Il treno spagnolo della Renfe ha una forma affusolata di un delicato color panna, mentre il treno portoghese, che sta sul binario accanto, assomiglia più ad una simpatica scatola da scarpe gialla, coi bordi arrotondati. Dopo aver trovato la posizione più comoda sul mio sedile, tiro fuori dallo zaino il sacchetto di arachidi salate comprate a Pontevedra, la città spagnola che abbiamo appena visitato. Il problema è che le noccioline hanno ancora la buccia, ed il sale lo hanno messo fuori. Poi quando inizio a sbucciarle capisco il trucco: il sale rimane sulle mani, e da lì passa sulle labbra e sulle noccioline. Geniale.
Il treno si inclina per una curva molto pronunciata, e osservo con curiosità l’angolo che si forma tra il vagone ed i pali della linea elettrica. Proprio mentre ne sto parlando con miss Tímea, sentiamo una botta provenire da dietro. Ci giriamo, e vediamo un uomo robusto, biondo, dall’aspetto anglosassone, che si gratta la testa con un espressione di dolore. E nel mezzo del corridoio c’è una valigia rosa. Anche gli altri passeggeri si girano per capire cosa è successo, e quando il padrone della valigia rosa capisce di essere il colpevole, si sente imbarazzato e cerca di scusarsi offrendo delle patatine all’uomo dal volto anglosassone, il quale cortesemente declina l’offerta.
L’autobus 306 ci porta dalla stazione dei treni di Porto fino a duecento metri dalla sistemazione che abbiamo trovato per la notte. Arrivati all’indirizzo esatto ci troviamo di fronte ad un edificio ricoperto di piccole piastrelle di colore verde, con la porta in ferro verniciata di rosso. Mentre cerchiamo il campanello sentiamo la voce di un uomo che sta camminando verso di noi. È il padrone di casa. Era seduto in un bar lì vicino e ci ha visto passare. Si chiama Celso.
Celso indossa un maglioncino leggero di colore azzurro e grigio. Porta gli occhiali, ha i capelli bianchi e si muove svelto. È gentile ed un poco svampito. Si guadagna da vivere vendendo cose in internet e affittando le stanze con booking.com. Tiene in bella vista la targa con la media delle recensioni ricevute nel 2018. Otto virgola sette.
La casa è accogliente, col pavimento in parquet. La finestra della nostra stanza si affaccia sulla strada, ed è protetta da una grata estensibile di ferro zincato. Per evitare che al mattino entri la luce c’è una grande tenda rossa fissata in alto con degli anelli metallici di color grigio sabbiato. La struttura del letto è realizzata con un tubolare che in parte è di colore ottone lucido ed in parte è verniciato di color panna.
Per andare in cucina si incontra un grosso quadro astratto di colore arancio appoggiato per terra, in fondo a un corridoio. In cucina c’è un tavolo a scomparsa, e si sta un poco alle strette. Oltrepassando la cucina c’è una veranda piena di cianfrusaglie, fra cui una calcolatrice coi tasti meccanici, un vecchio registratore della JVC, tre scatole di giochi da tavolo, due caschi per le biciclette, alcuni mobiletti in legno cesellato accatastati uno sull’altro, e soprattutto tanti libri. Di libri ce ne sono in tutti gli angoli della casa, ordinati in file orizzontali o impilati in colonne verticali. C’è la bibbia, ci sono alcuni libri sulla salute dell’anima, dei dizionari di portoghese, ricettari di cucina vegetariana, libri per bambini, e tante raccolte di autori portoghesi che non conosco.
Al mattino ci tiriamo dietro la porta e lasciamo le chiavi nella cassetta della posta. Le strade di Porto sono tutte un saliscendi, e molte case hanno l’aria un po’ cadente. I muri sono spesso rivestiti con piastrelle di colore tenue oppure intenso, in tinta unita o arabescate. Tipicissime sono alcune chiese costruite in pietra granitica e decorate con grandi disegni azzurri su piastrelle bianche, che a volte si estendono su tutta la parete della chiesa. Li chiamano azulejos.
La gente di Porto si mescola al traffico delle auto creando paesaggi mai banali, anche grazie ai dislivelli che creano continuamente nuove prospettive e scorci di profondità. Ma noi siamo appena stati a Pontevedra, la città famosa per avere un centro storico senza automobili. E allora, anche se qui a Porto il traffico mi sta quasi simpatico, mi pongo delle domande. Mi chiedo come sarebbero queste strade senza le automobili. Ed è mentre cammino compiendo questo esercizio di trasfigurazione che arriviamo nella zona del ponte.
Porto sorge a cavallo della grande gola in cui scorre il fiume Duero, nel punto in cui il fiume raggiunge l’oceano Atlantico. La gola è profonda cinquanta metri, e le due parti della città che si trovano sui lati opposti del fiume sono collegate da un imponente ponte di ferro costruito a fine ottocento. Il ponte Dom Luís I fa parte della storia dell’architettura in ferro. È stato progettato da un architetto belga che ha collaborato con Gustave Eiffel. Nella parte inferiore del ponte passa il traffico automobilistico, mentre in alto, a 45 metri dal pelo dell’acqua, passano la metropolitana e i pedoni, incanalati in un corridoio largo meno di un metro. Ci andiamo anche noi, ed affacciati alla ringhiera ci lasciamo inebriare dalla sensazione di altezza. Lanciamo una monetina e ne seguiamo la caduta con lo sguardo. La monetina scivola leggera tagliando l’aria, gira su sé stessa lanciando rapidi riflessi, e dopo cinque secondi compare un piccolo schizzo bianco tra le onde scure.
Vicino al ponte c’è la cattedrale (Sé do Porto), che è uno dei monumenti principali di Porto…
(…)
Questo post è un estratto del racconto completo.
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