La persona con uno stile di attaccamento evitante1 tende a minimizzare lo stress dovuto alle relazioni.
Gli individui evitanti interpretano le situazioni dando un’importanza secondaria ai legami affettivi. Nel fare ciò adottano spesso visioni materialistiche del mondo, oppure danno rilevanza a tematiche quali il raggiungimento del successo, le posizioni di autorità e sottomissione, i ruoli sociali stereotipici.2
Le persone evitanti impiegano schemi di pensiero negativi a riguardo alle figure con cui interagiscono nelle relazioni affettive. Più precisamente, tendono ad aspettarsi un rifiuto in risposta al proprio bisogno di conforto. “Quando un tale individuo tenta, in grado marcato, di vivere la propria vita emotiva senza l’amore e il sostegno degli altri, egli cerca di diventare autosufficiente sul piano emotivo e può venire in seguito diagnosticato come narcisista…”3
Gli evitanti tendono a non impiegare espressioni di attaccamento diretto. Probabilmente non pronunciano spesso frasi come “Ho bisogno di te” oppure “Mi manchi”. Forse ritengono che l’attaccamento sia improduttivo, e nei momenti di difficoltà si sentono spinti a prendere iniziativa in prima persona, senza appoggiarsi a risorse esterne. Nel relazionarsi con gli altri, si lasciano spesso guidare dall’idea di come le persone dovrebbero comportarsi in un certo contesto, anziché attingere ad una forma di sensibilità personale.
Le persone con uno stile di attaccamento ansioso, a differenza degli evitanti, vengono sopraffatte dalle questioni relazionali. Esse non distolgono la loro attenzione dalle dinamiche di attaccamento, al contrario, rimangono coinvolte in una riflessione continua che oscilla fra emozioni positive e negative. Queste persone faticano, per così dire, a tirare una linea, a giungere ad una comprensione compiuta ed integrata della relazione. Là dove gli evitanti ottengono la loro imperturbabilità e la loro coerenza mettendo in un angolo le dinamiche relazionali, gli individui con uno stile di attaccamento ansioso amplificano i segnali dotati di un significato relazionale affettivo, e faticano a raggiungere una valutazione della situazione solida, stabile e coerente. A volte può succedere che gli ansiosi sappiano identificare i passi opportuni da compiere per migliorare la propria situazione, ma fatichino a compierli, a metterli in atto. Rimangono per così dire bloccati nel processo di valutazione senza raggiungere il momento dell’azione. Là dove il momento dell’azione può essere ad esempio qualcosa che facciamo per ritrovare la vicinanza col partner. Gli evitanti, invece, trovano più facile agire e prendere l’iniziativa, ma intraprendono un’azione non focalizzata alla risoluzione del bisogno relazionale, perché non l’hanno voluto riconoscere come importante.
Anche le persone con attaccamento ansioso portano con se degli schemi di pensiero negativi a riguardo delle proprie figure di attaccamento. È molto probabile che i genitori degli ansiosi abbiano alternato atteggiamenti accoglienti ad atteggiamenti meno disponibili. Come conseguenza, queste persone hanno interiorizzato un modello operativo ambivalente e non si sentono sicure di poter ricevere l’aiuto necessario dalla figura di attaccamento.4
Nel momento in cui prendiamo in considerazione la relazione col passato, notiamo che l’ansioso tende a parlare delle proprie esperienze in modo prolisso e rimanendone in qualche modo incagliato. L’evitante invece tende a ricordare gli eventi con poca precisione ed emozione, ed è possibile che metta in atto delle forme di idealizzazione delle figure parentali.
Lo stile di attaccamento evitante e lo stile di attaccamento ansioso non sono due universi completamente separati. È possibile riconoscere in sé stessi alcuni tratti dell’uno o dell’altro stile. È anche possibile che la medesima persona metta in atto comportamenti di attaccamento differenti a seconda della circostanza in cui si trova (ad esempio sul lavoro, nella coppia, con gli amici, in famiglia). Lo stile di attaccamento, inoltre, non è una caratteristica fissata una volta per tutte, e può cambiare con le esperienze che si compiono nel corso della vita.5 Lavorare sul proprio stile di attaccamento significa anzitutto imparare a riconoscere gli schemi concettuali che impieghiamo per interpretare il nostro comportamento e quello delle altre persone.
Sia l’attaccamento evitante sia l’attaccamento ansioso sono considerati come forme di attaccamento insicuro. Entrambi possono essere compresi meglio se confrontati con l’attaccamento sicuro, e se li poniamo nel quadro più generale della teoria dell’attaccamento.
La teoria dell’attaccamento, sviluppata anzitutto da John Bowlby nella seconda metà del Novecento, costituisce ambito molto rilevante della psicologia contemporanea. Essa ritiene che ogni essere umano abbia un intimo bisogno di vicinanza nei confronti dei propri simili. Nel bambino, a partire dai sei mesi circa, questo bisogno può essere soddisfatto soltanto dalla presenza fisica della madre, o comunque della figura principale di attaccamento. Col passare del tempo il bambino interiorizza la figura della madre e delle altre persone a cui è legato. Riesce così ad intraprendere esplorazioni del mondo che giungono sempre più lontano dalla propria base di partenza, a cui però fa sempre ritorno. Nell’adulto valgono le stesse dinamiche, anche se, ovviamente, la stratificazione della vita mentale di una persona adulta è incomparabilmente più complessa rispetto al bambino. Il punto fondamentale è che anche l’adulto ha bisogno di sentirsi connesso alla propria base sicura. La differenza fra il bambino e l’adulto è che quest’ultimo ha sviluppato una comprensione del mondo molto più complessa ed articolata. Il bisogno di connessione alla base sicura può quindi essere soddisfatto anche solo a livello mentale, ad esempio facendo appello a degli opportuni ricordi.
Ecco alcune parole di Bowlby relative al concetto di base sicura: “Il concetto di una base personale sicura, da cui un bambino, un adolescente, o un adulto parte per esplorare e a cui ritorna di tanto in tanto, è un concetto che sono giunto a considerare cruciale per capire come una persona emotivamente stabile si sviluppi e funzioni per tutta la vita.”6
È opportuno osservare che la psicologia ufficiale non ha sempre riconosciuto il bisogno di legami sociali come un istinto fondamentale dell’essere umano. Al tempo di Freud, ad esempio, era normale pensare che l’attaccamento del bambino alla madre fosse una conseguenza della nutrizione. Vi furono molte resistenze iniziali nei confronti del lavoro di Bowlby, negli anni cinquanta e sessanta, ma le molteplici ricerche condotte su questo tema gli diedero sostanzialmente ragione.
La lontananza dalla base sicura è percepita dunque dall’essere umano come una forma di mancanza. La naturale conseguenza di questa mancanza è un’azione volta al ricongiungimento. È per questo che il bambino piccolo rimasto da solo piange: per richiamare l’attenzione della mamma e ricongiungersi ad essa. L’adulto non percepisce il medesimo intenso spaesamento del bambino piccolo senza la mamma, e non piange con la medesima immediatezza, ma è soggetto a dinamiche interiori molto simili. Lo si vede bene nel senso di vuoto che si prova all’interrompersi di ogni relazione significativa. In tale circostanza, la reazione tipica di una persona caratterizzata da una forma di attaccamento sicuro è quella di riconoscere apertamente tale senso di vuoto e di tentare le azioni disponibili volte al ricongiungimento, ove questo è possibile. Da una persona tipicamente evitante ci aspettiamo invece che sottovaluti l’importanza del sentimento di mancanza, mentre da una persona con attaccamento ansioso ci aspettiamo che soffra particolarmente a causa della separazione, e che non sia in grado di mettere in atto con sicurezza e padronanza le azioni volte al ricongiungimento.
Quando si parla di una persona dotata di uno stile di attaccamento sicuro non si intende dire che questa persona sia imperturbabile e non venga toccata dall’allontanamento degli altri. La persona sicura è quella che non ha paura di riconoscere il sentimento di mancanza, il quale sorge in modo naturale quando qualcuno di importante si allontana. La persona sicura non ha paura di mostrare la propria vulnerabilità perché sa occuparsene. Per quanto riguarda l’imperturbabilità, noi possiamo anche immaginarci che sia il risultato di una riflessione profonda, la quale tiene dovutamente in considerazione l’inestimabile valore delle relazioni umane. Purtroppo però, l’imperturbabilità può anche presentarsi come una maschera portata da chi preferisce non riconoscere quel bisogno relazionale che negli esseri umani è costitutivo.
Come abbiamo già accennato, la teoria dell’attaccamento è stata sviluppata nella seconda metà del novecento. In anni più recenti, fra la fine del novecento e l’inizio del ventunesimo secolo, nell’ambito delle neuroscienze è nato un nuovo campo di studi chiamato neuroscienze affettive. Le neuroscienze affettive, il cui fondatore è Jaak Panksepp, hanno individuato sette sistemi emotivi fondamentali: la paura, la rabbia, l’interesse, l’eccitazione sessuale, il gioco, la cura e la pena della solitudine.7 Gli ultimi due in particolare si accordano molto bene con la teoria dell’attaccamento. Abbiamo infatti nel bambino una pena della solitudine che corrisponde a una forma di dolore spirituale dovuto alla mancanza dei legami sociali più intimi. La pena della solitudine è strettamente collegata a quel modo di sentire che nella teoria dell’attaccamento viene chiamato ansia di separazione. Nella madre troviamo invece un profondo sentimento di cura, equivalente all’amore materno, che si attiva in particolar modo quando la madre percepisce empaticamente la pena della solitudine nel bambino.
Si vede abbastanza chiaramente che i sistemi emotivi fondamentali sono il contesto più ampio in cui comprendere le dinamiche dell’attaccamento. Chi scrive ha pubblicato un libro divulgativo proprio su questo tema: Le emozioni di base secondo Panksepp.
Prima di procedere, proviamo a dare un ritratto più completo delle persone contraddistinte da una forma di attaccamento sicuro. Queste si caratterizzano per la capacità di impiegare gli altri come una base solida da cui trarre la sicurezza necessaria ad intraprendere le proprie attività nel mondo. Le persone sicure esprimono chiaramente il loro desiderio di connessione con gli altri, e quando si trovano in una condizione di distanza dalle figure di riferimento, si attivano per ristabilire la vicinanza. La vicinanza può essere ristabilita in modo fisico, oppure mentalmente. Le persone con attaccamento sicuro raggiungono un’idea del partner che rimane stabile anche attraverso diversi periodi di assenza o attraverso circostanze di vita differenti. I soggetti sicuri riconoscono l’importanza delle relazioni, di cui hanno un’idea bilanciata e reciproca.
Da un punto di vista più generale la ricerca ha mostrato che le persone con attaccamento sicuro sono tendenzialmente impegnate in modo più consistente nelle loro relazioni, sono più coinvolte nel ruolo genitoriale e pronte a fornire supporto, meno affette da sintomi depressivi, più abili ad adattarsi ad eventi stressanti in modo flessibile.8
In questo articolo abbiamo utilizzato per chiarezza espositiva i termini evitante ed ansioso in riferimento alle dinamiche di attaccamento negli individui adulti. Bisogna però ricordare che questi termini sono impiegati anzitutto in riferimento ai bambini. In ambito specialistico, per gli adulti si impiegano più spesso i termini distanziante al posto di evitante e preoccupato al posto di ansioso.
Per una trattazione riferita ai bambini potete leggere questo nostro articolo: (in fase di scrittura)
In aggiunta all’attaccamento sicuro, evitante/distanziante ed ansioso/preoccupato, esistono anche delle forme di attaccamento disorganizzato/irrisolto che non è possibile ricondurre immediatamente agli schemi visti finora. Questo tipo di attaccamento è legato alla presenza di traumi irrisolti, che spesso implicano la perdita di una figura di attaccamento.9
Dopo aver descritto nelle linee generali i tipi principali di attaccamento è naturale chiedersi quale sia la loro diffusione. Secondo alcuni studi, l’attaccamento sicuro contraddistinguerebbe circa il 60% della popolazione adulta. Il restante 40% si dividerebbe fra percentuali simili di individui con attaccamento evitante ed individui con attaccamento ansioso. Questi dati sono riferiti a persone non affette da particolari patologie.10
La differenza di attaccamento fra uomini e donne è un tema che è stato approfondito soltanto di recente. Al momento non vi sono teorie che hanno raggiunto un consenso diffuso fra gli esperti in materia. Sono però disponibili alcune indicazioni che riportiamo nei paragrafi seguenti.11
Dalle statistiche interculturali risulta che gli uomini sarebbero più propensi ad assumere uno stile evitante/distanziante, mentre le donne sarebbero più propense ad assumere uno stile ansioso/preoccupato. La tendenza degli uomini ad assumere uno stile evitante corrisponderebbe ad una strategia generale consistente nel tenere basso l’impegno nella relazione. Al contrario, la tendenza delle donne ad assumere uno stile ansioso corrisponderebbe ad una strategia tesa a massimizzare l’impegno del partner. Si fa riferimento con ciò al fatto che l’ansia della donna richiamerebbe empaticamente l’aiuto da parte dell’uomo. Bisogna comunque tener presente che le differenze appena descritte, statistiche alla mano, si rivelano poco pronunciate. Esse sembrano diventare più rilevanti quando si va a considerare alcuni aspetti più specifici.
Una componente del comportamento evitante è la tendenza a fare affidamento su sé stessi evitando di parlare dei problemi, di chiedere aiuto e di condividere le emozioni. Questo atteggiamento sarebbe più tipico degli uomini. Un’altra componente dello stile evitante è il disagio provato per la vicinanza fisica del partner, che si manifesta in modo simile sia negli uomini sia nelle donne.
Nell’attaccamento ansioso vi sono due fenomeni più evidenti nelle donne che negli uomini. Uno è la paura di essere abbandonati o trascurati, mentre l’altro è una forma di rabbia o frustrazione dovuto a indisponibilità o disinteresse da parte del partner. Un’altra componente dell’attaccamento ansioso consiste in un desiderio di vicinanza non corrisposto dal partner, e sarebbe più tipica degli uomini.
In generale, le differenze di attaccamento fra maschi e femmine sarebbero assenti nei bambini di pochi anni, ed emergerebbero nel corso dello sviluppo verso l’adolescenza.
Per tutto quello che abbiamo detto risulta chiaro che i meccanismi di attaccamento incidono in modo estremamente significativo sulla nostra vita emotiva. Essi, infatti, intervengono nei nostri livelli di motivazione e nella percezione di ciò che è urgente ed importante. I suggerimenti che possiamo trarre dalla teoria dell’attaccamento si rivelano dunque importanti al fine di definire e realizzare un progetto di vita soddisfacente. Il primo suggerimento è quello di chiederci chi e in che modo costituisce per noi una base sicura. O chi potrebbe farlo. Il secondo suggerimento è di prestare attenzione a quel vuoto più o meno pronunciato che si crea quando per un qualsiasi motivo interviene una distanza fisica o affettiva dalla nostra base sicura; fosse anche solo per un dettaglio che il nostro partner si è dimenticato. Il terzo suggerimento è quello di imparare a chiamare gli altri quando ne abbiamo bisogno. Di imparare, più in generale, ad esprimere chiaramente il nostro sentimento di mancanza.
Questi semplici suggerimenti non sono la formula semplice per risolvere alla svelta i nostri problemi relazionali. Ma forse possono evitarci di cascare in alcune trappole affettive o cognitive capaci di tenerci prigionieri a lungo, senza che noi ce ne accorgiamo.
Esprimere il sentimento di mancanza, in particolare, può essere difficile nell’ambito di una relazione conflittuale in cui il nostro partner non rispetta adeguatamente il bisogno che andiamo ad esprimere. Ed anzi lo utilizza come un punto debole su cui fare leva. Purtroppo però, esprimere il nostro bisogno più intimo è una mossa per così dire irrinunciabile, e non possiamo sottrarci dal farlo, senza poi pagarne le conseguenze. Ad esempio perdendo l’accesso all’intimità col nostro partner, e sentendoci più soli.
Un’ultima opinione da parte di chi scrive: si può, e forse in un certo senso si dovrebbe, imparare ad essere autonomi ed indipendenti. Ma ciò può accadere soltanto nella memoria degli altri, soltanto ricordandosi di loro, soltanto rimanendo pronti ad incontrarli. La vera autonomia non può accadere nel rifiuto degli altri, che è destinato a renderci poveri. Questo, naturalmente, è l’ideale, e sappiamo bene che poi l’incontro reale con le altre persone è irto di piccole difficoltà. Noi però vorremmo pensare che a questa “corona di spine”, per così dire, ci si possa approcciare con l’intenzione di non pungersi, e di scostare le spine per fare spazio ad altro.
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1Gli attaccamenti evitante, ansioso, sicuro e disorganizzato sono stati individuati da Mary Ainsworth nei bambini piccoli. Successivamente la Main ha individuato queste categorie per gli attaccamenti in età adulta: Distanziante (corrispondente al tipo Evitante nei bambini piccoli), Preoccupato (corrispondente al tipo ansioso nei bambini piccoli), Autonomo (corrispondente al tipo sicuro nei bambini piccoli, Irrisolto (corrispondente al tipo disorganizzato nei bambini piccoli). Nella letteratura divulgativa si trovano spesso i termini individuati nei bambini piccoli impiegati per le corrispondenti categorie negli adulti. È quello che facciamo anche noi in questo articolo, per restare vicini all’uso più diffuso a cui sono abituati i lettori.
2Per le caratteristiche dei diversi stili di attaccamento vedi: George e West 2001, p. 48-53; Bakermans-Kranenburg evan Ijzendoorn 2009, p. 224, Gillibrand et al. 2019, p. 265-266; Bowlby 1989, p. 119-120.
3Bowlby 1989, p. 120.
4Bowlby 1989, p. 120.
5Fraley 2019.
6Bowlby 1989, p. 43.
7Panksepp e Biven 2012.
8Fraley 2019 (pagina 2 dell’Accepted Manuscript).
9Bakermans-Kranenburg evan Ijzendoorn 2009, p.224.
10Bakermans-Kranenburg evan Ijzendoorn 2009, p.229. Il campione di riferimento è costituito da madri nordamericane. I valori precisi sono: 58% per gli individui sicuri 23% per gli evitanti/distanzianti, 19% per gli ansiosi/preoccupati. Nel momento in cui si prende in considerazione anche la categoria irrisolti (che corrisponde ai disorganizzati) o non classificabili, i risultati sono i seguenti: 56% per gli individui sicuri, 16% per gli evitanti/distanzianti, 9% per i preoccupati e 18% per gli irrisolti o non classificabili (ciò indica che gli irrisolti si trovano principalmente fra gli ansiosi/preoccupati quando si forza la classificazione in tre categorie.
11Per tutto il discorso sulle differenze di genere vedi Del Giudice 2016 e Del Giudice 2019.