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La cattedrale si staglia illuminata contro il buio della sera. Le torri barocche della facciata principale, ricche di decorazioni, si staccano dall’ampia base dell’edificio per svettare verso lo scuro del cielo. Dal lato opposto della piazza c’è un lungo porticato, e nella parte centrale del porticato ci sono alcuni ragazzi che fotografano la cattedrale. Più defilate, sui lati, ci sono un paio di persone che dormono nei sacchi a pelo. Sono sdraiate per terra, sistemate su un semplice telo steso sulla dura pietra del pavimento. Hanno lasciato il bastone appoggiato al muro. Non sono vagabondi, naturalmente, sono pellegrini che hanno fatto il cammino.
Miss Timea il cammino di Santiago l’ha fatto l’anno scorso, e per lei questo luogo ha un significato particolare. Si incanta alla vista dei pellegrini, e le vedo negli occhi i ricordi di quell’esperienza. Mentre io mi siedo sotto il porticato a meditare, lei si perde in giro a camminare nei vicoli illuminati dai lampioni. Ritorna dopo venti minuti ad avvertirmi che il tempo della mia meditazione è finito, e poi si siede per terra con me. E mi dice che per lei questo é il giorno più bello dell’ultimo anno.
Al mattino del giorno dopo torniamo alla cattedrale per visitare l’interno(…)
Nella zona centrale c’è un folto gruppo di persone, che non capiamo cosa stiano facendo. Noi preferiamo aggirare l’assembramento camminando lungo i muri perimetrali. Miss Timea mi spiega che le persone sono in coda per visitare la cripta coi resti del santo. Lei c’è entrata l’anno prima. Io riesco a confondermi con qualcuno che va e viene da un corridoio e mi infilo nella parte finale della coda. Non c’è solo l’urna da vedere, c’è anche la statua del santo da abbracciare. Santiago è San Giacomo, e più precisamente San Giacomo il Maggiore (uno degli apostoli). Alla statua del santo si accede attraverso una scaletta molto stretta che sale all’interno di un tabernacolo arricchito da colonne dorate ornate da forme vegetali. La statua del santo è più grande di una normale figura umana, e vi si arriva da dietro, all’altezza giusta per abbracciarlo mettendo le braccia sulla mantellina di metallo che ne copre le spalle. Su questa mantellina sono incastonate alcune pietre e vi sono fissate alcune decorazioni metalliche lucidate dagli abbracci dei pellegrini. Ma ho appena il tempo di notarlo, che già il mio turno è terminato.
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Finisterre si chiama anche Finisterra, oppure Fisterra. Il nome viene dal latino finis terrae, che significa fine della terra. Ed infatti si tratta del lembo di terra che, nella spagna del nord, si estende più a Ovest nell’Oceano Atlantico.1 La penisola di Finisterre crea un insenatura protetta dove l’acqua è più calma, ed é da questo lato che si trova il centro abitato, incluso il nostro albergo. Una volta prese le chiavi della stanza e mangiato un kebap, siamo ancora in tempo per raggiungere l’altro lato della penisola dove si puó vedere il tramonto del sole nell’oceano.
Le onde dell’oceano si fanno sentire a centinaia di metri di distanza. Per raggiungere la spiaggia percorriamo un sentiero costeggiato dai rovi con le more rosse e nere. Ci togliamo le scarpe e i sandali per camminare meglio nella sabbia. Le dune sono cosparse di vegetazione, e stiamo attenti a non calpestare le piante grasse. Gli scogli, in lontananza, sono avvolti da una nebbia sottile. Arrivati sul bagnasciuga ci mettiamo a camminare all’indietro, fotografando le nostre impronte cancellate dall’acqua. Dobbiamo alzare la voce per riuscire a sentirci. Le onde cominciano a fare la cresta molte decine di metri al largo, e quando arrivano a riva sono completamente bianche. Un bambino sta giocando a rincorrere l’acqua che si ritrae nel mare, per poi scappare indietro di fretta quando arrivano le nuove ondate. C’è un uomo che porta il cane a passeggio, e alcune ragazze sedute guardano il tramonto. Del sole rimangono solo alcune strisce arancio appoggiate all’orizzonte, mentre la luna nel cielo si fa più brillante contro il cielo che imbrunisce. Un paio di pescatori hanno piantato la canna nella sabbia, in un punto dove le onde non arrivano. Non vediamo dove si trova la lenza, e per non inciampare risaliamo verso l’entroterra. Il vento continua a soffiare forte, ed é ora di rientrare.
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Vicino al pilastrino del chilometro zero c’è una fila di persone che vogliono farsi la fotografia, e a pochi metri c’è un ragazzo che suona la chitarra. Camminando attorno all’edificio del faro si raggiunge una zona da cui si vedono le onde e gli scogli a strapiombo, da grande altezza. Ci sediamo lì a goderci il sole. Le onde viste da lontano si muovono al rallentatore. Mi perdo a confrontare i movimenti dell’acqua e della schiuma da un punto all’altro della distesa liquida e mobile. Cerco di inseguire il percorso delle onde che si avvicinano, ma quando queste si mescolano al riflusso, non riesco più ad aver presente tutti i movimenti che si intrecciano. All’orizzonte un paio di piccole vele si confondono alla foschia della lontananza, e quando il gabbiano passa a mezza distanza tra noi e le acque posso cogliere appieno la grandezza dei volumi.
L’oceano a vista d’uccello è già una cartolina da ricordare. Ma c’è ancora un percorso ritorto e stretto tra un muro bianco e la ripida discesa del promontorio che ci conduce in un punto da cui si gode una vista privilegiata. L’ultimissimo pezzo di terra dopo il faro scende verso il mare con una pendenza più lieve, in un’alternanza di rocce, chiazze d’erba e sentieri percorribili. Decine di persone se ne stanno sparse nel paesaggio. Ci sono uomini soli che scrutano l’orizzonte e gruppi di amici che scherzano. Alcuni fanno fotografie, altri si siedono a guardare. Ci sono cani al guinzaglio e cani senza guinzaglio, bambini nel passeggino e bambini a spalle di nonni e genitori. È un affresco di umanitá che riempie lo sguardo. Sono persone arrivate qui, alla fine della terra, che giocano curiose col pensiero, chiedendosi cosa ci sia al di là del mare. Una ragazza soprattutto, molto lontana, sta in basso vicino alle onde, in piedi, con le braccia aperte su uno scoglio proteso a sbalzo contro il blu del dell’oceano. La osservo, e con la fantasia mi metto al suo posto.
Questo post è un estratto del racconto completo.
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1C’é un altro lembo di terra nelle vicinanze che si estende anche piú a ovest, ma tradizionalmente il punto estremo é considerato essere Finisterre.