- COME NASCE L’INVIDIA
- SCHEMI DI PENSIERO LEGATI ALL’INVIDIA
- COME GESTIRE L’INVIDIA
- L’INVIDIA, LA GELOSIA, LA RABBIA
- IN CONCLUSIONE: ALLARGARE LO SGUARDO
- BIBLIOGRAFIA
I pensieri prodotti dall’invidia sono pensieri sprecati.
Se potessimo recuperare l’energia psichica sprecata dall’invidia, e metterla nei nostri progetti più interessanti, per molti di noi la vita sarebbe un’esperienza migliore.
L’invidia ci mette in un vicolo cieco, perché ci sentiamo spinti da un desiderio malevolo a cui non è lecito dare corso.
L’invidia è diversa dal semplice desiderare: essa porta con sé una forma di ostilità verso l’altro che risulta particolarmente difficile da ammettere. Persino di fronte a noi stessi. E quando l’invidia riguarda le persone a cui vogliamo bene, si genera un’ambivalenza ancora più difficile da gestire.
COME NASCE L’INVIDIA
L’invidia è frutto del confronto sociale,1 2 un confronto che avviene anzitutto con chi ci è prossimo. Noi non siamo davvero invidiosi dell’attore di Hollywood che si fidanza con una top model. Siamo piuttosto invidiosi del collega di lavoro che esce con l’unica donna presente in ufficio. Affinché il confronto possa porsi in modo sensato, serve una qualche somiglianza che ci colleghi con la persona invidiata.3 4 Un esempio della condizione opposta potrebbe rendere più chiara quest’idea: se io accetto che vi sia una differenza incolmabile fra il mio ruolo sociale e quello del dirigente di una grande multinazionale, il paragone fra la mia persona e quel dirigente non avrà luogo.
Il meccanismo dell’invidia si situa chiaramente nella dimensione sociale. Infatti, abbiamo tutti un’idea di come ci collochiamo nel contesto relazionale cui apparteniamo, ed implicitamente o esplicitamente riteniamo di aver diritto ad uno spazio in tale contesto. La persona di cui siamo invidiosi apparentemente non ha fatto nulla di male, non ha compiuto alcun gesto rivolto direttamente verso di noi. Eppure quella persona può avere, dal nostro personale punto di vista, una colpa: ha occupato uno spazio che noi immaginavamo nostro; nell’organizzazione sociale concreta, o anche solo nell’attenzione degli altri. Lo spazio che immaginiamo riservato a noi stessi può essere modellato sulla base di un’idea di uguaglianza fra noi e gli altri. In tal caso diviene particolarmente opportuno citare Miceli e Castelfranchi, secondo i quali l’invidia sarebbe legata ad “un’aspettativa di similarità, che è stata infine delusa.”5 La colpa della persona invidiata sarebbe allora quella di aver reso manifesta la nostra inferiorità. Ma possiamo davvero accusarla di questo?6 7
A volte diventiamo invidiosi semplicemente guardando la gioia degli altri.8 Ciò può succedere perché viviamo in una condizione di insoddisfazione. Di conseguenza, vedere che esistono persone completamente felici sembra sconfessare quelle auto-giustificazioni che avevamo sviluppato per sopportare la nostra personale sofferenza. È quasi come se i nostri valori di riferimento fossero messi in dubbio, e rischiamo così di vivere la gioia altrui come un attacco al nostro sistema di credenze. Perché, in un certo senso, la loro gioia non rispetta le nostre regole. Una simile reazione è comprensibile dal punto di vista individuale, ma non è giustificabile da un punto di vista sociale. Non possiamo pretendere che gli altri siano tristi perché noi non riusciamo a trovare la nostra gioia.9 E a dire il vero, quando invidiamo la gioia degli altri, molto spesso ci stiamo concentrando solo su un aspetto superficiale, dietro cui si celano i problemi quotidiani che sono normalmente presenti nella vita di ciascuno.
Di tutte le emozioni l’invidia è forse quella più nascosta. La nascondiamo perché l’ostilità generata dall’invidia non è socialmente giustificata. E la nascondiamo perché mette a nudo il nostro senso di inferiorità rispetto a qualcun altro.10 11 12 13 Essendo un’emozione poco presentabile, l’invidia difficilmente si comunica. Rimaniamo spesso a doverla gestire da soli, in un confronto serrato con il nostro dialogo interiore. E benché la rimuginazione non sia sempre la causa principale dei nostri problemi, di sicuro è sempre pronta a renderli peggiori, portandoci a compiere i ragionamenti sbagliati e a confermare le nostre impressioni peggiori. Mantenere una buona qualità del dialogo interiore è indispensabile al benessere psicologico della persona, e ciò vale a maggior ragione nel caso dell’invidia; dobbiamo allora essere sempre pronti a interrompere la frase sbagliata, ad interporre un silenzio, e a ripartire da un altro tema. Lasciar correre i pensieri inopportuni, al contrario, è la ricetta perfetta per crearsi problemi stratificati e difficili da risolvere.
La gestione del dialogo interiore riesce meglio quando è informata di quali siano i pensieri tipicamente legati all’invidia, e su questo tema la ricerca scientifica ha parecchi suggerimenti da offrirci. Li vedremo nella sezione seguente.
SCHEMI DI PENSIERO (E DI COMPORTAMENTO) LEGATI ALL’INVIDIA
Alcune credenze disfunzionali legate all’invidia possono presentarsi in frasi simili a “Lui è un vincitore, io sono un perdente”, oppure “Lei continuerà ad avanzare mentre io rimarrò indietro” oppure “Una persona o vince o perde” (pensiero dicotomico) oppure “L’unica cosa che conta è andare avanti”.14 Quando tali modi di pensare si presentano nel nostro flusso di coscienza, allora dobbiamo anzitutto rendercene conto, prenderne le distanze e portare argomenti che li smentiscano. In questo paragrafo non affronteremo uno per uno questi singoli pensieri, ma come si può intuire il lavoro da compiere è sganciarsi da una visione del mondo troppo focalizzata sulla competizione immediata, per assumere una visione globale, più ampia e soppesata. In fin dei conti, nessuno è condannato ad essere un perdente, e vi sono vittorie accessibili a tutti.
Nel pensare alla nostra invidia possiamo giungere a delle conclusioni erronee che ci rendono più difficile affrontare quest’emozione. Ciò accade, ad esempio, quando pensiamo che la nostra invidia sia incontrollabile e non faccia altro che crescere. Oppure quando crediamo che la nostra invidia sia incomprensibile e che le altre persone non sentano nello stesso modo. Oppure quando a partire da un singolo episodio finiamo per giudicarci in modo definitivo come una persona invidiosa.15 Queste idee possono sostenersi una con l’altra ed essere alimentate da un senso di separazione dagli altri. In opposizione ad esse però, noi sappiamo che l’invidia è un’emozione comune a tutto il genere umano, sappiamo che essa può essere oggetto di comprensione, e che vi sono diversi approcci per gestirla, come vedremo meglio in seguito.
Vi è anche qualcosa da dire proprio sul senso di separazione dagli altri che può accompagnare l’invidia. È da molto tempo che la filosofia ha descritto l’uomo come un animale sociale, ed anche la scienza contemporanea conferma questa predisposizione fondamentale di ciascun uomo ad essere aperto verso gli altri uomini.16 Questo non vuol dire che non vi siano problemi nel relazionarsi agli altri, ma significa che la via per ritornare agli altri è sempre aperta, per chi desidera percorrerla.
L’atteggiamento invidioso può fondersi con alcuni diversi tipi di schemi personali. Qualcuno di noi potrà così coltivare un’elevata autostima che si fonda sull’idea di essere superiore agli altri. Qualcun altro potrà giudicare sé stesso come una persona incompetente, incapace di fare alcunché e di prendersi cura di sé, là dove gli altri fanno tutto con successo. Qualcun altro invece vedrà sé stesso come una persona coscienziosa e responsabile, che compie il duro lavoro mentre gli altri si prendono ingiustamente le ricompense.17 I temi della superiorità, dell’incompetenza e della coscienziosità sono una parte normale delle relazioni umane. Ma forse non dovrebbero diventare la base di una concezione troppo rigida e ristretta della nostra identità.
L’invidia si può anche accompagnare a generalizzazioni eccessive del successo altrui e della nostra inadeguatezza. Esempio ne è l’idealizzazione delle persone di successo, quando vengono viste in una luce di perfezione surreale.18 Questo modo di vedere si può accompagnare al pensiero che il possesso dei vantaggi altrui migliorerebbe la propria vita. L’invidia può anche dipendere dall’abitudine di confrontarsi solo con le persone in posizioni di leadership, ed in alcuni casi l’invidia è alimentata dall’idea che gli altri ci stiano giudicando negativamente rispetto a qualcuno che sta facendo meglio di noi.19
Da un punto di vista più generale, vi sono anche dei modi di concepire il mondo e la società intorno a noi che possono essere legati all’invidia. Se ne ha un esempio quando adottiamo delle credenze del tipo a somma zero, così che nel mondo vi sarebbe soltanto una quantità limitata di beni disponibili. Di conseguenza, quel che è dato ad una persona verrebbe necessariamente negato ad un’altra. Chi assume credenze di tipo livellante, invece, preferirebbe negare a tutti il possesso di cose di valore, anziché concederle soltanto a qualcuno. L’invidia può anche legarsi a credenze per cui le persone avvantaggiate mancherebbero di doti morali e non meriterebbero la loro fortuna, e a volte sarebbero anche la causa della deprivazione altrui.20
Nel tentativo di mascherare o di trasformare l’invidia, si cercano spesso delle interpretazioni socialmente accettabili in grado di motivare il senso di ostilità in essa contenuto. Succede così che la persona invidiosa accusi la persona invidiata di comportarsi in modo arrogante, di fare sfoggio di sé o di mirare esplicitamente all’umiliazione degli altri. L’invidia può essere mascherata anche tramite il sentimento dell’indignazione morale,21 oppure richiamandosi ad un principio di uguaglianza che sarebbe stato violato.22 23 24
Un altro modo di convivere con la superiorità degli altri, smorzando il sentimento dell’invidia, si ha quando attribuiamo il vantaggio altrui al caso o alla fortuna. Possiamo così evitare di sentirci direttamente responsabili della nostra condizione di inferiorità.25
L’antropologo George Foster ha pubblicato nel 1972 un interessante articolo che esplora la dimensione dell’invidia attraverso un ampio ventaglio di differenti assetti sociali. Vediamo così come nelle società più semplici, di natura tribale, l’invidia può essere espressa attraverso un’aggressione diretta26 oppure tramite il funzionale equivalente della stregoneria, specialmente nei contesti dove la violenza è bandita.27 Nelle società contadine invece, l’invidia si esprime per mezzo di “…pettegolezzo, maldicenza e diffamazione, armi potenti per dissuadere le persone che tentano di sollevarsi al di sopra del loro livello.”28 29
Foster individua quattro tipi di comportamento impiegati in maniera sequenziale da coloro che desiderano difendersi dall’invidia degli altri.30 Il primo di essi è costituito dal nascondere,31 che a volte può prendere anche la forma del ritiro nella propria sfera privata.32 Quando il nascondimento non sembra una via praticabile, le persone possono negare che vi sia qualcosa da invidiare. “Quando la negazione è giudicata inadeguata come risposta, la scelta successiva è una condivisione simbolica dell’oggetto desiderato, sotto forma di contentino. Infine, se nessun’altra alternativa è praticabile, le persone che temono l’invidia degli altri saranno forzate ad una vera condivisione…” 33 34 35
Foster si sofferma anche sulle modalità con cui evitiamo di essere considerati invidiosi. Ostentiamo mancanza di interesse per le cose possedute dagli altri,36 ci congratuliamo con il vincitore quando perdiamo una competizione sportiva,37 e a volte ci vantiamo precisamente con l’intento di non sembrare invidiosi.38 39
COME GESTIRE L’INVIDIA
Nei paragrafi precedenti abbiamo già menzionato alcuni approcci che possono essere impiegati per tenere sotto controllo l’invidia.40 Una strategia di tipo più generale è quella di focalizzare il nostro pensiero sugli ambiti in cui sentiamo di possedere un’autostima più elevata. Ad esempio, se siamo invidiosi di un amico che sa cantare bene e fa bella figura al karaoke, potremmo ricordarci che noi siamo molto bravi in cucina, che conosciamo bene la storia dell’arte, o che siamo ottimi organizzatori di viaggi nonché piacevoli conversatori. In un senso più ampio, sviluppare la consapevolezza delle diverse opportunità che si offrono a ciascuno di noi fa parte della terapia impiegata contro l’invidia. A tal proposito, alcuni ricercatori hanno sviluppato l’idea di Life Portfolio. In poche parole, si tratta di disegnare un cerchio che rappresenta la torta dello spazio di vita, per poi chiedere alle persone di identificare in tale figura le cose importanti della loro vita.41
L’invidia ci può portare a distogliere l’attenzione dalla persona invidiata.42 Ma potremmo anche, al contrario, accettare in modo positivo la persona invidiata e prenderla a modello. Si parla in questo caso di trasformare l’invidia in ammirazione o in emulazione. Questo approccio funziona bene se le capacità o le doti della persona invidiata ci appaiono in qualche modo raggiungibili, o comunque se abbiamo qualcosa da imparare da colui che invidiamo. Per favorire la trasformazione dell’invidia nella sua “sorella nobile, l’emulazione”, Miceli e Castelfranchi ritengono che sia importante lavorare sulle convinzioni a riguardo della propria efficacia personale, al fine di accrescere la fiducia in se stessi.43 44 Alcune ricerche indicano che proprio la fiducia in sé stessi è un tratto collegato a bassi livelli d’invidia, così come anche la perseveranza e l’impegno a raggiungere gli obiettivi.45 46
Come abbiamo visto in precedenza, l’invidia si fonda sul confronto sociale. A tal proposito, si può osservare che, anziché confrontarsi con gli altri, potrebbe essere molto più proficuo confrontarsi con quello che noi stessi eravamo ieri. Perché quest’ultimo è un confronto in grado di promuovere la crescita personale.47
Un semplice provvedimento volto a contenere gli effetti negativi dell’invidia, è quello di stabilire un momento dedicato ai pensieri generati da questo sentimento. La consapevolezza di avere uno spazio dedicato a questi pensieri, per esempio venti minuti al giorno, potrà aiutarci a tenerli sotto controllo nel resto della giornata.48
L’invidia ricorrente è il segno che c’è qualche incoerenza nel nostro piano di vita, significa che coltiviamo qualche aspettativa eccessiva, difficile da soddisfare. Per risolvere tale incoerenza, vi sono due possibile strade da seguire. La prima consiste nell’accettare quello che non possiamo cambiare, la seconda consiste nell’immaginare un percorso per cambiarlo. La strategia emotiva contro l’invidia (e non solo quella) può dunque essere vista come un giusto mix di accettazione e di sforzo teso al cambiamento.
Mettersi nei panni degli altri è una pratica molto importante per la crescita personale di ciascuno. A maggior ragione essa si rivela utile nel caso dell’invidia. Perché provando a guardarci come ci vedono gli altri possiamo ritrovare una visione realistica di ciò che siamo e di ciò a cui possiamo aspirare. E se noi abbiamo un’idea di noi stessi ben ancorata al tessuto sociale cui apparteniamo, il successo degli altri non riuscirà a mettere facilmente in dubbio la nostra autostima.
L’INVIDIA, LA GELOSIA, LA RABBIA
La gelosia implica la presenza di un rivale che minaccia una relazione per noi importante. In tale situazione è molto facile attribuire al rivale delle qualità che noi non abbiamo, e diventa così possibile provare un sentimento di invidia. La gelosia, dunque, implica sempre la possibilità di una forma d’invidia (verso il rivale), mentre non è vero il contrario. Possiamo invidiare l’intelligenza di un amico o la macchina del nostro datore di lavoro, senza che nessuna relazione sia messa per tale motivo in discussione, e quindi senza che vi sia gelosia.49 50 51
Là dove il tema fondamentale della gelosia è la possibile perdita di una relazione, quello dell’invidia consiste nella mancanza e nel senso di inferiorità. In un articolo di Parrot e Smith del 1993 troviamo un’interessante comparazione proprio fra gelosia ed invidia. Fra le caratteristiche distintive dell’invidia viene menzionato ad esempio un intenso desiderio di possesso, rivolto in particolare a ciò che è posseduto dagli altri. Anche la motivazione al miglioramento è più tipica dell’invidia rispetto alla gelosia. Caratteristici della gelosia rispetto all’invidia, invece, sarebbero un senso di solitudine, incertezza, paura e sfiducia. Si tratta di componenti emotive probabilmente riconducibili al fenomeno dell’abbandono, che è intrinsecamente collegato alla gelosia e non all’invidia.52 53
Un aspetto per noi di particolare interesse è il seguente: comune ad invidia e gelosia è un elevato livello di rabbia.54 La rabbia è tipicamente una reazione rivolta contro una persona che interferisce con le nostre aspettative. Riprendendo quanto abbiamo già detto in apertura d’articolo, l’invidia può essere interpretata come una forma di rabbia. Qualcuno è intervenuto ad occupare uno spazio sociale che in qualche modo ci aspettavamo fosse destinato a noi. E questo ci fa arrabbiare. D’altra parte, lo spazio sociale attorno a noi non è soggetto ad un’esclusiva a nostro favore. La società non può accordare validità a questo tipo di sentimento, ed ecco il motivo per cui potremmo dire che l’invidia è, in un certo senso, una rabbia con la coscienza sporca: perché questa rabbia è diretta verso l’esistenza felice di altri membri del nostro gruppo di appartenenza.55 56 57
Leggi anche: La psicologia della rabbia: un’occasione per crescere.
C’è a questo punto una precisazione da compiere. Anche l’emozione della rabbia non gode di una particolare approvazione in ambito sociale. Ma ciò che vi è di sconveniente nella rabbia sembra porsi anzitutto nella modalità espressiva del sentimento. È fuori luogo manifestare la rabbia in modo violento, ma è accettabile descrivere compostamente le proprie ragioni ed il motivo del proprio sentimento ostile. E lo stesso si può dire anche della gelosia.58 Nel caso dell’invidia invece, non vi è tanto un problema relativo al modo in cui la esprimiamo: vi è innanzitutto un problema nelle ragioni che alimentano il sentimento malevolo. Sarebbe a dire nel desiderio di rimuovere il benessere altrui.
Dal punto di vista dello sviluppo, osserviamo che una forma basilare di rabbia può essere provocata già negli infanti di pochi mesi, semplicemente impedendo loro di muoversi.59 Ma affinché si verifichino le prime manifestazioni di invidia è richiesto uno sviluppo cognitivo più elaborato. È infatti necessario che vengano messe in atto almeno delle forme embrionali di confronto sociale, così come una qualche percezione elementare di inferiorità. Alcuni studiosi delle emozioni secondarie (le quali includono, oltre all’invidia, anche la vergogna, il senso di colpa, l’orgoglio, la superbia, la gelosia) ritengono che l’invidia si sviluppi nel corso del secondo anno di vita.60
Interpretare l’invidia come una forma di rabbia ci offre un altro suggerimento su come sia possibile gestirla. Quando la rabbia è libera di formulare giudizi sull’essenza delle persone (ad esempio: “sei il solito immaturo”, o “non sei capace di fare nulla”) è molto facile rovinare le relazioni. Se invece indirizziamo l’ostilità della rabbia verso comportamenti precisi (ad esempio: “non mi è piaciuto che sei arrivato in ritardo”, o “avevo bisogno che tu finissi quel lavoro in tempo”), si otterranno forme di comunicazione meno tossiche per le relazioni. In modo simile, potremmo forse impedire alla nostra invidia di colpire l’essenza delle persone invidiate. Se riusciamo a dire di preciso quale è l’aspetto di una persona che invidiamo, allora potrebbe essere più facile riconoscere che abbiamo un desiderio verso di esso; anzitutto di fronte a noi stessi, e forse perfino dicendolo agli altri. Dividere quello che desideriamo dalla persona che lo possiede può essere così un modo per diminuire l’ostilità verso quella persona.61
Concepire l’invidia come una forma di rabbia, ci porta anche ad attribuire all’invidia alcune caratteristiche che sono tipiche della rabbia. La rabbia, ad esempio, ha la proprietà di catturare l’attenzione e dirigere i pensieri rendendoli impermeabili ad informazioni non coerenti con sé stessa. La rabbia canalizza i pensieri rendendoli rigidi, fa sì che il ragionamento si polarizzi attorno al proprio oggetto, e diventa cieca al resto. Essere sempre arrabbiati è un modo perfetto per diventare sterili, e tale sterilità sembra essere una proprietà associata anche all’invidia. Quando viviamo i disegni suggeriti dall’invidia, possiamo anche riuscire a ritagliarci qualche vantaggio materiale (forse), ma il prezzo da pagare è quello di rendere un poco più stagnante la nostra vita spirituale.62 63
La rabbia è un sentimento pressoché ineliminabile dalla nostra vita. Perché protegge ciò che siamo dalle minacce esterne. Ed altrettanto possiamo dire della gelosia, che è una forma di rabbia volta a proteggere le nostre relazioni. Ma nell’invidia abbiamo soltanto da perdere. C’è sempre qualcosa di meglio da fare coi nostri pensieri, che non spenderli nell’invidia. Certo tutti abbiamo avuto modo di conoscerla,64 ma con la dovuta pratica mentale possiamo tutti farne a meno.
Da quanto abbiamo scritto ed in base all’esperienza personale di ciascuno, dovrebbe essere chiaro perché è meglio evitare di cadere nell’invidia. A tal proposito, ricordiamo che la ricerca scientifica sostiene in modo chiaro l’idea che l’invidia sia un fenomeno generalmente disfunzionale. In particolare, è stata riscontrata una correlazione fra l’invidia e i sentimenti di inferiorità, la disposizione alla rabbia, l’irritabilità, la depressione, l’ansia, l’ansia fobica, la compulsività ossessiva.65 66 Oltre a ciò è stato anche riscontrato che spesso le persone invidiose vengono evitate.67 “La tendenza a sentirsi grati” invece, “in contrasto alla predisposizione all’invidia, sembra avere ampie implicazioni positive per il benessere soggettivo (…) suggerendo che non è una questione trascurabile se l’invidia lavora contro tale tendenza.”68
IN CONCLUSIONE: ALLARGARE LO SGUARDO
Quest’articolo sull’invidia si inserisce in un progetto più ampio di studio delle emozioni. Il nostro orizzonte teorico di riferimento è quello delle neuroscienze affettive fondate da Jaak Panksepp. In tale prospettiva vi sono sette emozioni primarie: paura, rabbia, eccitazione sessuale, cura, gioco, pena della solitudine e ricerca/voglia di fare/interesse. Avere presente questo nuovo ventaglio affettivo ci apre ampie possibilità di viaggiare attraverso le situazioni di ogni giorno. Prendiamo ad esempio in considerazione la gioia. Questa, dal punto di vista di Panksepp, è un’emozione complessa, la quale si alimenta anche di quel sistema emotivo fondamentale chiamato gioco. Ma esperire il gioco è mentalmente possibile soltanto quando non vi sono in corso eventi stressanti di nessun tipo.69 Ecco allora che l’ostilità portata dall’invidia ci toglie accesso all’emozione del gioco e ci da la possibilità di esperire soltanto, nel migliore dei casi, una forma monca di gioia.
È difficile trovarsi nel desiderio di qualcosa di irraggiungibile. Ma quel qualcosa di irraggiungibile, in fondo, ce lo siamo creato noi stessi. Non è un dato obbligatorio del nostro sentire. Esistono molte vie in cui incanalare la nostra vita mentale. In quanto esseri umani abbiamo dentro di noi delle sorgenti di motivazione che dirigono il nostro agire e la nostra attenzione. Chi impara a navigare nella complessità di queste sorgenti ha la chiave per accedere a una soddisfazione che è il contrario di irraggiungibile, che è sempre intimamente disponibile.
In un certo senso siamo tutti chiamati a diventare esperti e guardiani del nostro desiderio. Perché fino a quando il desiderio si aggira nei nostri dintorni, esso ci rende attivi, curiosi, vogliosi di esplorare il mondo. Ma quando si lascia ipnotizzare da luoghi irraggiungibili, è allora che vengono poste le premesse per la nostra infelicità. L’invidia di oggi è il segno che il nostro desiderio di ieri si era dimenticato di fare i conti con la realtà. Dove siamo colti dall’invidia, significa che il giusto equilibrio era andato perso.
In fin dei conti abbiamo tutti un intimo bisogno di esistere, di vivere il nostro desiderio, di elaborare progetti e lavorare per realizzarli. In una parola, di affermare il nostro essere. E l’emozione fondamentale della rabbia può essere vista come un meccanismo fondamentale di autoaffermazione. In modo simile, dietro ogni invidia c’è un dignitosissimo movimento interiore teso a vivere la propria vita, a mettere in atto il proprio essere. Solo che questo movimento ha proceduto senza coordinarsi con la realtà sociale in cui siamo immersi. Per qualche motivo, abbiamo alimentato una certa immagine molto elevata di noi stessi, che si scontra con l’esistenza intorno a noi di qualcuno che ci è superiore.
Detto questo, c’è una riflessione finale di cui non vorremmo dimenticarci. L’invidia è uno dei sette vizi capitali. È un sentimento sgradevole, e vorremmo capire come funziona per tenerla lontana. Ma in questo vi è un rischio. Perché leggendo e studiando tutti i risvolti dell’invidia, in un certo senso finiamo per inquinare l’atmosfera spirituale in cui viviamo. Detto in altre parole, è giusto frequentare il negativo, ma poi sarebbe meglio sciacquare il pensiero, per così dire, nell’acqua pulita di una visione più ampia, ricca, e tesa al positivo. Nei mondi della filosofia, della letteratura, dell’arte e della spiritualità si possono compiere grandi viaggi e scoprire paesaggi meravigliosi. La visione offerta dalle neuroscienze affettive può diventare lo sfondo di questi viaggi, nel suo descrivere l’architettura fondamentale di quell’affettività che interviene costantemente a modellare la nostra esperienza nel mondo.
BIBLIOGRAFIA
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1“Quindi, presi insieme, questi studi forniscono un’evidenza convergente per la nozione che i confronti sociali spontanei risultano in un’insoddisfazione invidiosa e in una tendenza di approccio impulsivo verso il bene superiore di un’altra persona che incide sul comportamento se la capacità di controllare l’invidia è ridotta (taxed, nel senso di messa a dura prova da un’altra attività NdT).” Crusius e Mussweiler 2012, p. 150.
2“I confronti con le altre persone sono una componente ubiquitaria ed altamente efficiente della cognizione umana (…) Per esempio, quando si giudica un altro individuo, le persone confrontano spontaneamente questo individuo a se stesse…” Crusius e Mussweiler 2012, p. 143.
3“La condivisione con la persona avvantaggiata di somiglianze collegate al confronto è importante affinché l’invidia si formi, ma la ricerca mostra anche che il dominio del confronto in cui la persona invidiata gode di un vantaggio dovrebbe essere rilevante per il sé…” Smith e Kim 2007, p. 50.
4Considera anche: “…la ricerca indica che l’invidia è esperita più di frequente come reazione a persone dello stesso sesso anziché del sesso opposto…” Hill et al. 2011, p. 655.
5“Noi supponiamo che il confronto invidioso implica un processo di questo tipo: sarebbe a dire, un’aspettativa di similarità, che è stata infine delusa.” Miceli e Castelfranchi 2007, p. 454.
6Confronta: “Anche se l’invidia avviene quando il vantaggio è equo secondo gli standard sociali prestabiliti, dal punto di vista soggettivo privato della persona invidiosa, il vantaggio è facilmente percepito come ingiusto, dando così all’invidia un carattere di risentimento.” Smith e Kim 2007, p. 61.
7Attributi come l’intelligenza, l’attrattività fisica e l’abilità musicale possono sembrare conferiti in modo arbitrario, e le persone invidiose si possono sentire ingiustamente svantaggiate da come è avvenuta la distribuzione di tali attributi. Comunque sia, le norme sociali non consentono di parlare di un’ingiustizia per via di tali handicap…” Smith e Kim 2007, p.49.
8“Nella parole di James Thomson (1780/1842), «la misera invidia si inaridisce guardando la gioia di un altro, ed odia l’eccellenza che non può raggiungere» (Season Spring, p. 21); sarebbe a dire, ogni tipo di eccellenza: bellezza, ricchezza, valori morali, e via dicendo.” Miceli e Castelfranchi 2007, p. 449.
Considera anche: “Ad un livello più inferenziale, suggeriamo che quanto viene invidiato sono anche quei sentimenti positivi che la persona invidiosa immagina provenire dal possesso della cosa o del tratto.” Frankel e Sherick 1977, p. 258.
9Qui potremmo porci una domanda: noi non possiamo chiedere agli altri di rinunciare alla loro gioia per la nostra tristezza, ma possiamo invece chiedere alla loro gioia, pur rimanendo gioia, di rimanere in ascolto della nostra tristezza? E soprattutto: quando succede a noi di essere nella gioia, ci è possibile rimanere in ascolto della miseria altrui, pur senza perdere la nostra gioia?
10“Poiché l’invidia contiene sentimenti di ostilità e di inferiorità che minacciano il sé, ed è socialmente ripugnante, si ritiene che le persone tendano a non riconoscere di provarla, sia pubblicamente sia in privato.” Smith e Kim 2007, p. 61.
11“L’invidia propriamente detta, comunque, così come sottolineano molte opinioni erudite (…) e come la ricerca supporta (…), è spesso tenuta segreta. Alcuni affermano che essa sia precisamente l’ultima emozione che le persone potrebbero accettare di ammettere…” Smith e Kim 2007, p. 47.
12“Molti studiosi affermano che le persone non soltanto evitano di ammettere il sentimento agli altri ma anche che detestano riconoscere il sentimento in privato…” Smith e Kim 2007, p. 54.
13“In molte culture, l’invidia è considerata un peccato e quindi vergognosa…” Smith e Kim 2007, p. 48-49.
14Leahy 2021, p. 420.
15Leahy 2021, p. 423.
16Tomasello 2014.
17Leahy 2021, p. 421.
18“Così come la persona invidiosa potrebbe screditare il proprio successo o le proprie esperienze di vita, l’invidia è spesso associata con l’idealizzazione delle vite presunte di persone che hanno ottenuto una qualche forma di prestigio.” Leahy 2021, p. 421.
19Leahy 2021, p. 422-423.
20Smith e Kim 2007, p. 55.
21“Anche l’indignazione morale, così come il fare complimenti, potrebbe in certe occasioni rappresentare una via socialmente approvata di esprimere l’invidia, anche se l’oggetto dell’invidia apparirebbe più diffuso e meno specifico rispetto al complimento. (…) L’evidenza a supporto dell’ipotesi che l’indignazione morale sia un’invidia mascherata è più difficile da trovare che l’evidenza per l’ipotesi dei complimenti, almeno nella letteratura antropologica, ma sembra chiaro che in alcune situazioni tale argomento sia valido.” Foster 1972, p. 175.
22“Inoltre, può essere che le persone spesso gestiscano le loro paure a riguardo delle implicazioni della loro invidia trasmutandola in altre emozioni più accettabili al sé e agli altri.” Smith e Kim 2007, p. 61.
23“In generale, ci si potrebbe aspettare che le risposte difensive siano la regola, e che conducano a una trasmutazione pressoché immediata del sentimento nel momento stesso in cui sorge. In questa “zona di trasmutazione”, è probabile che le persone che provano invidia tutelino e alimentino l’iniziale senso soggettivo di ingiustizia e trovino modi di percepire gli invidiati come non meritevoli dei suoi vantaggi per via di mancanze morali.” Smith e Kim 2007, p. 56.
24Sullo stesso tema vedi anche Miceli e Castelfranchi 2007 a pagina 464.
25Confronta: “L’inferiorità percepita come dovuta ad agenti incontrollabili o a condizioni al di fuori dell’individuo, per quanto non piacevole, può almeno essere sopportabile. L’inferiorità percepita come dovuta a inadeguatezza personale, mancanza di competenza o scarsa capacità di giudizio è molto più difficile da accettare, perché è molto dannosa per l’immagine del sé.” Di conseguenza “…è chiaro che il concetto di “fato”, o di “fortuna” – sia in qualche forma generalizzata, sia come la volontà di una divinità – è la più diffusa forma di razionalizzazione che rende sopportabile una posizione di inferiorità.” Foster 1972, p.184.
26Nota per Manuel: X1
27Foster 1972, p. 172.
28Foster 1972, p. 172.
29Nelle società più complesse l’invidia può essere espressa anche tramite il complimento. Foster stesso osserva che questa interpretazione può inizialmente lasciare scettici, ma diventa più comprensibile se ci ricordiamo che in molte società il complimento e la lode sono scoraggiati. “In Tzintzuntzan, Messico, il villaggio contadino che io conosco meglio, i complimenti sono largamente assenti; essi mettono le persone a disagio. Questo è generalmente vero delle società contadine.” Foster 1972, p. 173.
Ciò naturalmente non significa che ogni forma di complimento porti con sé un sentimento di invidia. Ed a volte un complimento può essere il modo giusto per spostare la propria attenzione dalla persona invidiata a ciò che precisamente desideriamo. Smorzando così l’ostilità diretta all’invidiato.
L’osservazione di Foster 1972 per cui fare complimenti può essere un comportamento collegato all’invidia è ripresa da Smith e Kim 2007, alle pagine 54-55.
30Nota per Manuel: X1.
31“Il semplice occultamento è il modo più efficace di evitare la possibile invidia del cibo, e di certo è il più economico.” Foster 1972, p. 180.
32“Il nascondere può anche prendere forme più astratte, in particolare nei concetti di proprietà privata e nel diritto alla privacy personale.” Eppure, “…l’esercizio del diritto alla privacy in quelle società dove è permesso, più spesso che no sembra avere esattamente l’effetto opposto, di elevare il sospetto, di stimolare l’invidia.” Foster 1972, p. 176.
Quest’osservazione ovviamente va posta nel contesto di società diverse dalla nostra, nella quale vivere in una situazione di privacy è una condizione molto più diffusa.
33Foster 1972, p. 175.
34In inglese il termine usato per contentino è “sop”. Foster lo descrive come “…un oggetto simbolico dato per alleviare il disappunto di qualcuno che ha perso in una competizione, o che non ha avuto un successo comparabile a quello degli altri.” Può dunque “…essere pensato come una compensazione del perdente, una condivisione simbolica di buona fortuna da parte del vincitore con qualcuno che in effetti non condivide la buona fortuna.” Foster 1972, p. 177.
Foster osserva anche un parallelo fra il termine inglese “sop” e il termine spagnolo “remojo”.
35“La vera condivisione, con la quale intendo una significativa condivisione che va ben oltre il livello simbolico del contentino, prende molte forme – dall’impegno sociale fino alla distribuzione informale delle cose belle della vita o alla tassazione progressiva sui redditi…” Foster 1972, p. 179.
36“Anche non mostrare interesse per i possedimenti degli altri è un meccanismo per ridurre l’invidia, senza dubbio molto più ampiamente usato di quanto non sia riportato in letteratura.” Foster 1972, p. 184.
37Foster 1972, p. 184.
38“In modo abbastanza curioso, la vanteria – solitamente vista come un comportamento di ostentazione calcolato per indurre invidia negli altri – può anche essere impiegato come un dispositivo per assicurare ad un’altra persona che essa non è invidiata per i suoi possedimenti.” Foster 1972, p. 184.
39“Al contrario, quando è presente la vanteria, l’attribuzione di invidia non è necessaria; l’ostilità implicata dal commento dispregiativo sembra appropriata, legittima, e priva di invidia.” Smith e Kim 2007, p. 52.
40In aggiunta alle strategie utili a gestire l’invidia menzionate in questa sezione, merita ricordare che le situazioni in cui siamo sotto stress sono quelle in cui è più difficile mantenere il controllo su tale emozione. Cf: Crusius e Mussweiler 2012.
41“In secondo luogo, il terapista ha introdotto l’idea di un Life Portfolio. Con questa tecnica si rappresenta una “Torta dello spazio vitale” attraverso un circolo suddiviso in 10 parti. Al cliente si chiede di identificare quali altre cose nella loro vita hanno significato e di dare un nome a tali parti del loro Life Portfolio. Quindi, gli si chiede che percentuale del loro focus desiderano assegnare a ciascuna di queste parti. Questa tecnica aiuta a separarsi da un singolo focus su uno stato arbitrario in favore di una consapevolezza di altre valide possibilità di azione. In alcuni casi, ciò aiuta a reindirizzare gli individui verso aree della loro vita che erano state ignorate.” Leahy 2021, p. 423.
42Confronta: “L’invidia depressiva può essere osservata anche nel ritiro e nel disimpegno dalla persona invidiata, così da ridurre le occasioni di ricordarsi della propria sconfitta ed inferiorità…” Leahy 2021, p. 419.
43“Al fine di indurre una motivazione ad emulare in luogo di una comparazione dolorosa con chi è migliore, è necessario favorire le credenze di efficacia (…). Anche quando si parte da un sentimento di invidia, una persona potrebbe cambiarlo nella sua sorella nobile, l’emulazione, lavorando sulle convinzioni a riguardo della propria efficacia.” Miceli e Castelfranchi 2007, p. 474.
44Per il confronto fra invidia ed emulazione vedi Miceli e Castelfranchi 2007 alle pagine 473-474.
45Smith e Kim 2007, p.60.
46Un altro modo che abbiamo per affrontare l’invidia, è trovarci un modello da seguire che sia superiore alla persona invidiata. Potrebbe così aver luogo un ragionamento simile al seguente: “Tu sei meglio di me, ma il mio maestro è meglio di te, quindi io non perdo tempo a guardare te. Guardo il modello che mi sono scelto.”
47https://www.youtube.com/watch?v=uOOqkL3ndGQ “Jordan Peterson on Envy and Resentment”
48“La ruminazione è stata trattata con tecniche meta-cognitive (dedicando del tempo apposito per la ruminazione…” Leahy 2021, p. 424-425.
49“Un rivale può essere minaccioso precisamente perché lui/lei ha qualità invidiabili, il che potrebbe poi anche accrescere la gelosia stessa…” Smith e Kim 2007, p. 48.
50“Una conclusione suggerita da questi esperimenti è che le situazioni che creano gelosia intrinsecamente creano anche, in una certa misura, invidia. Tale affermazione è ampiamente riconosciuta in letteratura…” Parrott e Smith 1993, p. 917.
51“…la probabilità condizionale dell’invidia data la gelosia è piuttosto alta, là dove la probabilità condizionale della gelosia data l’invidia è piuttosto bassa. Forse a causa di queste contingenze, il termine gelosia è venuto ad indicare sia la gelosia sia l’invidia, mentre il termine invidia è rimasto non ambiguo…” Questo passo è anzitutto riferito ai termini jealousy ed envy in lingua inglese.
Parrott e Smith 1993, p. 918.
52“L’invidia coinvolge due individui (sé stessi e una persona con cui ci confrontiamo con esito sfavorevole), là dove la gelosia ne richiede tre (sé stessi, un partner con cui si ha una relazione, ed un rivale che ci fa temere per tale relazione). L’invidia implica un confronto sfavorevole con gli altri su caratteristiche che sono importanti per noi stessi, là dove la gelosia implica la paura del rifiuto da parte di qualcun altro, in favore di qualcuno che potrebbe anche esserci inferiore da tutti gli altri punti di vista…” Parrott e Smith 1993, p. 907.
53Considera anche: “Ekman (1992, 2003) descrive l’invidia e la gelosia come emozioni universali ma suggerisce che non ci sono espressioni facciali universali che riflettano tali emozioni.” Leahy 2021, p. 418.
54Nota per Manuel. Con l’etichetta X1 trovi almeno due punti nel testo che potrebbero essere menzionati per sostenere il legame nativo fra invidia e rabbia. In realtà ve ne sarebbero molti altri. Ma bisogna capire se sia d’aiuto elencarli distintamente.
55“A nostro avviso, è cruciale riconoscere che l’invidia, per adeguata definizione e per tradizione accademica, contiene dei sentimenti di ostilità che possono condurre ad azioni ostili.” Smith 2007, p. 49.
“L’ostilità invidiosa può essere compresa come una risposta immediata ed auto-assertiva all’inferiorità, un risultato naturale della frustrazione (specialmente della frustrazione percepita come ingiusta, per quanto soggettivamente derivata), ed un probabile prodotto di come le persone fanno fronte alla vergogna associata all’inferiorità che causa invidia e con la vergogna addizionale dovuta alla loro vergogna.” Smith 2007, p. 54.
Fra i componenti necessari dell’invidia, Miceli e Castelfranchi 2007 (p. 470) individuano “…una volontà malevola verso la parte avvantaggiata, il che implica (…) un fine ultimo o un desiderio che la parte avvantaggiata non raggiunga i suoi obiettivi (o alcuni di essi).”
Come si vede dalle citazioni appena riportate, il contenuto di ostilità nell’invidia è un tema ben presente nella letteratura scientifica, ma ipotizzare che l’invidia sia una sorta di sottospecie della rabbia, come stiamo facendo, è una nostra proposta. Si tratta di un’ipotesi di lavoro nata dallo studio di molti articoli sulla rabbia e sull’invidia. A nostro avviso, questo approccio potrebbe aiutare a collocare in modo più preciso l’invidia nel panorama complessivo delle emozioni.
Questa nostra posizione ci sembra vicina a quella di Miceli e Castelfranchi 2007, in particolare per come è articolata alle pagine 458-459. Qui gli autori discutono di come la rabbia sia collegata alla responsabilità di una terza persona, e nel farlo tracciano uno stretto parallelo fra la dinamica della rabbia e quella dell’invidia. Anche nel seguente passo sembra delinearsi l’idea di un’invidia intesa come forma di rabbia “inappropriata”.
“…là dove il risentimento globale è comunemente associato con l’invidia, è ancora da provarsi che esso sia all’origine della volontà malevola contro la persona avvantaggiata. Come già suggerito, una semplice rabbia (per quanto soggettivamente “colpevole” ed inappropriata) contro la causa della propria inferiorità potrebbe essere una motivazione sufficiente.” Miceli e Castelfranchi 2007, p. 467. Il corsivo è nostro.
56Sempre Miceli e Castelfranchi osservano: “Inoltre, l’ostilità invidiosa può essere un sentimento “passivo”, nel senso che non implica necessariamente un grande potere motivazionale o prontezza all’azione, i quali indurrebbero un’aperta aggressione.” Miceli e Castelfranchi 2007, p. 457.
Se dunque ipotizziamo di considerare l’invidia come una forma di rabbia, dovremmo tenere presente che la mancanza di consenso sociale spinge questo sentimento a manifestazioni di tipo più nascosto e quindi di tipo più passivo. L’invidia dunque sembrerebbe partecipare maggiormente della rabbia passiva che non della rabbia attiva.
57Frankel e Sherick 1977 riportano molte osservazioni sullo sviluppo dell’invidia nei bambini. Non è sempre semplice interpretare le loro osservazioni in modo univoco, ma nel complesso ci sembra che esse testimonino ulteriormente, se necessario, dello stretto legame fra rabbia ed invidia. Riportiamo qui di seguito, a titolo di esempio, due passi estratti da tali osservazioni. Il primo è relativo ai bambini fra i 12 e i 18 mesi: “In questo gruppo di età, abbiamo osservato i bambini mostrare un particolare interesse nelle cose possedute dagli altri, e prenderle come se ne avessero diritto. Il possessore non è riconosciuto come un essere umano separato; soltanto i suoi possessi, come per esempio un giocattolo, sono di interesse per il bambino. Questo fenomeno, a nostro avviso, è meno sofisticato dell’invidia.” p. 262.
Il secondo passo è relativo ai bambini fra i 18 e i 24 mesi: “Se un toddler junior nota un altro bambino che ha o acquisisce qualcosa di valore, egli diverrà interessato e quindi arrabbiato, esperendo un sentimento che ad un osservatore sembra essere invidia, e tenterà di ottenere quella cosa con la forza.” p. 265.
58“L’ostilità invidiosa è raramente sanzionata socialmente, là dove all’ostilità gelosa è stata solitamente accordata una maggiore legittimità (…). È meno verosimile, dunque, che l’ostilità invidiosa implichi una rabbia giustificata, ed è più probabile che sia accompagnata da un senso di disapprovazione da parte degli altri.” Parrott e Smith 1993, p. 907.
“Nel secondo esperimento, delle misure migliorate di ostilità suggerivano che la gelosia tende a produrre una rabbia giustificata, mentre l’invidia tende a produrre una volontà malevola non approvabile.” Parrott e Smith 1993, p. 917.
“Sembra dunque plausibile che in entrambi gli esperimenti la colpa discriminasse l’invidia dalla gelosia più tramite la sua assenza nella gelosia che non tramite la sua associazione con l’invidia. Nel complesso, si potrebbe dire che l’invidia tendeva a suscitare preoccupazione a riguardo della pubblica disapprovazione, mentre la gelosia tendeva a suscitare un senso di presunzione.” Parrott e Smith 1993, p. 918.
59Gillibrand et al. 2019, p. 278.
60“In base alla teoria qui presentata, le emozioni autocoscienti richiedono due importanti caratteristiche che si sviluppano nei primi tre anni di vita. Queste sono la consapevolezza, definita qui come l’auto-consapevolezza così come è misurata dall’auto-riconoscimento allo specchio”, l’inizio dell’uso di pronomi personali come “me” o “mio”, e il gioco di finzione complesso. Questi emergono tra i 15 ed i 24 mesi di età e danno origine ad emozioni autocoscienti (self-conscious-exposed) quali imbarazzo, invidia ed empatia, così come a comportamenti prosociali quali la condivisione e il gioco reciproco.” Lewis 2019, p. 311.
Nota per Manuel: l’articolo appena citato è importante anche per il modo in cui è concepito il self in relazione alle emozioni.
Per un riferimento in ambito psicoanalitico, considera questo: “Spitz (1965), per esempio, sostiene che i primi tre o quattro mesi siano caratterizzati da stati di piacere o dispiacere confusi e indifferenziati; che la paura e la frustrazione appaiano tra i quattro ed i sei mesi, l’ansia propriamente detta fra i sei e gli otto mesi; ed amore, possessività, invidia e gelosia verso la fine del primo anno di vita.” Draghi Lorenz et al. 2001, p. 285.
Sullo sviluppo delle emozioni secondarie vedi anche Gillibrand et al. 2019, p. 279-280.
61In un certo senso è come se concentrandosi sull’oggetto desiderato anziché sulla persona invidiata potessimo avvicinarci a quel sentimento che alcuni ricercatori chiamano invidia benevola, ma che in realtà non è propriamente una forma di invidia. Si vedano in proposito le due seguenti citazioni:
“L’invidia maligna è caratterizzata da sentimenti di ostilità verso la persona invidiata e da tendenze d’azione tese a danneggiare la sua posizione. Al contrario, l’invidia benigna è caratterizzata da una considerazione più positiva dell’altra persona (…) e dalla tendenza d’azione a migliorare la propria posizione muovendosi verso l’alto…” Crusius e Lange 2014, p. 4-5 del manoscritto accettato.
“Eppure, l’accettazione di una forma benevola di invidia potrebbe oscurare la natura dell’invidia. L’assenza di un sentimento di ostilità nell’invidia benevola potrebbe rendere questa emozione fondamentalmente differente dall’invidia propriamente detta sia in termini di esperienza vissuta sia dal punto di vista delle probabili conseguenze.” Smith 2007, p. 47.
62Confronta: “Il sociologo Schoeck (…) presentò un insieme di affermazioni particolarmente ampio riguardanti il ruolo di vasta portata dell’invidia a tutti i livelli della società. Sostenne che l’invidia è la spiegazione fondamentale per le norme pan-culturali che servono a mantenere la stabilità sociale, benché questo processo spesso conduca allo sfortunato soffocamento della creatività e a vari vizi di natura personale.” Smith e Kim 2007, p. 46.
63“In tal modo, l’invidia si oppone al cambiamento, rafforza lo status quo, ed è nemica dell’apprendimento.” Farber 1966/2000 citato da Miceli e Castelfranchi a pagina 474.
64Per la grande diffusione dell’invidia nella nostra vita sociale, si vedano Smith e Kim 2007 a pagina 60.
65“La scala dell’invidiosità di Gold (1966) (…) è risultata correlata positivamente con delle misure dei sentimenti di inferiorità, del tratto della rabbia, dell’irritabilità, così come con misure della depressione, dell’ansietà, della fobia ansiosa, della somatizzazione e della compulsività ossessiva, suggerendo così che l’invidiosità sia caratterizzata da un generale disadattamento.” Smith e Kim 2007, p. 58.
66Lavorare per superare l’invidia non è semplicemente una questione di crescita personale e di benessere individuale. L’invidia è un fenomeno che può creare difficoltà anche all’interno delle organizzazioni.
“La ricerca precedente indica che l’invidia è correlata con comportamenti tesi a migliorare la propria posizione nella propria organizzazione (…) e conduce ad una performance peggiore nei setting sociali…” Hill et al. 2011, p. 662.
“Duffy e Shaw (2000), impiegando piccoli gruppi di lavoro, hanno mostrato longitudinalmente che le autovalutazioni relative alle preoccupazioni di natura invidiosa erano negativamente correlate alla performance di gruppo…” Smith e Kim 2007, p. 52.
67“Così come le persone evitano gli individui depressi (…) anche gli individui invidiosi, la cui ostilità di fondo potrebbe trapelare attraverso i loro tentativi di mascherare le proprie emozioni, potrebbero essere similmente evitati” Smith e Kim 2007, p. 59.
68Smith e Kim 2007, p. 58.
69https://it.manuelcappello.com/2020/04/gioco-e-realta-di-donald-winnicott-una-sintesi-teorica/#contesto-protetto