DA “ON INTELLIGENCE” DI HAWKINS: LA PREVISIONE CONTINUA

Riporto qui uno dei concetti che mi hanno ispirato leggendo On Intelligence di Jeff Hawkins. Come suggerisce il titolo, è un libro che si occupa della struttura dell’intelligenza.

L’attività fondamentale del cervello è completare degli schemi incompiuti. Lo facciamo ad esempio con le immagini, con le melodie, con le sequenze di comportamento e con le frasi. A partire da alcuni dettagli ricostruiamo intuitivamente l’intera figura, così come a partire dalle note iniziali di una canzone che conosciamo ci immaginiamo la parte successiva.

Di più: viviamo costantemente in una sorta di previsione del futuro basata sulla riproposizione di strutture distillate dall’esperienza passata. Tale attività di previsione si mantiene sullo sfondo come una sorta di ronzio automatico, fino a che non accade qualcosa di nuovo; ad esempio fino a che non notiamo che sul tavolo della stanza in cui ci troviamo c’è una tazzina di caffè blu. Allora la novità “rompe” la previsione e ci costringe a ritornare in pieno contatto con il presente per esaminarlo.

Non posso fare a meno di ricordare Nietzsche quando diceva che siamo molto più artisti di quanto crediamo.

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OBIEZIONE: “Potresti anche dire che l’intelligenza non fa altro che riproporre il passato: quindi siamo orientati dal passato e siamo meno artisti di quanto crediamo.”(1)

RISPOSTA: LA CREATIVITÀ STA NELL’INPUT?

Tutto sta a capire che aspetto del pensiero vuoi mettere in maggior luce. Se vuoi far notare come la percezione sia più un creare all’interno del pensiero che non un copiare dal mondo esterno, allora puoi dire che siamo artisti. Se vuoi evidenziare come la fonte della creatività sia il passato e che non ci troviamo mai di fronte ad una “vera creazione dal nulla”, allora sì, forse possiamo considerarci meno artisti. Ma ti faccio notare che il passato per essere impiegato e riproposto deve subire un’elaborazione mica da ridere, anzi, forse la creatività può essere localizzata proprio nei modi in cui immagazziniamo l’esperienza passata negli scaffali della mente.

 

OBIEZIONE: “L’intelligenza è passatista: la parte strutturalmente orientata al futuro è la volontà.”(1)

RISPOSTA: FRA FUTURO E PASSATO, LA VOLONTÀ COME INTELLIGENZA MODIFICATA?

Per quanto riguarda la volontà, io ho la tendenza a non vederla nettamente scissa dall’intelligenza. E mi viene da pensare che, se l’attività intelligente è una riproposizione di schemi distillati dal passato, la volontà possa essere intesa come un’intelligenza modificata. Nel senso che variando alcuni parametri nel processo ri-propositivo del passato si finisce per creare una rappresentazione che si discosta in modo più netto dalla realtà presente. Si producono così effetti qualitativamente differenti rispetto ad una rappresentazione sostanzialmente corretta che si discosta dal reale soltanto in una zona circoscritta (quella dove si è verificata la novità).

(1) Adattata dal newsgroup it.cultura.filosofia.moderato

 

 

 

IL POETA RITROVATO E LE PAROLE VOLANTI

RACCONTO BREVE

Il poeta con la cinepresa racconta la storia in bianco e nero di un pugile contro. La narrazione rimane scritta nel cuore del ragazzo che la segue dal divano, incantato. Le immagini del combattimento gli tornano alla mente aspettando l’autobus nel freddo, durante gli intervalli passati in disparte, e nei piccoli rumori della notte, con la fronte appoggiata alla finestra senza sonno. Nei sogni, lui supera gli ostacoli indossando i guantoni e guardando in faccia i nemici.

Ma il combattente a viso aperto è un’idea che non funziona nel mondo vero. Verrà sconfitta dalle prese in giro dei compagni, dagli inganni delle amanti e dai sotterfugi dei colleghi. Le parole volanti del poeta sono destinate a naufragare sui dettagli retrostanti sui quali si regge il mondo; a causa di questo insuccesso l’uomo smetterà di credere nel poeta. Divenuto un po’ più triste, l’uomo resterà invischiato nella gara sociale della furbizia, che mette in palio la fetta più grossa della torta benestante. Il sorriso delle sue labbra non sarà più accompagnato da quello degli occhi, e lui smetterà di guardarsi allo specchio. Addolcita dal piacere dei sensi, la nebbia della falsità lo accompagnerà fedele fin dentro la bara, economica, scelta con cura dai parenti.

Oppure, avrà un colpo di fortuna, e da un ricordo del passato nascerà un’ispirazione. Se lo sporco è annidato nei risvolti complessi del mondo, non basta una poesia per fare pulizia. Per cui no, non tornerà a confondere il mondo con le storie degli eroi, come faceva Don Chisciotte. Non si possono fermare i mulini a vento. Bisognerà prenderne atto e tornare sì a credere, ma in un modo diverso. Toglierà dunque la passione dai tumulti esterni, dei quali non si può aver ragione, e metterà un recinto e una password a protezione di un nuovo angolo del cuore, in cui le parole volanti del poeta torneranno di casa. Non più bandiera da pirati sui mari del mondo, ma preghiera di un cielo, silenziosa in un tempio.

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IL RITRATTO DELL’ISPIRAZIONE E LA FILOSOFIA IN TUTA BLU

Sto leggendo filosofia: “Che cos’è metafisica” di Heidegger[1]. Ho segnato le ispirazioni a margine dello stampato per poi sistemarle in frasi e paragrafi dotati di un capo e di una coda. Ma ho sbagliato: ho salvato solo le sei, sette, o tredici parole che bastano appena a identificare l’idea intravista. Avrei dovuto scendere nelle gallerie da dove il pensiero creativo era venuto, prima che queste tornassero a chiudersi.
Gli appunti delle idee nuove vanno presi in forma compiuta quando si è prossimi alla sorgente dell’ispirazione ancora calda e se ne possono rintracciare le storie retrostanti. L’ispirazione è effimera, e il suo ritratto non va rimandato.
Compreso il da farsi per salvare l’intuizione, eccomi a percorrere al contrario le radici del pensiero, nei corridoi di questo labirinto mobile e misterioso che si concede per poco alla mia vista. Camminando in queste grotte mi accorgo che le parole non sono più dentro di me e scelte da me, ma mi vengono incontro portate da un vecchio carrello del carbone su di un binario in una galleria, come in un film di Indiana Jones o in un libro di Jules Verne. Ma dove sono finito? Forse queste stanze sotterranee sono i reparti dove incontrerò la filosofia in tuta blu, indaffarata nel tentativo di mettere in moto la metafisica?[2]
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  1. [1]Heidegger, “Segnavia”, Biblioteca Filosofica, Adelphi 1987, a cura di Franco Volpi, Friedrich-Wilhelm von Herrmann . Pagg. 59-77
  2. [2]Cfr. Heidegger: “Ciò che noi chiamiamo filosofia non è che il mettere in moto la metafisica, attraverso la quale la filosofia giunge a sé stessa e ai suoi compiti espliciti.” Nell’opera in oggetto a pagina 77.