“Coscienza e cervello” di Stanislas Dehaene: sintesi dei concetti fondamentali

Nel suo libro Coscienza e Cervello1, Stanislas Dehaene ci parla di come sono organizzati lo spazio cosciente e l’elaborazione inconscia dell’informazione. All’inizio del nostro articolo daremo subito una descrizione concisa di queste strutture e delle cosiddette firme del pensiero cosciente. Parleremo quindi di alcuni fenomeni sperimentali significativi e delle applicazioni cliniche, finalizzate ai pazienti nei quali il normale funzionamento dello stato di veglia è compromesso. Vedremo come questa visione del cervello si interseca con la nostra comprensione dei mondi di vita del bambino, dell’animale e della malattia (più in particolare della schizofrenia). Accenneremo infine al modo in cui la visione “cognitiva” di Dehaene potrebbe incontrare quella delle neuroscienze affettive di Jaak Panksepp.

 

COSCIENZA ED INCONSCIO

Dehaene insegna psicologia cognitiva sperimentale al Collège de France ed è a capo del più avanzato laboratorio francese di neuro-imaging. Il suo cognome si pronuncia Dehan, con l’acca aspirata e l’accento sulla e. Se Jules Verne ha scritto Viaggio al centro della Terra, Dehaene ci racconta il viaggio degli stimoli che dalla periferia degli organi di senso riescono ad attraversare i territori dell’elaborazione inconscia, fino ad accedere alla coscienza centrale. È un viaggio lungo in termini di complessità attraversata, ma dura soltanto alcune frazioni di secondo.

I processi inconsci di elaborazione degli stimoli sono circoscritti in zone specifiche del cervello, come è il caso, ad esempio, della corteccia visiva o di quella uditiva. Questi processi inconsci sono soggetti ad un rapido decadimento, a meno che riescano a coalizzarsi in strutture più estese e a penetrare attraverso regioni successive della corteccia cerebrale. La zona di elaborazione inconscia è popolata da una moltitudine di stimoli che in frazioni di secondo si originano e tentano la via verso la coscienza, la quale si configura come uno spazio di condivisione globale dell’informazione. Solo pochi dei processi inconsci però, riescono a raggiungerla: la maggior parte di essi ricade nell’indifferenziazione da cui si erano sollevati.

Nel corso di una festa per esempio, vi sono molte voci che arrivano all’apparato uditivo e subiscono una prima elaborazione inconscia, ma di queste solo la voce su cui siamo concentrati arriva alla coscienza, oppure la voce di qualcun altro che ha appena pronunciato il nostro nome (il quale viene riconosciuto a livello inconscio). L’elaborazione del contenuto verbale di tutte le altre voci si ferma in qualche stadio di elaborazione inconscia e non entra in coscienza. Qui è evidente come i processi di elaborazione inconscia costituiscano una sorta di pre-selezione del materiale destinato ad essere elaborato dallo spazio cosciente.

Come già accennato, i processi inconsci di elaborazione iniziale degli stimoli sono specifici e fra loro isolati, nel senso che possono accedere soltanto ad altri processi limitrofi, e non sanno ciò che avviene nelle parti lontane del cervello. Lo spazio cosciente invece ha per caratteristica quella di condividere l’informazione proveniente da molte zone diverse del cervello fra loro distanti.2 Le informazioni che entrano a far parte della coscienza possono essere mantenute attive per un intervallo prolungato di tempo, indipendentemente dalle circostanze esterne. Tali informazioni diventano disponibili per le altre regioni del cervello e ne influenzano l’azione. La capacità di produrre espressioni verbali è un tratto caratteristico dello stato di integrazione rappresentato dallo spazio cosciente.3

Da un punto di vista anatomico, la struttura dello spazio cosciente condiviso si fonda su di un sistema di connessioni a lunga distanza (parecchi centimetri). Questa rete è costituita dai neuroni piramidali, caratterizzati da un corpo cellulare di dimensioni notevoli, da assoni molto lunghi per trasmettere i segnali, e da ramificazioni dendritiche con migliaia di spine ricettive.4

La rete di connessione a lunga distanza è caratterizzata dalla reciprocità, per cui se vi sono delle connessioni dal punto A al punto B della corteccia cerebrale, solitamente ve ne sono anche in direzione opposta, dal punto B al punto A. Vi è inoltre la tendenza a formare connessioni triangolari (e quindi a formare dei percorsi ad anello), nel senso che se vi sono connessioni dal punto A al punto B e dal punto A al punto C, allora si avranno facilmente connessioni anche tra il punto B e il punto C. Queste forme di reciprocità connettiva tendono ad avere un effetto auto-stabilizzante.5

Gli stimoli che riescono a compiere solo la parte iniziale del percorso di elaborazione sono chiamati subliminali, e non sono accessibili da parte della coscienza. Gli stimoli denominati precoscienti sono invece quelli che hanno compiuto dei passi ulteriori per accedere allo spazio centrale. Questi stimoli non sono ancora coscienti, ma dirigendo in modo opportuno la nostra attenzione è possibile recuperarli.6

Dehaene prende in esame il modo in cui i frammenti di informazione entrano nel dominio cosciente. Si tratta di un discorso centrato sul processo percettivo, con la possibilità dunque di costruire esperimenti in laboratorio. Gli stimoli sono il punto di partenza esterno chiaramente osservabile, mentre l’osservazione dell’output (lo stato del cervello) può compiersi con i metodi di brain-imaging. Dehaene si occupa meno di ciò che si intende per inconscio quando con questa parola ci si riferisce all’influenza di antiche memorie. In tal caso infatti vi è una sorgente di informazione interna alla mente (le strutture della memoria), più difficile da gestire in una situazione sperimentale.

Dalla nostra lettura di Dehaene sembra plausibile che il modo in cui le memorie entrano in coscienza sia assimilabile al modo in cui entrano in coscienza gli stimoli sensoriali. Ne segue che l’inconscio non si presenterebbe come una sorta di scantinato nel quale si aggira una personalità nascosta che ad un certo punto può saltare fuori. È solo nella sfera cosciente che sussisterebbe una personalità completa, attiva ed integrata. L’inconscio inteso come sedimentazione delle nostre esperienze di vita esisterebbe sì, ma non come un giardino dove i ricordi continuano una loro vita attiva indipendente, bensì piuttosto come un ricco deposito di impronte che tornano vive quando noi vi accediamo deliberatamente (là dove è possibile) o quando vengono risvegliate dall’attivazione di connessioni inconsce.7 8 9

Leggendo Dehaene – La fioritura del pensiero cosciente
Mi piace immaginare il brulicare dei processi inconsci come una schiera di germogli fluidi che si avvicendano tentando l’accesso alla zona cosciente, la quale offre loro la possibilità di integrarsi al resto della vita mentale giungendo a piena fioritura. (Bisognerebbe aggiungere dei fiori già sbocciati ma sbiaditi e nascosti negli anfratti, a simboleggiare le tracce delle memorie di vita che possono essere recuperate a nuova vita)

LA RILEVAZIONE DELLA NOVITÀ ED IL BRUSIO DI FONDO

Nel corso della sua esposizione Dehaene ha modo di richiamare l’attenzione su un paio di modalità di funzionamento tipiche della corteccia cerebrale. La prima di esse è la tendenza…

(… parte omessa nella pubblicazione web. Per avere gratuitamente l’articolo in versione integrale potete contattarmi con Facebook/messenger, o tramite mail…)

LE FIRME DELLA COSCIENZA

Ciò che Dehaene chiama firme della coscienza sono delle proprietà dell’attività neurale che corrispondono non tanto a uno stato continuo di veglia o di vigilanza, quanto all’ingresso nella coscienza di una specifica informazione. Le firme della coscienza non si attivano invece quando l’elaborazione dello stimolo si arresta ad un livello precosciente.

La prima firma della coscienza è costituita semplicemente dall’invasione di molte regioni del lobo parietale e di quello prefrontale da parte del segnale sensoriale. La seconda firma della coscienza è data dalla cosiddetta onda P3. Si tratta di un intenso voltaggio rilevato nella parte superiore della testa. Tale intensità è da intendersi relativamente, trattandosi comunque di pochi microvolt. Quest’onda comincia circa 3 decimi di secondo dopo la presentazione dello stimolo, ma si presenta soltanto se lo stimolo viene riconosciuto a livello cosciente.

La terza firma della coscienza è un aumento notevole dell’attività elettrica del cervello nelle frequenze alte, quelle sopra i 30 Hertz, chiamate onde gamma. La quarta firma è la sincronizzazione di parti del cervello poste a grande distanza fra loro (parecchi centimetri). Questa sincronizzazione avviene alle basse frequenze (alfa e beta), e costituisce un presupposto per la comunicazione reciproca fra tali aree. Anche la terza e la quarta firma emergono con un terzo di secondo di ritardo rispetto alla presentazione dello stimolo.

Il ritardo dell’onda P3 e delle altre firme della coscienza corrisponde al fatto che la nostra rappresentazione del mondo esterno viaggia con un ritardo di almeno tre decimi di secondo rispetto alla realtà circostante. Questo ritardo è compensato in parte dall’esistenza di molti servo-circuiti incoscienti che gestiscono l’esecuzione di azioni automatiche in modo più rapido rispetto all’elaborazione cosciente.10 Per mantenere il coordinamento con la realtà esterna inoltre, il nostro cervello costituisce continuamente un’anticipazione sensomotoria di ciò che sta per accadere.11 Quando si verifica un imprevisto succede dunque che ci troviamo, per un istante, nella posizione di apprezzare una sfasatura fra la realtà corrente e la nostra previsione. Dehaene fa l’esempio del bicchiere di latte che cade perché urtato accidentalmente. Vorremmo prenderlo al volo, ma possiamo solo osservare la lentezza della nostra reazione.

ALCUNI FENOMENI SPERIMENTALI

Dehaene descrive una grande varietà di fenomeni sperimentali, tra i quali particolarmente significativi sono le immagini subliminali, la rivalità binoculare, la cecità disattenzionale, la visione ceca, la valutazione di appropriatezza al contesto.

Le immagini subliminali sono immagini presentate al di sotto (sub-) di un certo tempo limite (limen), che corrisponde a circa 50 millisecondi. A causa del brevissimo tempo di presentazione queste immagini non arrivano alla coscienza, ma riescono comunque ad accedere alle prime zone del cervello dedicate all’elaborazione visiva, lasciando una traccia del loro accesso per un breve periodo di tempo, circa un secondo. Nei cosiddetti esperimenti di priming subliminale la presentazione subliminale di una parola accelera il successivo riconoscimento di quella stessa parola, se la seconda presentazione avviene entro un secondo dalla prima. L’accelerazione è dovuta al fatto che alcuni circuiti nervosi inconsci erano si già sintonizzati su quello stimolo.

La rivalità binoculare si ha quando si presentano all’occhio sinistro e all’occhio destro due immagini fra loro scollegate, ad esempio per mezzo di un sistema di specchi o con degli schermi opportunamente allestiti. Ciò che succede è che la visione oscilla tra un oggetto e l’altro, ad esempio tra un volto e una casa. L’oscillazione avviene a livello inconscio, ed è al di fuori della portata della decisione consapevole di seguire una o l’altra immagine.

Un esperimento interessante che si può fare è presentare il volto e la casa con immagini oscillanti a frequenze diverse, così che poi si possa riscontrare la traccia di una o dell’altra immagine per mezzo di un elettroencefalogramma. Nelle prime fasi dell’elaborazione visiva sono presenti contemporaneamente entrambi gli stimoli (la casa ed il volto), mentre a partire da un certo punto del processo di elaborazione è presente soltanto uno stimolo oppure l’altro, che si alternano nel tempo.

La cecità disattenzionale consiste nel fatto che quando si è concentrati su un determinato aspetto della scena si diventa incapaci di notare i cambiamenti che si svolgono in altre zone dell’ambiente osservato. Questo implica che vi sia una focalizzazione dell’attenzione cosciente sui flussi inconsci che provengono da determinate zone della realtà, e la concentrazione su un determinato contenuto tende ad impedire l’accesso in coscienza di altri contenuti. Un esempio famoso è quell’esperimento dove si chiede ai partecipanti di contare il numero di passaggi in una partita di basket, e intenti nel contare non ci si accorge che un attore vestito da gorilla entra in campo nel mezzo della partita, battendosi le mani sul petto prima di andarsene.12

La visione cieca si ha quando il soggetto non ha una coscienza visiva integra della situazione circostante (a causa di malattie o traumi), ma nonostante questo…

(… parte omessa nella pubblicazione web. Per avere gratuitamente l’articolo in versione integrale potete contattarmi con Facebook/messenger, o tramite mail…)

IN OSPEDALE

All’inizio del capitolo sei Dehaene fornisce una descrizione degli stati principali di coscienza danneggiata. Il caso peggiore è quello della morte cerebrale, che è facilmente identificabile perché i neuroni muoiono, non sono più in grado di attivarsi elettricamente, e le memorie vanno a perdersi definitivamente col dissolvimento della struttura cellulare. Nel caso del coma invece, il paziente non è in grado di risvegliarsi per un periodo prolungato (per più di un’ora), ma le cellule cerebrali sono integre, come si può riscontrare facilmente dall’attività registrata con l’elettroencefalogramma. Molti pazienti in stato di coma si risvegliano tornando ad avere funzioni normali, ma alcuni di loro si risvegliano rimanendo insensibili, recuperano l’alternanza fra sonno e veglia ma non danno segni di consapevolezza: questo è lo stato vegetativo. Il problema è che dietro la maschera esterna dello stato vegetativo si nascondono dei casi in cui i soggetti mantengono la coscienza, e non è facile identificarli.

Nel 2006 si è accidentalmente trovata una paziente in stato vegetativo nel cui cervello si attivavano reti cerebrali distinte a seconda dei pensieri che le venivano richiesti a voce. Con la risonanza magnetica funzionale è possibile osservare che nel cervello si attivano aree diverse a seconda che si stia immaginando di giocare a tennis oppure di muoversi nel proprio appartamento. Nel primo caso il focus è sull’attività motoria, mentre il secondo compito è assimilabile ad un orientamento nello spazio. Nel 2010 è stato organizzato un esperimento in cui ad un altro paziente in stato vegetativo è stato chiesto se aveva dei fratelli. Il paziente doveva pensare di giocare a tennis per dire di sì e di visitare il proprio appartamento per dire di no. Il paziente rispose correttamente a 5 domande su 5.

Il problema è che compiere questo tipo di analisi implica costi molto alti per via dei macchinari necessari. Nel 2008 Dehaene ed alcuni suoi colleghi hanno intrapreso…

(… parte omessa nella pubblicazione web. Per avere gratuitamente l’articolo in versione integrale potete contattarmi con Facebook/messenger, o tramite mail…)

I DINTORNI DELL’UOMO

L’uomo si sviluppa dall’animale nel corso del processo evolutivo, emerge dal bambino nel corso della crescita, e può darsi il caso che nel corso della sua vita incontri la malattia. Dal nostro sapere sulla coscienza ci aspettiamo che vengano suggerimenti su ciò che accomuna e distingue l’uomo adulto da questi mondi vitali ad esso limitrofi: il bambino, l’animale, la malattia.13

I BAMBINI

Come abbiamo visto la coscienza è associata ad uno spazio globale costituito da connessioni tra zone del cervello molto distanti fra loro. Queste connessioni iniziano a formarsi…

(… parte omessa nella pubblicazione web. Per avere gratuitamente l’articolo in versione integrale potete contattarmi con Facebook/messenger, o tramite mail…)

VERSO UNA GRANDE SINTESI

Chiudo l’articolo ricordando un altro importante studioso che recentemente ha proposto un’ampia visione del cervello: Jaak Panksepp. Panksepp propone di considerare il cervello distinto in tre livelli. Il livello primario riguarda le strutture più antiche del cervello, quelle più vicine al tronco cerebrale, e contiene tra l’altro le strutture nervose collegate alle emozioni fondamentali di cui Panksepp si occupa (paura, aggressività, eccitazione sessuale, cura, pena della solitudine, gioco, SEEKING/voglia di fare)14. Il livello secondario riguarda soprattutto i meccanismi di apprendimento e memoria, mentre quello terziario riguarda le funzioni più elevate, che hanno la corteccia cerebrale come organo principale. I processi terziari sono quelli su cui è centrato il discorso di Dehaene.

Dunque, se Dehaene si occupa soprattutto dei processi terziari e Panksepp di quelli primari, l’intuizione suggerisce che si possa creare una visione complessiva che tenga conto di entrambi i discorsi. Avremo dunque uno spazio neuronale globale come manifestazione di una coscienza che ha le sue radici nei sistemi emotivi collocati nel grigio periacqueduttale?15La scienza a volte sembra fatta di molte vallate fra loro isolate, e forse mettendo insieme le chiavi di interpretazione sparse qui e là è già possibile trovare la soluzione. Bisogna tenersi aggiornati: forse qualcuno sta già scrivendo il libro che aspettiamo.

 

1Stanislas Dehaene, Coscienza e cervello. Come i neuroni codificano il pensiero, 2014, Milano, Raffaello Cortina Editore. Titolo originale: Consciousness and the Brain: Deciphering How the Brain Codes Our Thoughts. Traduzione di Pier Luigi Gaspa.

2“…l’informazione non cosciente rimane confinata a un angusto circuito cerebrale, mentre l’informazione percepita coscientemente viene distribuita globalmente su gran parte della corteccia e per un tempo prolungato.” p. 188

3“Negli esseri umani, il formulatore verbale che ci consente di esprimere i contenuti della nostra mente è un elemento essenziale che può essere impiegato soltanto quando siamo coscienti” p. 155

4I neuroni più sviluppati da questo punto di vista si trovano nella corteccia prefrontale.

5Dehaene nota inoltre come “In pratica, tutte le regioni della corteccia direttamente interconnesse condividono a loro volta l’informazione tramite una via parallela d’informazione che passa attraverso un trasmettitore collocato in profondità nel talamo.” p. 233

Nello stesso passo Dehaene fa riferimento anche all’importante ruolo dei gangli basali e dell’ippocampo.

6“Per quanto ci sforziamo di percepirlo, uno stimolo subliminale non diventerà mai cosciente, laddove, invece, uno stimolo preconscio sì, se soltanto troviamo il tempo per occuparcene.”

7Non intendo certo dire che le impronte inconsce della memoria siano assolutamente immodificabili, ma che i processi a cui sono soggette sono qualitativamente differenti da quelli della vita cosciente. Considera in proposito questa affermazione: “Il nostro cervello si comporta come uno statistico esperto, che rileva regolarità significative nascoste in sequenze apparentemente casuali, e tale apprendimento statistico avviene senza sosta, in sottofondo, anche quando stiamo dormendo.” p. 122

8È interessante in proposito la teoria del riconsolidamento delle memorie, che prevede la possibilità di cambiare forma alle memorie una volta richiamate in coscienza. Si veda: Karim Nader and Einar Örn Einarsson, “Memory reconsolidation: an update,” Ann. N.Y. Acad. Sci. 1191, (2010), 27–41 doi: 10.1111/j.1749-6632.2010.05443.x

9C’è un passo a pagina 148 dove Dehaene contrappone la visione di un inconscio in rapido decadimento alla visione di Lacan per cui l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Al di là dell’ipotesi di Lacan, a noi sembra che la posizione espressa in questo passo da Dehaene sia adeguata a descrivere l’inconscio sensoriale, ovvero il destino delle informazioni sensoriali provenienti dall’esterno, ma non l’inconscio biografico, inteso come stratificazione delle memorie che costituiscono la nostra storia di vita.

“Molti esperimenti mostrano che, nel cervello, lo stimolo subliminale va incontro a un decadimento esponenziale. Riassumendo queste scoperte, il mio collega Lionel Naccache ha concluso (contraddicendo lo psicanalista francese Jacques Lacan) che “l’inconscio non è strutturato come un linguaggio, ma come un decadimento esponenziale”. Sforzandoci, noi possiamo mantenere viva per un periodo leggermente più lungo l’informazione subliminale; ma la qualità di questa memoria si degrada a tal punto che il nostro richiamo, dopo pochi secondi d’intervallo, supera a malapena il livello della casualità. Soltanto la coscienza ci permette di coltivare pensieri duraturi.”

10“I nostri occhi e le nostre mani reagiscono spesso adeguatamente proprio perché sono guidati da un’intera gamma di circuiti veloci sensomotori che operano al di fuori della nostra consapevolezza cosciente” p. 177

11“In pratica, tutte le nostre aree sensoriali e motorie contengono meccanismi di apprendimento temporale, che anticipano eventi del mondo esterno.” p. 177

12Il video si trova su Youtube cercando: Daniel Simons Gorilla

Sarebbe interessante considerare questa resistenza della coscienza insediata per mezzo dei concetti di individuazione e metastabilità come sono stati sviluppati da Gilbert Simondon.

13Vi sarebbe almeno una quarta provincia da aggiungere ai dintorni dell’uomo: lo sviluppo di simulazioni software del funzionamento del cervello. Dehaene parla di una simulazione del cervello da lui sviluppata per verificare le dinamiche delle firme della coscienza. Per sviluppare tale simulazione ha preso di riferimento la colonna talamo-corticale come “unità computazionale di base del cervello dei primati”. Cf. p. 246

Inoltre: “In Europa si stanno riunendo forze di ricerca per il Progetto Cervello Umano (Human Brain Project), un epico tentativo di comprensione e di simulazione di reti corticali delle dimensioni di quella umana.”

14Nel campo delle emozioni Dehaene fa riferimento all’amigdala; ricordiamo che secondo Panksepp l’amigdala è meglio interpretabile come un canale di trasmissione, non una sorgente.

15Per approfondire la visione di Panksepp vi suggerisco il libro divulgativo da me pubblicato: “Le emozioni di base secondo Panksepp”.

Lo studio della personalità con i Big Five e le emozioni.

Quello che segue é un estratto dal libro Le emozioni di base secondo Panksepp, che ho pubblicato di recente.

“Lo studio dei sistemi emotivi condotto da Panksepp si pone in una prospettiva di continuità anche con la concezione dei cinque fattori, che costituisce un punto di riferimento tradizionale nell’ambito dello studio della personalità. Il modello dei cinque fattori trae origine dallo studio statistico degli aggettivi impiegati per descrivere la personalità, ed ha dimostrato di essere valido in contesti culturali differenti. I cinque fattori sono la stabilità emotiva, l’estroversione, l’apertura mentale, l’amicalità, la coscienziosità. Panksepp ha mostrato che si possono dare delle interpretazioni di questi tratti di personalità per mezzo dei sette sistemi emotivi da lui individuati: “la ricerca/voglia di fare è robustamente collegata all’apertura mentale, ed un forte sistema emotivo del gioco si accorda con un’elevata estroversione. Una cura elevata ed una rabbia limitata sono associate con un alto livello di amicalità. Alti punteggi per le emozioni negative nel loro complesso potrebbero essere all’origine dell’instabilità emotiva (con forti contributi provenienti dalla pena della solitudine e dalla paura).”1 Il modello dei cinque fattori riceve così un’interpretazione più profonda, e le sette emozioni di Panksepp dimostrano il loro potere esplicativo nell’ambito di un campo di studi consolidato (per chi volesse, il test di personalità basato sulle sette emozioni di Panksepp è facilmente recuperabile online2).”

1Christian Montag, Jaak Panksepp, “Primary emotional systems and personality: an evolutionary perspective,” Frontiers in Psychology 8:464 (2017), 9-10, doi:10.3389/fpsyg.2017.00464

2Il questionario, in inglese, si trova all’interno di questo articolo: Kenneth L. Davis, Jaak Panksepp, “The brain’s emotional foundations of human personality and the Affective Neuroscience Personality Scales,” Neuroscience and Biobehavioral Reviews 35 (2011), 1946–1958, doi: 10.1016/j.neubiorev.2011.04.004

L’articolo può essere scaricato liberamente dal sito researchgate.net.

La doppia natura della depressione, fisica e razionale

Ció che va messo a fuoco della depressione é che si tratta di un malessere fisico e che quindi non puó essere messo a posto con un ragionamento, cosí come una gamba rotta non puó essere aggiustata con la riflessione. Allo stesso tempo peró la depressione é il risultato della stratificazione di abitudini di comportamento e di ragionamento sbagliate. Per questo motivo la depressione puó essere affrontata con la ragionevolezza, ma non con quella ragionevolezza che mostra nulle i giudizi neri della persona depressa, bensí con una ragionevolezza che ci dica quali abitudini cambiare per eliminare le condizioni sistematiche che hanno provocato la depressione. Nel dire abitudini, ripetiamolo, ci si riferisce sia ai comportamenti fisici che al tipo di concetti che usiamo per interpretare il mondo.
Per quanto detto la depressione appare caratterizzata da una doppia natura. Da un lato si tratta di un problema concreto, molto piú solido dei ragionamenti fatti di parole, dall’altro é possibile attaccare la riflessione assumendo una adeguata visione del mondo e mantenendola a lungo, in modo che abbia modo di propagare i suoi effetti stratificandoli pian piano in tutte le regioni del nostro vissuto.

Per approfondire il tema della depressione potresti leggere i seguenti articoli:

Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione

 Depressione ed attacchi di panico: una radice in comune?

JAAK PANKSEPP E L’ARCHEOLOGIA DELLA MENTE: ALCUNE PREMESSE STORICHE

Nel libro L’Archeologia della mente Panksepp prende le mosse da una ricostruzione storica del modo in cui le emozioni sono state escluse per lungo tempo dall’indagine scientifica. Secondo Panksepp la corrente di pensiero del comportamentismo, i cui fondatori sono John B. Watson e B.F. Skinner, é uno dei principali responsabili del mancato studio delle emozioni nel corso del ventesimo secolo. L’impostazione positivista del movimento comportamentista é stata di eccessiva chiusura nei confronti del contenuto mentale non direttamente osservabile, ritardando cosí il progresso dello studio delle emozioni, il quale avrebbe potuto essere condotto senza aspettare le tecnologie di laboratorio a noi contemporanee, come dimostrano i lavori di diversi studiosi del passato. Sia Charles Darwin che William James ebbero visioni dell’emotivitá piuttosto avanzate, pur senza il contributo delle moderne tecniche neuroscientifiche. Pavlov riconobbe l’importanza delle emozioni nei suoi famosi lavori sui riflessi nei cani. Nel lavoro di Freud la dimensione emotiva é irrinunciabile e riceve una principale concettualizzazione in termini di un polo positivo e di uno negativo fra loro contrapposti. Edward Thorndike formuló la famosa “Law of Effect” utilizzando le parole satisfaction e discomfort, che chiaramente suggerivano stati mentali e tonalitá emotive, ma i comportamentisti preferirono usare termini piú oggettivi ed osservabili quali reward and punishment. In generale, a seguito dell’influenza del comportamentismo furono eliminati tutti i riferimenti a stati affettivi e motivazionali, e si accettarono solo descrizioni oggettive in terza persona. Studiare gli stati mentali e le emozioni era difficile, nel passato, per mancanza di evidenze empiriche, ma la possibilitá di affrontare piú approfonditamente l’argomento a livello sistemico ci sarebbe stata.

La rivoluzione cognitiva degli anni settanta del novecento ha dato enfasi alle parti del cervello che funzionano in modo piú simile al software di un computer, ovverosia al lavoro di processazione delle informazioni. Con ció si é riportata l’attenzione sulla mente intesa come attivitá riflessiva invisibile, ma é rimasto il pregiudizio che trascura le emozioni. Quando il cognitivismo guarda ad esse, tende a considerarle come un sottoinsieme dei processi cognitivi, ma questi sono tipici della corteccia cerebrale, che é la parte piú recente del cervello, mentre le emozioni risiedono in strutture evolutivamente piú antiche, e giá in ció rivelano una natura intimamente diversa.

Al giorno d’oggi, ci dice Panksepp, ci troviamo in una situazione in cui esistono i mezzi tecnici per lo studio dell’esperienza emotiva, ma permane l’abitudine anacronistica di trascurarla, non piú motivata dall’assenza di metodi di indagine rigorosi. Questo é connesso col fatto che molti studiosi delle neuroscienze hanno una formazione di stampo comportamentista oppure cognitivista.

Panksepp propone una ricostruzione storica in cui é centrale il ruolo di quello che poi fu chiamato Berlin Biophysics Club, sotto l’influsso del quale fu ufficialmente dismessa nell’ottocento la teoria dei quattro fluidi risalente ad Ippocrate.

LE EMOZIONI NON SONO UN’INTERPRETAZIONE RIFLESSIVA

Sul finire dell’ottocento William James e Carle Lange svilupparono indipendentemente una teoria di tipo read-out secondo cui le emozioni sarebbero una sorta di interpretazione riflessiva di un comportamento che funziona in modo automatico e indipendente da esse. Walter Cannon nel 1927 notava che questo non poteva essere vero, in quanto non ci sono i tempi tecnici perché la mente possa generare un’emozione costantemente al passo con un comportamento da essa separato. Le emozioni non potevano essere una sorta di interpretazione a posteriori, ma dovevano originarsi in modo integrato col comportamento. Paul MacLean sviluppó questo concetto estesamente arrivando a definire un sistema limbico inteso come un antico strato del cervello comune a tutti i mammiferi, ma le sue teorie furono accantonate a causa di alcuni errori secondari. Panksepp considera il proprio approccio convergente con quello di MacLean e si ritiene un follower di Cannon e Darwin nel loro riconoscere le emozioni come dirette manifestazioni di attivitá specifiche del cervello.

Panksepp ha voglia di giocare

Il libro di Panksepp non vale tant’oro quanto pesa. Di più. Molto spesso utilizza i dati scientifici di base per delle considerazioni su come affrontare i principali “malfunzionamenti” mentali dell’uomo, come depressione, rabbia e mancata felicità in genere. L’importanza di queste considerazioni non sta nella loro novità assoluta, ma nel fatto che sono fondate sulla conoscenza della struttura fisica del cervello che si è andata accumulando nelle ultime decine di anni. Non sono soltanto “valide impressioni”, ma punti di riferimento consolidati. Traduco qui l’ultimo spunto interessante che ho trovato:

“Come vedremo nel prossimo capitolo, la giocosità, che è la sorgente di uno dei più positivi sentimenti sociali-affettivi che la nostra mente possa generare, non è ancora sistematicamente o adeguatamente impiegata nei contesti psicoterapeutici. Ci sono sicuramente dei modi per rendere questo robusto affetto positivo un aspetto comune delle interazioni psicoterapeutiche. Dovremmo ricordarci la famosa idea di Norman Cousin’s (1983): che la risata potrebbe essere una delle nostre migliori medicine.”

Ma gli angeli giocosi, per essere tali, non dovranno prima imparare ad usare i coltelli contro i cani arrabbiati?

Testo originale in inglese:
“As we will see in the next chapter, playfulness, which is the source of one of the most positive social-affective feelings our brain can generate, is not yet systematically or well used in psychotherapeutic contexts. There are surely ways to make this robust positive affect a more common aspect of therapeutic intereaction. We may be wise to remember Norman Cousin’s famous idea: Laughter may be one of our best medicines.”

Da: The Archaeology of mind – Neuroevolutionary Origins of Human Emotions.
Jaak Panksepp e Lucy Biven