Il concetto di fenomenologia introdotto con due metafore: gli impressionisti e la radice.

Ci sono un paio di metafore che trovo molto utili per tenere presente a me stesso cosa sia l’essenza della fenomenologia. La prima metafora sono gli impressionisti. Gli impressionisti dipingevano en plein air. Realizzavano il loro lavoro all’aria aperta per restare prossimi alla sensazione immediata della luce. In precedenza la prassi era lavorare in studio, il che però implicava la mediazione della memoria e dunque l’introduzione di un livello di elaborazione cognitiva successivo alla sensazione. Sempre per rimanere prossimi al dato immediato, gli impressionisti dipingevano chiazze di colore e usavano solo colori puri, evitando il nero.

In ambito filosofico, la fenomenologia implica una particolare attenzione alla cattura delle impressioni immediate che si presentano alla coscienza, ovvero ai fenomeni. L’impressionista si sforzava di cogliere i colori senza farsi condizionare da linee, forme, e superfici immaginate. Similmente, il filosofo che fa fenomenologia si sforza di cogliere “le cose stesse” senza farsi condizionare da ciò che costituisce una convenzione introdotta a posteriori dalla riflessione.

Una seconda metafora che ci può aiutare a cogliere l’essenza della fenomenologia è quella di radice. L’idea è che ogni pensiero ed ogni parola che si presentano nella mente abbiano una radice, e che noi desideriamo cogliere questa radice. Per riuscirci dobbiamo impedire che tali pensieri e parole si sviluppino in ragionamenti ed in frasi compiute. Dobbiamo allora fare un movimento simile a quando si gira la testa indietro per vedere dove abbiamo appena camminato. Il movimento da fare è uno spostamento di attenzione per cogliere la memoria di ciò che è appena accaduto, mezzo secondo prima di quella parola o di quel pensiero che si è appena presentato nella mente. Sul nascere di ogni pensiero abbiamo a disposizione, per un breve istante, la possibilità a rinunciare a completarlo, per volgerci invece a guardare il terreno, la circostanza, la situazione, le condizioni da cui è nato. È un’opportunità che non dura molto, e serve una mossa agile che interrompa il corso normale dei pensieri e si volga a cogliere questo terreno al limite tra il conscio e l’inconscio, da cui continuamente emergono le frasi ed i ragionamenti definiti.1

Quest’uso della metafora della radice mi è stato ispirato dall’uso ripetuto che ne fa Ortega Y Gasset nel suo libro “L’uomo e la Gente”. Una sintesi di tale libro, inclusa una descrizione di alcuni concetti tipici della fenomenologia, si trova nell’articolo “Ortega Y Gasset: L’uomo e la gente. Società, reificazione e fenomenologia”.

Delle due metafore prese in considerazione, quella degli impressionisti si pone nel campo visivo, in una dimensione sincronica, mentre la metafora della radice si pone in una dimensione più processuale, diacronica. Entrambe hanno in comune una tensione a sottrarsi dal compimento della convenzione. Le macchie di colore degli impressionisti sfuggono alla convenzione del contorno e della linea (fateci caso quando guardate dal vivo il volto di un vostro amico: la linea di contorno non esiste, esistono solo zone di colore). Nel caso della radice invece, l’attenzione si sforza di direzionarsi nell’immediato passato prossimo, sfuggendo alla convenzione che desidera con tutta la forza dell’abitudine definire una frase compiuta, subito dimentica dell’apeiron da cui è appena emersa. Questo sforzo di sottrarsi al compimento della convenzione riflette ciò che nell’ambito della fenomenologia di Husserl si chiama epoché, e che costituisce una “messa tra parentesi”, una sospensione di determinate abitudini del credere, tra cui l’idea che le cose esistano davvero. Ci si sforza di stare prossimi ai fenomeni, alle impressioni immediate, distaccandosi invece dall’idea degli oggetti materiali da cui tali fenomeni si sarebbero originati.

Nel post successivo metteremo in relazione la pratica dello sguardo fenomenologico col concetto di gioco: “La Fenomenologia, il Gioco e la Frontiera di noi stessi”.

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1E se capiamo da dove è nato il nostro pensiero, avremo in mano le chiavi per trasmetterlo ad altri. Per trasmettere un pensiero, infatti, non basta descriverne la struttura le conseguenze, bisogna anche prepararne i presupposti.

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