvi.

I capi dei Cani erano tre volte contenti: potevano anche loro comprare dei prodotti a miglior prezzo, i loro dipendenti costavano meno, e avevano iniziato a vendere anche ai Maiali, alle Mucche ed ai Cavalli. C’era stata in particolare l’acquisizione di una commessa di carrozze che aveva portato buonumore nel quartier generale dei Cani; fu in quell’occasione che sui giornali dei Cani apparvero dei titoli che lodavano i successi del Libero Scambio, grazie al quale il Progresso ed il Benessere avrebbero regnato per sempre in tutta la Fattoria; soprattutto nella zona dove vivevano i Cani.

Ma era destino che le cose andassero diversamente. A distanza di un paio di mesi dalla Riunione Generale, anche i capi dei Gatti decisero di abbassare lo stipendio dei loro dipendenti per avere manodopera a basso prezzo, contrastando così la strategia dei Cani. A breve seguirono le Anatre e poi i Cavalli, che volevano riprendersi gli ordini di carrozze che avevano perso. Nel giro di una stagione tutti i capi delle diverse razze animali presenti nella Fattoria avevano deciso di abbassare lo stipendio dei loro dipendenti, ed i Cani persero il vantaggio competitivo che avevano acquisito sui mercati degli altri animali.

Ci fu allora un’altra riunione dei capi dei Cani in cui si decise un ulteriore abbassamento degli stipendi. Anche in quel caso il vantaggio acquisito fu solo temporaneo, perché i capi degli altri animali seguirono un’altra volta la strada intrapresa dai Cani. Gli animali dipendenti si lamentavano, perché a questo punto l’abbassamento dello stipendio prevaleva sul vantaggio di avere alcuni prodotti a minor costo; ma questo ai capi non interessava molto, perché abbassando gli stipendi riuscivano comunque a tener bassi i costi di produzione e ad aumentare i profitti delle loro aziende.

Si innestò così una spirale di riduzione degli stipendi che portò tutti gli animali dipendenti a guadagnare di meno. La conseguenza fu che ad un certo punto i mercati della Fattoria erano frequentati da animali più poveri ripetto all’epoca in cui era iniziato il Libero Scambio, e complessivamente le vendite di tutte le bancarelle della Fattoria erano notevolmente diminuite.

I capi degli animali avevano intrapreso una lotta fra di loro per aumentare la rispettiva fetta di mercato, ma avevano finito per provocare un restringimento del mercato nel suo complesso.

All’inizio della storia gli stipendi dei Cani non venivano abbassati perché i capi dei Cani sentivano il mercato dei Cani come una cosa propria, e sapevano che abbassando gli stipendi il mercato sarebbe diventato più debole e le industrie dei Cani poi avrebbero venduto meno prodotti. Con il Libero Scambio, i capi dei Cani non hanno più pensato che il mercato dei Cani in qualche modo gli appartenesse, perché anche gli altri animali potevano entrarvi a piazzare dei punti vendita per i loro prodotti.[4] Con il Libero Scambio, i capi dei Cani hanno iniziato a pensare ai dipendenti soltanto come ad un bene da sfruttare il più possibile per aumentare i profitti e abbassare il costo dei prodotti, destinati alla vendita in tutta la Fattoria, non soltanto ai Cani. Abbiamo visto come l’esito di questa strategia si sia rivelato fallimentare.

La soluzione a questo stato di cose esiste, ed è che in tutta la Fattoria ci sia un’unica assemblea dei capi che decida gli stipendi. Così facendo l’assemblea dei capi potrà tornare a pensare che tutelando gli stipendi di chi produce si tutela la forza del mercato a cui si vendono i prodotti. Il nesso fondamentale che emerge dalla favola è che ci dev’essere una corrispondenza fra l’estensione del mercato e la struttura decisionale che regola il mercato, fra spazio economico e spazio politico. E visto che il progresso tecnologico ed il contesto internazionale hanno creato dei mercati più ampi, ne segue che anche la struttura politica si deve ampliare.

A questo punto il pensiero potrebbe scivolare facilmente nell’idea di un unico governo mondiale che risolva alla radice il problema, ma non è questa la via che ci indica Emmanuel Todd.

UN PROTEZIONISMO EUROPEO PER SALVARE LA DEMOCRAZIA E LA DOMANDA

Il libro di Todd si intitola “Dopo la democrazia”, analizza la società francese, e si preoccupa del futuro. Alcune delle problematiche che tratta sono la mancanza di valori collettivi e la divisione della popolazione in una fascia di istruzione elevata e in una di livello inferiore, la natura irresponsabile delle élite al potere e la possibile deriva politica in direzione razzista o antisemita.

Secondo Todd, il problema principale che minaccia il proseguimento dell’esperienza democratica in Francia come in Europa è la compressione indefinita dei salari, la quale è conseguenza della dottrina del Libero Scambio impostosi come pensiero unico a partire dagli anni Ottanta: “Si tratta di sfuggire all’incubo attuale: la caccia alla domanda esterna, la contrazione indefinita dei salari per far abbassare i costi della produzione, l’abbassamento conseguente della domanda interna, la caccia alla domanda esterna, etc., etc.”[5]

Come abbiamo visto sopra la soluzione può essere una ritrovata coincidenza fra lo spazio economico e quello politico, ma non a livello mondiale: “La democrazia planetaria è un’utopia. La realtà è che, all’opposto, abbiamo la minaccia di una generalizzazione delle dittature. Se il Libero Scambio dovesse generare uno spazio economico planetario, la sola forma politica concepibile alla scala mondiale sarebbe la «governance», designazione pudica di un sistema autoritario in gestazione. Ma perché allora, visto che esiste uno spazio economico europeo già ben integrato, non si può elevare la democrazia al suo livello?”[6]

Secondo Todd dunque la Fattoria giusta in cui unificare il governo non è il mondo ma l’Europa, e naturalmente questa Fattoria non deve praticare il Libero Scambio nei confronti delle altre Fattorie, altrimenti il gioco perverso verrebbe semplicemente spostato ad una scala maggiore. Stiamo dunque parlando di protezionismo a livello europeo.

I teorici statunitensi fanno l’elenco dei danni che il Libero Scambio ha arrecato agli Stati Uniti, ma poi concludono la loro analisi dicendo che non c’è alternativa, in quanto negli Stati Uniti la struttura industriale si è deteriorata eccessivamente e rende inverosimile una rapida ricostituzione della capacità produttiva, che sarebbe necessaria in uno scenario protezionista. Al contrario l’Europa è ancora in grado di produrre di tutto, e si trova ad essere, fra il declino degli Stati Uniti e la crescita della Cina, la maggior concentrazione di competenze tecniche del pianeta.[7]

Il protezionismo di cui parla Todd non è una chiusura netta: “Per quanto mi concerne, spingo la moderazione del protezionismo fino a distinguere accuratamente, al contrario degli ideologi della globalizzazione mascherati da economisti, il movimento delle merci da quello dei fattori di produzione. Da buon discepolo di Friedrich List, sono favorevole alla libera circolazione del capitale e del lavoro.”[8] [9]

L’obiettivo primario del protezionismo europeo è di opporsi alla crisi economica e di salvare la democrazia evitando il dramma di una continua diminuzione dei salari.: “Lo scopo del protezionismo non è, fondamentalmente, di respingere le importazioni provenienti dai paesi esterni al privilegio comunitario, ma di creare le condizioni per una crescita dei salari.”[10] “La crescita dei redditi implica un rilancio della domanda interna europea, che comporta di per sé stessa un rilancio delle importazioni.”[11]

Posto il protezionismo europeo come obiettivo, Todd fa un gioco di simulazione (da un punto di vista Francese) per capire come lo si possa raggiungere. Per quanto riguarda l’Inghilterra, Todd dice che inizialmente non potrà accettare una svolta in senso protezionistico perché il Libero Scambio è una parte troppo importante dell’identità nazionale inglese. La Germania sta al centro del suo ragionamento: la Francia dovrebbe affrontarla in modo diretto convincendola a preoccuparsi di più del mercato interno europeo e invitando i tedeschi a una svolta verso il protezionismo a livello europeo. Se si rifiutano, la Francia dovrebbe minacciare la propria uscita dall’Euro, che provocherebbe in modo quasi automatico la stessa mossa da parte dell’Italia.

Gli economisti che parlano in televisione fanno finta di non conoscere il problema dell’impoverimento dei mercati descritto nella favola, perché altrimenti dovrebbero ammettere che il Libero Scambio genera dei problemi e smetterebbero di essere economisti alla moda (e di prendere sovvenzioni dai capi dei Cani).
Questi economisti dicono che il protezionismo è una cosa vecchia e che non fa parte del futuro luminoso verso cui ci siamo incamminati, ma forse si sbagliano. Emmanuel Todd ci invita a riflettere su di un protezionismo intelligente esteso dalla Gran Bretagna alla Russia: “Lo spazio politico e quello economico coincideranno di nuovo. La nuova forma politica così creata sarà di un genere nuovo, implicante delle modificazioni istituzionali complesse. Ma si può affermare che in questo caso, e solo in questo caso, dopo la democrazia, ci sarà ancora la democrazia.”[12]

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  1. [1]Emmanuel Todd, sociologo e demografo francese formatosi all’Università di Cambridge, è ricercatore presso l’Institut national des études demographiques di Parigi.
  2. [2]Todd, E. (2008) Après la démocratie, Gallimard, Collana: Folio actuel.
    Questo articolo prende spunto dalla lettura dell’ultimo capitolo di Après la démocratie (pagg 259-298). Nel momento in cui scrivo il libro non è disponibile né in lingua italiana né in lingua inglese. Si tratta di un’analisi della società francese che arriva ad alcune conclusioni rilevanti anche a livello europeo. Una più completa esposizione della teoria di Todd (una critica non marxista del capitalismo) si può trovare in:
    Todd, E. (2004) L’illusione economica. La crisi globale del neoliberismo, Milano, Tropea.
  3. [3]La fattoria degli animali è quel libro in cui Orwell racconta le vicende degli animali in un’ipotetica fattoria, facendo la parodia della nascita di una dittatura.
  4. [4]In questo senso potremmo anche dire che il Libero Scambio implica una sorta di comunismo dei mercati, in quanto il mercato di ciascuna specie animale viene ad “appartenere” ai venditori di tutte le specie animali.
  5. [5]“Il s’agit d’échapper au cauchemar actuel: la chasse à la demande extérieure, la contraction indéfinie des salaires pour faire baisser les coûts de production, la baisse résultante de la demande intérieure, la chasse à la demande extérieure, etc.,etc.”
    Todd, E. (2008) Pag 293
  6. [6]“La démocratie planétaire est une utopie. La réalité, c’est, à l’opposé, la menace d’une généralisation des dictatures. Si le libre-échange engendre un espace économique planétaire, la seule forme politique concevable a l’échelle mondiale est la «gouvernance», désignation pudique du système autoritaire en gestation. Mais pourquoi alors, puisqu’il existe un espace économique européen déjà bien intégré, ne pas élever la démocratie à son niveau?”
    Todd, E. (2008) Pagg 290-291
  7. [7]Todd, E. (2008) Pag 292
  8. [8]Todd, E. (2004) Pag 21
  9. [9]Un esempio nel settore tessile potrebbe essere il seguente: i tessuti che si usano in Europa devono essere prodotti in Europa, ma le macchine per fare i tessuti possono essere fatte in Europa e vendute alla Cina o fatte dalla Cina e comprate dall’Europa. La Cina potrebbe usare i suoi soldi per comprare fabbriche europee di tessuti, ma con l’obbligo intrinseco di mantenerle funzionanti in Europa.
  10. [10]“Le but du protectionnisme n’est pas, fondamentalement, de repousser les importations venues des pays situés à l’extérieur de la préférence communautaire, mais de créer les conditions d’une remontée des salaires.
    Todd, E. (2008) Pag 293
  11. [11]“La hausse des revenus implique une relance par la demande intérieure européenne, conduisant ellemême à une relance des importations.”
    Todd, E. (2008) Pag 293
  12. [12]“Espaces économique et politique coïncideraient à nouveau. La forme politique ainsi créée serait d’un genre nouveau, impliquant des modifications institutionelles complexes. Mais on peut affirmer que dans ce cas, et dans ce cas seulement, après la démocratie, ce serait toujours la démocratie.”
    Todd, E. (2008) Pag 298

USCITA DI SICUREZZA: IL LIBRO DI GIULIO TREMONTI, LA CRISI FINANZIARIA, E LA LEGGE GLASS-STEAGALL

RIFLESSIONI SUL LIBRO DI GIULIO TREMONTI.[1]

1 – PRIMO FLASHBACK: NASCONO I DERIVATI
2 – SECONDO FLASHBACK: IL NOSTRO RISPARMIO VIENE MESSO IN GIOCO ANNULLANDO LA SEPARAZIONE BANCARIA
3 – IL DISCORSO DI GIULIO TREMONTI
4 – LA SOLUZIONE ALLA CRISI

PRIMO FLASHBACK: NASCONO I DERIVATI

Il 24 Marzo 1989 la petroliera Exxon Valdez devia dalla rotta usuale per evitare degli iceberg e finisce contro gli scogli nello stretto del Principe William, in Alaska, riversando in mare quarantamila metri cubi di petrolio. Per le conseguenze di questo disastro ecologico la compagnia petrolifera Exxon rischia di dover pagare un risarcimento di cinque miliardi di dollari, e per tutelarsi chiede alla banca JP Morgan di concederle una linea di credito adeguata: se Exxon dovrà pagare i danni, i soldi le verranno prestati da JP Morgan. JP Morgan accetta per non perdere Exxon come cliente, ma non è contenta, perché rischia di dover prestare una somma enorme che forse Exxon non sarà in grado di restituire. Inoltre JP Morgan è costretta dalle regole bancarie a compensare il rischio di cinque miliardi di dollari che si è assunta tenendo bloccate parecchie centinaia di milioni di dollari come riserva di sicurezza, e quindi non può impiegare tale denaro in altre operazioni più redditizie.
L’idea che verso la fine del 1994 consente a JP Morgan di sbloccare questo denaro è di scambiare[2] quel grosso rischio da cinque miliardi con la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che se lo assume ricevendo in cambio un determinato premio in denaro da JP Morgan, ovviamente di importo inferiore rispetto alla cifra complessiva. Questa operazione è di tipo nuovo, e le viene dato il nome di Credit Default Swap, che si abbrevia in CDS e che in italiano potrebbe suonare come “Scambio del (rischio di) Fallimento di un Credito”.

Ispirata da quanto accaduto, nel 1997 JP Morgan mette a punto un prodotto finanziario che spezzetta alcuni grandi rischi simili a quelli del caso Exxon in una miriade di parti molto piccole rimescolandole poi fra di loro ottenendone tante polpette composte da frammenti di rischio di provenienza diversa. Il rischio di ciascuna polpetta è mediamente basso, in quanto ognuno dei singoli grandi rischi di partenza ne può svalorizzare solo una piccola frazione. Tali polpette appaiono abbastanza sicure da poter essere proposte ad un ampio pubblico il quale si fa garante del rischio che costituisce le polpette in cambio di un premio costante. Proviamo a pensare ad una polpetta da 1.000 euro per la quale il cliente riceve ogni mese un euro: se qualcosa va storto nel rischio X a monte della polpetta, il cliente deve rimborsare al produttore della polpetta la parte corrispondente al rischio X, per esempio 40 euro.
Ecco, questi sono i moderni derivati finanziari. L’aggettivo “derivati” si riferisce alle formule matematiche con cui si fa derivare il valore dei titoli commerciabili (le polpette) dal valore originario di una serie di eventi che stanno a monte, come il rischio di Exxon o la possibilità che certe grandi organizzazioni, nazioni incluse, smettano di pagare i loro debiti.

Il lavoro delle banche è fare prestiti, e ad ogni prestito è connesso il rischio di una mancata restituzione. La messa a punto di uno strumento finanziario che consenta di “vendere” il rischio dopo averlo reso “meno rischioso” è un’invenzione in grado di fare epoca, perché permette di diminuire il rischio nei bilanci delle banche. Di conseguenza diminuisce la quantità di soldi che vanno obbligatoriamente tenuti accantonati come scorta, e tali soldi possono essere destinati ad operazioni che offrono profitti maggiori.

Ma ci deve essere stato un errore di messa a punto in quelle formule, perché il rischio sminuzzato e mescolato non cambia affatto il suo peso totale. Non c’è una diminuzione complessiva del rischio ma soltanto una sua distribuzione, alla quale avrebbe dovuto corrispondere un’analoga distribuzione delle scorte di sicurezza, non una loro diminuzione. Tutto va bene finché solo pochi rischi si trasformano in un danno effettivo. Tutto inizia ad andare male quando ci si trova di fronte ad una crisi sistemica con ondate di fallimenti e un aumento drastico del rischio di tutte le polpette.

Nel primo decennio degli anni duemila si fa un utilizzo eccessivo di strumenti finanziari simili a quello descritto, e le cifre collegate diventano astronomiche. È come se una banda di scommettitori avesse puntato una somma 10 volte più grande del mondo[3] su alcuni disastri considerati improbabili ma che adesso stanno accadendo. In questo scenario la finanza ha ben altro di cui preoccuparsi che non della sua funzione sociale originaria, quella di portare i soldi là dove ci sono attività produttive che ne hanno bisogno. E di fronte a cifre così grandi la vita di qualche uomo in più o in meno non rappresenta un fattore che viene preso seriamente in considerazione. Purtroppo per noi.

SECONDO FLASHBACK: IL NOSTRO RISPARMIO VIENE MESSO IN GIOCO ANNULLANDO LA SEPARAZIONE BANCARIA

Uno dei provvedimenti più importanti varati in America per rimediare alla crisi del 1929 è la legge Glass-Steagall (si pronuncia: “glass-stigall”) del 1933, la quale divide le banche ordinarie che gestiscono i risparmi dalle banche d’affari che conducono rischiose operazioni speculative.[4] Nel 1998 Citicorp e Travelers si uniscono a formare il nuovo colosso Citigroup. La legge Glass-Steagall implica la non validità di tale fusione, ma ci sono due anni di tempo prima che gli effetti della legge diventino operativi. I dirigenti della neonata Citigroup si danno da fare e con una campagna di convincimento nei confronti dei politici riescono in ciò che già altre volte era stato tentato senza successo dalla comunità finanziaria. Il 4 Novembre del 1999 la legge Glass-Steagall viene abrogata con 90 voti contro 8 dal senato degli Stati Uniti d’America.[5] [6]

Con i derivati le banche hanno iniziato a giocare un gioco più grosso; in seguito, annullando la divisione fra credito ordinario e speculazione, sono riuscite a mettere in palio anche i nostri risparmi.

IL DISCORSO DI GIULIO TREMONTI

L’impiego estensivo dei derivati e l’abrogazione della legge Glass-Steagall in America costituiscono due aspetti caratteristici della deregolamentazione dei mercati finanziari che si è svolta in particolare negli anni novanta del secolo scorso e che ha contribuito in modo sostanziale alla crisi finanziaria in cui ci troviamo. È stata promossa una campagna ideologica che ha fatto sembrare la deregolamentazione come un tratto tipico del progresso[7] nonostante il sistema finanziario abbia dimostrato storicamente di avere bisogno di regole più degli altri settori.

Con l’ondata di fusioni e acquisizioni rese possibili dalla deregolamentazione gli istituti bancari sono diventati grandi a tal punto che il loro fallimento viene considerato come un’eventualità tanto disastrosa da utilizzare i soldi dei contribuenti per evitarlo. Sapendo di avere le spalle coperte questi istituti possono assumere rischi considerevoli a cuor leggero: se la scommessa funziona ne derivano bonus consistenti per i manager, se la scommessa va male invece, il peso va a finire sui bilanci dello stato che lo gira ai cittadini con le tasse.

Non è corretto affidare la risoluzione della crisi corrente alle istituzioni finanziarie, perché la causa primaria della crisi sono loro, complice la corruzione dei singoli e la ricerca smodata del profitto. Lasciare che la partita si giochi in casa della finanza significa dare un’altra volta a questa gente la possibilità di favorire i propri interessi, allontanando nel tempo la risoluzione dei problemi maggiori. Per questo Tremonti considera un errore l’avere affidato la gestione della crisi al Forum di Stabilità Finanziaria,[8] a riguardo del quale dice: “È successo che […] ha funzionato da cavallo di Troia, fabbricato dalla finanza per entrare nella politica e batterla sul suo stesso campo.” Il risultato dell’attività del FSB è che “dopo una breve penitenza le giurisdizioni non cooperative contano più o meno come prima, […] a mercati e agenzie di rating viene restituita appieno la sacralità del giudizio inappellabile; i bonus dei banchieri hanno raggiunto nuovi livelli record.”[9]

Per quanto riguarda le agenzie di rating, nell’ambito di una crisi in cui sono stati fatti dei gravissimi sbagli nella sfera contabile, è naturale porsi degli interrogativi sul loro ruolo. Il parere di queste agenzie è considerato vincolante da molte importanti organizzazioni internazionali, senza però che nessuna legge stabilisca delle sanzioni per i loro “eventuali” errori. “Se il rating avesse un valore legale diretto, così come ha valore legale la certificazione di bilancio, episodi come il crac della Lehman Brothers non sarebbero rimasti senza conseguenze per le agenzie di rating. L’Arthur Andersen, una potente società di revisione contabile, venne rasa al suolo proprio per aver certificato i bilanci falsi di Enron.”[refPag 75[/ref]

Secondo Tremonti è sbagliato aspettarsi che a “salvarci” dalla crisi possa essere una grande inflazione, in quanto questa non è voluta dalla BCE ma soprattutto non è “voluta dalla Cina che, essendo largamente creditrice, con una grande inflazione che ne svaluta i crediti ci perderebbe economicamente e, di riflesso, si destabilizzerebbe socialmente.” E nemmeno è lecito sperare che sia una guerra a risolvere la situazione, perché le guerre hanno un effetto acceleratore “solo se sono guerre mondiali e non locali, tragedie strutturali e non espedienti congiunturali. No, grazie.” È sbagliato anche pensare che la crisi dell’Europa sia dovuta all’azione ostile degli Stati Uniti d’America: “Invece di sospettare degli altri è meglio capire […] che oggi è l’Europa che si fa male da sola.”[10]

La crisi in cui ci troviamo ha avuto sì origine negli Stati Uniti d’America, ma sta avendo effetti peggiori in Europa per via della divisione politica del vecchio continente. In aggiunta alla sua debolezza politica l’Europa è anche penalizzata dalla mancanza di una vera banca centrale: la BCE “non ha la funzione principale e tipica che è storicamente e sistematicamente propria di una vera banca centrale: la missione di agente del governo, di garante di ultima istanza.”[11]

LA SOLUZIONE ALLA CRISI

Tremonti ci ricorda gli alti livelli di integrazione economica e finanziaria delle nazioni d’Europa, e parla da convinto sostenitore dell’ideale europeo. Dopo aver esaminato i pro e i contro del ruolo della Germania in Europa[12] prende in considerazione alcune ipotesi sulla gestione della crisi: la variante peggiore è l’immobilismo passivo destinato a condurci ad un catastrofico dissolvimento dell’euro, mentre la soluzione preferibile è una riorganizzazione costituzionale dell’Europa ispirata ad una “Nuova Alleanza” tra popoli e Stati.[13]

Secondo Tremonti la BCE deve diventare una vera banca centrale dotata degli strumenti per affrontare la crisi, e vanno avviati dei progetti per la costruzione di infrastrutture europee per mezzo degli Eurobond. Va sostenuta l’adozione del decalogo OCSE sui principi di trasparenza e integrità dell’economia.[14] Vanno abrogate le leggi con cui è stata messa in atto la deregolamentazione finanziaria, ritornando ad una sana divisione fra credito ordinario e attività speculativa oltre che al divieto dell’impiego di strumenti finanziari simili ai derivati.[15]

Non basta: la gravità della situazione richiede una riorganizzazione fallimentare del sistema finanziario.[16] Bisogna verificare i crediti e i debiti dei maggiori istituti finanziari per eliminare quelli privi di garanzie.[17] Si evidenzieranno delle grandi perdite, e l’intenzione condivisibile di Tremonti è quella di farle pagare a chi ha tratto i maggiori profitti dalle speculazioni degli ultimi decenni.[18]

L’uscita di sicurezza proposta da Giulio Tremonti consiste nel prendere il toro per le corna, rimettendo la politica e lo stato al di sopra della finanza, riportando quest’ultima al suo ruolo che è quello di fornire capitali alle attività produttive. La dimensione esagerata concede alle organizzazioni finanziarie una potenza paragonabile a quella degli organi di governo, senza che siano soggette a nessun tipo di controllo democratico. Mettersi contro di loro non è facile, ma con la crisi e con gli scenari oscuri che stanno diventando lo sfondo abituale dei nostri giorni ci saranno sempre più persone disposte a rischiare. Sarebbe un peccato se quelli che vogliono agire rimanessero senza esempi di coraggio e di visione, se scendessero in piazza senza sapere per cosa, soltanto per lanciare qualche sasso ignorante. In questo contesto il ritorno “alle vecchie gloriose leggi bancarie modellate sul tipo della legge Glass-Steagall del 1933”[19] è un obiettivo politico ambizioso ma allo stesso tempo concreto e semplice da spiegare alla gente.

Ci sono nella rete degli uomini che dicono cose giuste, ma il loro nome è conosciuto solo in un ambito ristretto, non hanno esperienza di governo, e sono mescolati ad altra gente che dice le cose opposte rovinando i giovani con dei sogni sbagliati.[20] Giulio Tremonti invece è stato per molti anni alla guida di una delle dieci economie più grandi del mondo, parla di cose che conosce per esperienza diretta ed indica in modo preciso le cause della crisi, cosa che molti altri in una posizione simile alla sua non hanno il coraggio di fare. Questo è il motivo per cui il suo libro è importante.[21]

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  1. [1]Tremonti, G. (2012) Uscita di Sicurezza, Milano, Rizzoli. ISBN 978-88-17-05774-5
  2. [2]In inglese: to swap
  3. [3]Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI; in inglese Bank for International Settings: BIS) nel 2011 il valore dei derivati era di 707.569 miliardi di dollari a fronte di un Prodotto Interno Lordo mondiale di 62.911 miliardi di dollari (pag 51).
  4. [4]L’equivalente italiano è la legge bancaria del 1936.
  5. [5]http://www.dailyfinance.com/2009/11/12/a-decade-after-glass-steagalls-repeal-its-time-to-reverse-san/ http://www.huffingtonpost.com/2009/05/11/glass-steagall-act-the-se_n_201557.html
  6. [6]Ho fatto riferimento all’abrogazione della legge Glass-Steagall avvenuta negli Stati Uniti d’America in quanto si tratta di un evento molto significativo, ma si tenga presente che la deregolamentazione del settore bancario in Europa non è posteriore a quanto accaduto negli Stati Uniti.
  7. [7]A titolo di esempio, il provvedimento con cui è stata abrogata la legge Glass-Steagall è stato nominato “Atto di modernizzazione dei servizi finanziari” (Financial Services Modernization Act) quando in realtà si trattava di tornare alle condizioni precedenti al 1929.
  8. [8]FSB – Financial Stability Forum
  9. [9]Pag 68
  10. [10]Pag 84
  11. [11]Pag 108
  12. [12]“In particolare, in questo momento non si può essere a favore dell’idea di Europa, e non si può essere sinceri amici della Germania, se non si confrontano tra loro e non si pesano le diverse voci positive e negative che vengono elencate qui di seguito.” Pag 122
  13. [13]Pag 154
  14. [14]“Se il Novecento è stato il secolo del gold exchange standard, questo secolo può, deve dunque essere identificato da un nuovo, diverso e giuridico «parametro globale»: appunto il Global legal standard, proposto da chi scrive in un seminario a Parigi nel 2008 e poi dall’Italia nel G7 del 2009. L’avvio è in questo decalogo, approvato in sede OCSE.” Pagg 174-175
  15. [15]“È necessario ridurre il rischio che viene dai derivati. Per farlo è possibile e sufficiente applicare la stessa tecnica: abrogare tutte le leggi che, a partire dagli anni Novanta, in USA e in Europa li hanno liberalizzati. In ogni caso è fondamentale che le banche ordinarie non possano negoziare e/o acquistare derivati, in nessuna forma.” Pagg 171-172
  16. [16]“Molti soggetti, molti segmenti, molti blocchi bancari e finanziari devono essere avviati verso ordinate procedure fallimentari. Ad esempio, verso procedure regolate sul modello del Chapter 11 degli USA.” Pag 170
  17. [17]“… si deve separare il grano dal loglio e dalla zizzania, il bene dal male, aprire o fare aprire i libri contabili, imporre l’accertamento volontario o coattivo di quanto dell’uno e quanto dell’altro c’è in ogni banca, più in generale in ogni grande operatore finanziario” Pag 169
  18. [18]“È a chi ha perso la sua scommessa che si deve imporre di pagare.” Pag 169
  19. [19]Pag 166
  20. [20]Soprattutto gli ex comici.
  21. [21]Ed è anche una causa non secondaria della caduta di Silvio Berlusconi.

JÜRGEN HABERMAS: UNA LEGGE PER L’EUROPA

Riflessioni a margine del testo di Habermas: “Morale, Diritto, Politica”[1] [2]

LA FORMA ASTRATTA E UNIVERSALE DELLA LEGGE

“Vi sono 144 usanze in Francia, che hanno valore di legge; queste leggi sono quasi tutte diverse. Un viaggiatore in questo paese, cambia leggi quasi tante volte quante cambia i cavalli di posta. […] al giorno d’oggi, la giurisprudenza si è tanto perfezionata, che non vi è usanza che non abbia diversi commentatori, e tutti, inutile dirlo, di avviso differente.”[3]

JÜRGEN HABERMAS

JÜRGEN HABERMAS

Con queste parole Voltaire descriveva il sistema delle leggi francesi prima della Rivoluzione: una costruzione variegata che ospitava nei suoi anfratti i privilegi dei nobili e del clero. Questa situazione è cambiata con la Rivoluzione francese[4] ed il passaggio a leggi unificate di tipo astratto e universale, che ancor oggi costituiscono la spina dorsale delle organizzazioni statali.

Un pensiero astratto è privo di colori e di odori, di volti luoghi e date; la forma astratta e universale della legge non consente di privilegiare certi individui al posto di altri, poiché non li può nominare (infatti se li nominasse avremmo un’espressione non più astratta, ma provvista di riferimenti concreti).[5] Essendo slegata da situazioni precise essa è portabile nei diversi luoghi del nostro universo sociale di oggi e di domani.

Proviamo a dare un’occhiata all’articolo 575 del codice penale italiano, quello relativo all’omicidio: Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Il testo, per mezzo della parola “chiunque”, si riferisce chiaramente ad ogni uomo, non solo a quelli appartenenti a certe classi sociali. Non si parla dell’omicidio commesso dai poveri ai danni dei ricchi o di reclusioni più lunghe per gli uomini piuttosto che per le donne.[6]

LA RAZIONALITÀ DEL DIRITTO CHE LEGITTIMA IL POTERE

Max Weber parla di razionalità del diritto riferendosi alla forma astratta e universale delle leggi oltre che ad altre caratteristiche collegate, quali l’ordinamento delle leggi in un sistema di frasi coerenti fra di loro; l’assenza di destinatari specifici della legge; un’applicazione il più possibile meccanica, mirata a minimizzare i casi in cui è necessario un giudizio di carattere soggettivo; chiarezza e semplicità per generare nella cittadinanza delle aspettative certe a riguardo di ciò che è lecito, le quali costituiscono un presupposto importante per i progetti sociali ed economici.

In questa concezione di razionalità non ci si riferisce direttamente a cosa viene detto, ma a come viene detto. Non si danno indicazioni rispetto al contenuto, ma alla forma in cui questo è scritto. Si parla perciò di proprietà formali della legge.
Se ci immaginiamo di fotografare la legge otterremo una fotografia in cui sarà possibile individuare la razionalità così come la intende Weber, che nel suo discorso si riferisce alla struttura della legge e non ai processi con cui essa si forma o a quelli con cui viene applicata, per catturare i quali sarebbe necessario un filmato.

Secondo Weber la razionalità della legge è la proprietà fondamentale che le consente di giustificare il potere, di legittimarlo agli occhi del popolo. I governi infatti non si limitano ad imporre con la forza una serie di norme fatte a loro piacimento senza il rispetto di nessun principio: hanno bisogno di operare con delle frasi che riscuotano nella popolazione[7] un qualche grado di accettazione. L’alternativa, indesiderabile, è un potere completamente autoritario operante senza il consenso, esclusivamente per mezzo della forza.

ALLONTANAMENTO DALLA RAZIONALITA’ FORMALE DELLA LEGGE

Storicamente la legge centralizzata di forma astratta e universale funziona per contrastare i privilegi della nobiltà e del clero favorendo quindi la posizione di coloro che ottengono ricchezza con il proprio lavoro anziché per nascita, rendita o tradizione. Grazie alla protezione della proprietà individuale molti cittadini possono accumulare e conservare il frutto di tale lavoro. Si creano i presupposti per un’accresciuta importanza dei mercati in cui gli individui si confrontano cercando vantaggio per mezzo dello scambio di beni materiali e di servizi, senza violenza, all’ombra di una regolamentazione garantita da uno stato che detiene il monopolio dell’uso della forza.

habermas - morale diritto politica

morale diritto politica

Tale cambiamento storico si risolve in un progresso nel momento in cui consente ai cittadini di porre in essere il proprio progetto di vita, ma non è privo di aspetti negativi. In particolare non impedisce la formazione di un ampio strato di popolazione al di sotto del livello minimo di reddito necessario per una vita dignitosa. Se tale fascia di malessere assume una natura sistemica, nasce il bisogno di una sua gestione sistematica da parte dello stato, per mezzo di apposite normative.[8] Esempi in questo senso sono le pensioni di vecchiaia e invalidità, l’assistenza sanitaria, la stesura di contratti collettivi di lavoro specifici per ogni settore.

 

Dov’è il problema, per chi desidera mantenere la razionalità della legge? Il punto è che le leggi necessarie per migliorare lo status dei disagiati non parleranno degli uomini in generale, come richiedevano l’astrattezza e l’universalità delle leggi: parleranno degli uomini poveri. La tutela dei deboli si risolve in un aumento di complessità della legge e nell’allontanamento dai criteri di razionalità formale della legge, per via della necessità di definire le situazioni particolari in cui l’intervento assistenziale è necessario.

Riassumendo: semplicità ed astrazione sono applicate all’inizio dell’Ottocento per risolvere dei garbugli inefficienti di leggi nei quali si annidavano molti privilegi. Allontanandosi dal punto zero in cui è avvenuto il cambiamento gli effetti negativi delle nuove leggi si accumulano e si evidenziano in zone grigie[9] che hanno bisogno di essere gestite con altre leggi, le quali sono più specifiche e dettagliate perché devono adattarsi alla molteplicità di aspetti del sistema in essere, senza poterla annullare con una nuova improbabile rivoluzione.
Tale sviluppo equivale ad un allontanamento del diritto dalla razionalità formale della legge così come l’abbiamo descritta sopra, e può dunque essere indicato con l’espressione deformalizzazione del diritto. La deformalizzazione dipende sia dall’accumulo di continuità storica che non viene ripudiata da un momento di discontinuità, sia dall’aumento di complessità del sociale a cui si applica la legge.[10]

HABERMAS E LA RAZIONALITÀ PROCEDURALE DELLA LEGGE

Negli antichi imperi la legge è basata su di un’origine sacra, sulla consuetudine e sull’operato della burocrazia. Il sovrano non può fare della legge ciò che vuole, perché questo significherebbe andare contro la tradizione e contro l’autorità divina da cui la legge proviene. Il fatto che i vertici del potere politico non possano disporre a proprio piacimento della legge viene indicato parlando di un momento di indisponibilità della legge.
Nel momento in cui la consuetudine e il divino smettono di essere fonti della legge, come unico riferimento rimangono le raccolte di norme create dall’uomo, che come le ha create le può anche modificare;[11] si presenta quindi il rischio che la legge venga manipolata ai propri fini dalla dimensione politica, e si sente il bisogno di ancorare la legge ad un riferimento che la protegga dai capricci del potere; una possibilità è stabilire che la legge debba essere l’espressione della volontà collettiva del popolo la cui autorità viene posta al di sopra di ogni altro organo dello stato.

Se qualcuno mi dovesse chiedere cosa sto facendo in questo momento, non risponderei analizzando l’interno della mia psiche e cercando di individuare le parti del pensiero coinvolte nell’attività di scrittura e quelle che invece rimangono a riposo, ma gli direi:“Io sto scrivendo un articolo su un libro di Jürgen Habermas”. Adesso fate un esperimento mentale: provate a immaginarvi un popolo dotato di una volontà collettiva e chiedetegli cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non so cosa vi risponderà, ma se ragiona come ho fatto io nel darvi la risposta di cui sopra, allora parlerà senza fare riferimento alle proprie suddivisioni interne: senza fare il nome dei singoli cittadini e senza riferirsi a situazioni sociali specifiche. Parlerà dunque in modo astratto.
È questo il senso in cui si può pensare che la volontà collettiva dei cittadini si esprima solo con leggi astratte ed universali tramite le quali riesca a preservare l’autonomia del diritto nei confronti della politica, opponendo ai desideri inopportuni del governo di turno la necessità di esprimersi in una determinata forma che si presume essere in grado di garantire la giustizia, impedendo l’esplicita assegnazione di privilegi a particolari classi sociali.

Habermas ritiene scorretto considerare l’universalità e l’astrattezza del linguaggio come la garanzia che siano rispettati gli intenti di una volontà collettiva monolitica.[12] L’universalità e l’astrazione delle leggi rimangono dei punti di riferimento, ma è necessario approfondire il modo in cui si formano le decisioni rompendo la scatola nera della volontà collettiva del popolo così come l’aveva pensata Rousseau.[13] Questo approfondimento non è stato compiuto dai socialisti,[14] mentre ha avuto luogo nelle teorie liberali.[15]

Il carattere astratto e universale non consente di formulare leggi che attribuiscano direttamente i privilegi a persone precise con un nome e un cognome, ma non impedisce che le leggi proiettino vantaggi e svantaggi sulle fronde della società creando zone chiare e zone scure. Per evitare una manipolazione delle regioni ombrose generate dalle leggi bisogna regolare il processo con cui dalla volontà di tutti si passa alle decisioni del vertice, e non solo definire la forma in cui tali decisioni devono essere formulate.

Rispetto alla razionalità formale così come l’aveva intesa Weber ci troviamo con un concetto di razionalità procedurale più ampio e robusto, che può rimanere valido anche nella complessità della situazione contemporanea in cui è difficile mantenere intatto il carattere astratto e universale della legge.

Mentre la razionalità formale secondo Weber aveva un carattere istantaneo (nel senso che si trattava di proprietà presenti nella legge in ciascun singolo istante) l’aspetto procedurale ci porta a prendere in considerazione degli eventi estesi nel tempo. Si passa quindi da una dimensione sincronica a una diacronica. Con un paragone musicale potremmo dire che mentre Weber si era concentrato sull’armonia dei suoni sovrapposti, Habermas richiama la nostra attenzione sulla melodia e sulla successione degli accordi.

JÜRGEN HABERMAS

JÜRGEN HABERMAS

LEGGE E MORALE

Nella nostra società ci possono essere diversi tipi di morale; ad esempio ce ne può essere una basata sulla massimizzazione della felicità totale dei singoli oppure una basata sulla pratica di certe virtù personali. Ce ne può essere una basata sull’amore verso il prossimo, oppure ancora un’altra che accetta solo quei comportamenti che potrebbero essere messi in atto da tutti gli uomini senza per questo danneggiare la società. Dunque ci troviamo nella situazione in cui una sola legge deve poter mediare fra morali diverse.

Oltre a ciò notiamo che la natura della morale è intrinsecamente diversa da quella della legge. La morale è più propositiva e disegnando degli esempi può ispirare l’azione, mentre la legge è un sistema di divieti. La morale può parlare anche degli invisibili pensieri, mentre quest’ambito rimane inaccessibile alle leggi: il processo alle intenzioni non si può fare. La legge maneggia oggetti concreti e identificabili, mentre la morale è (o può essere) sede di ispirazioni più ardite e difficilmente incasellabili in un reticolo sistematico. La morale può descrivere un modello di comportamento che costituisce un equilibrio delicato raggiungibile solo raramente nella pratica; la morale può anche indicare col dito la Luna, e non è detto che i suoi discorsi giungano sempre a conclusioni precise. Al contrario il diritto deve essere una regola facilmente applicabile nei contesti di tutti i giorni, il diritto deve risolvere i conflitti sulle strade del mondo e deve indicarci il prossimo passo da compiere; il diritto deve (o dovrebbe) dare luogo a decisioni materiali rapide ed oggettive, che bisognano di ragionamenti il più possibile meccanici e semplici.
Se pensiamo alle rispettive funzioni sociali, possiamo considerare la legge come una sorta di completamento della morale, in quanto la legge costituisce l’apparato meccanico tramite il quale si plasma il magma delle conflittualità umane tentando di indirizzarlo nella direzione suggerita dalla morale.

CONCLUSIONI: UN PROGETTO D’EUROPA

Habermas desidera individuare i criteri che permettano di elaborare una legge giusta e funzionale per il contesto contemporaneo, europeo in particolare. Per fare questo prende le mosse dal concetto di razionalità della legge formulato da Max Weber e si propone di darne una versione migliorativa, più resistente al problema della deformalizzazione della legge, nonché capace di regolare il modo in cui la legge assorbe gli argomenti morali e di proteggere la legge stessa dai tentativi di manipolazione da parte del potere politico.[16]

Il potere comunicativo - citazione da Habermas

Il potere comunicativo – citazione da Habermas

L’indagine di Habermas è molto ampia e prende in considerazione temi differenti, che vanno dalle origini del diritto nelle società preistoriche alle tendenze più significative del pensiero sulla legge in Germania e in America, alle problematiche connesse con la formazione dell’Europa unita, al pensiero di Luhmann e Fröbel. Un’attenzione particolare è riservata a una serie di riflessioni sulla Rivoluzione francese e sul pensiero illuminista di Kant e Rousseau.

La soluzione individuata da Habermas è quella di una razionalità della legge intesa anche e soprattutto in senso procedurale: i processi di formazione della volontà politico-legislativa devono essere tali da accogliere in sé il contenuto morale presente nei discorsi pubblici condotti all’esterno delle strutture politiche e giuridiche istituzionali. Seguendo Habermas vediamo che la democrazia dipende dal modo in cui noi cittadini discutiamo gli argomenti, dalla qualità dei nostri discorsi.

Il progetto di Habermas è una costruzione politica unica capace di ospitare al suo interno differenti forme di vita culturali. Contro questo progetto di democrazia liberale basato sulla consapevolezza dei cittadini lavora quella parte consistente del potere che desidera l’assopimento del pensiero. A favore ci siamo noi. Se le anime restano sedute in poltrona a guardare la TV, non c’è molto di che sperare. Ma ogni volta che qualcuno si alza dalla comodità per volere davvero qualcosa, allora il progetto riprende forza e torna possibile un’Europa unita e indipendente, all’altezza del suo posto nella storia e nel mondo.

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  1. [1]Habermas, J. (1992) Morale, Diritto, Politica, Torino, Einaudi, Piccola Biblioteca Einaudi 359 (Filosofia).
    Titoli originali: Recht und Moral (Tanner Lectures 1986); Volkssouveränität als Verfahren (1988); Staatsbürgerschaft und nationale Identität (1990) in: Jürgen Habermas, Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats. Suhrkamp, Verlag Frankfurt am Main 1992.
  2. [2]Dopo una lettura approfondita del testo di Habermas ho scelto alcune idee fondamentali fra quelle in esso contenute; fatto questo, l’articolo è stato costruito come una narrazione preparatoria per l’enunciazione dei concetti prescelti. Questo significa che i temi del libro non sono soggetti ad un approfondimento ma ad una semplificazione che mira a dare un’idea di base al cittadino.
  3. [3]Voltaire, (1838) Oeuvres de Voltaire – Dictionnaire philosophique par Voltaire, Parigi, Imprimerie de Cosse et Gaultier-Laguionie. Alla voce Coutumes.: “Il y a, dit-on, cent quarante-quatre coutumes en France qui ont force de loi; ces lois sont presque toutes différentes. Un homme qui voyage dans ce pays change de loi presque autant de fois qu’il change de chevaux de poste. […] aujourd’hui la jurisprudence s’est tellement perfectionnée, qu’il n’y a guère de coutume qui n’ait plusieurs commentateurs; et tous, comme on croit bien, d’un avis différent.”
  4. [4]Naturalmente il processo storico di formazione dei codici è molto complesso ed esteso nel tempo, e non è un effetto diretto ed esclusivo della Rivoluzione francese.
  5. [5]“La volontà collettiva dei cittadini, potendosi soltanto esprimere nella forma di leggi universali e astratte, si vede necessitata a operare nel senso di escludere tutti gli interessi insuscettibili di generalizzazione e di ammettere soltanto quelle regole che garantiscono a tutti libertà eguali.” Pagg 83-84 in Habermas 1992.
  6. [6]Se invece diciamo, ad esempio, che il feudatario può vendere il vino 30 giorni prima degli altri che non sono feudatari, o che solo il feudatario può cacciare la selvaggina, o che il feudatario ha diritto a ricevere un canone perpetuo da certi terreni del feudo, allora sto facendo delle distinzioni a favore di classi sociali ben determinate.
  7. [7]Nei cittadini qualunque ma anche nei professionisti del campo giuridico.
  8. [8]Il cosiddetto stato sociale.
  9. [9]“[…] nella misura in cui si affermarono monarchie costituzionali e codice napoleonico, ci si accorse che venivano alla luce diseguaglianze sociali di tipo nuovo. Al posto delle diseguaglianze connesse ai privilegi politici subentravano diseguaglianze che potevano svilupparsi solo a partire dalla istituzionalizzazione di libertà eguali nell’ambito del diritto privato. Si trattava delle conseguenze sociali dell’ineguale ripartizione di un potere economico che veniva esercitato non sul piano politico.” Pag 88
  10. [10]Ciò non significa che al punto zero le nuove leggi erano “migliori” per via del fatto che non avevano bisogno delle integrazioni che poi sono state necessarie. Al punto zero le nuove leggi non avevano ancora avuto il tempo di stendere le loro conseguenze, le quali in un mondo complesso non possono non avere delle zone negative.
  11. [11]Si parla a tal proposito di diritto positivo, nel senso che è posto (e quindi modificabile) dall’uomo.
  12. [12]“…anche Kant fu responsabile di una confusione che presto non consentirà piú di separare tra loro due significati del tutto diversi di ‘universalità’: l’universalità semantica di una legge astrattamente generale verrà presto a occupare il posto dell’universalità procedurale, caratterizzante la legge democraticamente stabilitasi come espressione di una popolare ‘volontà collettiva’.” Pag 72
  13. [13]“…occorre che la sostanza morale dell’autolegislazione – compattamente concentrata da Rousseau in un unico atto – si disarticoli attraverso i numerosi gradi del proceduralizzato processo formativo dell’opinione e della volontà, diventando così accreditabile o incassabile anche in monete di piccolo taglio.” Pag 99
  14. [14]“Marx ed Engels si limitarono ad accennare alla Comune di Parigi e trascurarono sempre ogni questione di teoria democratica. […] All’allargato concetto del politico non corrispose nessun approfondimento teorico circa quali funzioni, forme comunicative, condizioni d’istituzionalizzazione, avrebbero dovuto caratterizzare una formazione egualitaria della volontà.” Pagg 88-89
  15. [15]“ …ogni liberalismo democraticamente illuminato tiene sí fermo alle intenzioni di Rousseau, ma riconosce nello stesso tempo che la sovranità popolare dovrà esprimersi solo a partire dalle condizioni discorsive di un processo, in sé differenziato, di formazione dell’opinione e della volontà.” Pag 85
  16. [16]Nel senso che si vuole definire un criterio in base al quale il potere politico non può permettersi di fare tutto quello che vuole con le leggi, proprio perché deve agire all’interno di determinate procedure che consentano di raccogliere i frutti dei discorsi pubblici. Cfr: “Il potere comunicativo viene esercitato secondo le modalità di un assedio. […] esso regola e contingenta il pool di ragioni che il potere amministrativo può sí trattare strumentalmente, ma mai – strutturato com’è in forma giuridica – permettersi il lusso di ignorare.” Pag 98

GLI INDIGNATI? NO GRAZIE

Dopo 10.000 anni di agricoltura e civiltà stanziali, dopo un paio di secoli di senso storico, pareva assodato che la morale fosse nella sua essenza un sistema di controllo della società. Incuranti di ciò, gli indignados, dando prova di un raro acume sociopolitico, si sono dati il nome di una posa morale: l’indignazione. Pretendono di opporsi al sistema ma contemporaneamente ne riaffermano i tratti distintivi per mezzo del proprio nome. Senza contare che l’indignazione è una categoria del pensiero che sfiora l’inutilità completa, un atteggiarsi che non favorisce nè l’azione nè la riflessione.
Questi indignati sono dei cani che abbaiano per essere liberi, ma hanno disegnato una catena sulla loro bandiera.
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