Troppi Fiori

Ispirazioni, metafore e riflessioni sull’amore; e sugli effetti collaterali.

“Finalmente ho capito a cosa serve il vento.
Ad asciugare le lacrime senza rovinarle con le dita.”

Troppi Fiori

Troppi Fiori

In ufficio c’è un Van Gogh coi girasole.
Nel corridoio una ragazza chiede ai petali una risposta.
Il capotreno ha una corona di rose in testa,
il vagabondo ha una viola nel taschino,
e nei tuoi occhi è un tulipano nero.
Ma troppi fiori non va bene.
Troppi fiori non è la verità.

 

1 – Da quando ti ho incontrato, sul tram mi siedo al primo posto, e non mi volto.

13 – Con te ho trovato quello che non riesco a dire.

25 – Dopo te il mio cuore ha cambiato forma.

38 – E fu così che accese nelle sue stanze la radio e la lasciò accesa per sempre. Per tenere lontano il silenzio.

49 – Gli equilibristi sul filo non possono sbagliare un passo. I perseguitati dall’amore, ogni giorno, ogni secondo, non possono sbagliare nemmeno un pensiero.

68 – Quando un uomo è abituato ad uscire dal nero te ne accorgi. Non nella notte in cui si rotola fra il letto e il posacenere, per venire a capo di una donna. Ma quando nel mattino arriva la prima luce. La differenza sta lì: non bisogna fare una risata rumorosa, ma un sorriso contenuto, mettendosi a lavorare in silenzio.

72 – IL FANTASMA DELL’OPERA. All’opera ci sono tanti personaggi stasera. Alcuni cantanti sono grassi, altre sono belle donne. Alcuni hanno la spada e dichiarano vendetta, altri hanno un fiore e dichiarano amore. La storia comincia, diventa importante e poi finisce. L’orchestra tocca l’apice e il pubblico applaude. Gli attori si tengono per mano e fanno un inchino. Un uomo in platea si alza, si gira, e si mette il cappotto. Il regista e i critici salgono sul palco. Anche qualche giornalista. Si formano gruppi di gente che parla. La tensione della performance è passata. I tecnici vanno a togliere i cavi. Qualche luce si spegne. Il rumore delle chiacchiere scende piano. Una voce da lontano si dà appuntamento al ristorante. Non rimane nessuno. Soltanto il fantasma del principe azzurro è rimasto seduto ad aspettare in mezzo al palco. E quando è sicuro di non essere sentito, lui la chiama, e riprendono a parlare.

79 – Poi ti rendi conto che non serve diventare matti. Di una persona basta capire due o tre cose.

83 – Le persone non cambiano quando sbagliano, ma quando vedono i propri errori.

93 – Quando andavi a scuola c’erano lunghe file di numeri e segni alla lavagna. Dovevi fare tutte le somme senza dimenticarti di nessun pezzo. Si faceva così per trovare il risultato.
Con le emozioni è diverso. Devi cancellare dalla lavagna tutte le parole e tutte le figure. E stare ad aspettare.

98 – Le anime perse esistono. Lo capisci con certezza dopo averne incontrata più d’una. E da quel momento, come puoi non rendere questa ricerca il centro della tua vita? Per poi prendertene cura.

99 – Te ne accorgi da come parlano. Più raramente da come scrivono. Mettono le parole in modo diverso. Hanno dei gesti, delle pose. Hanno un loro dialetto comportamentale da cui vieni influenzato. E loro assorbono ciò che è tipico di te. Sono l’uno percento. Sono persone dotate di uno stile. Quando le incontri ti lasciano un segno.

 

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Panksepp ha voglia di giocare

Il libro di Panksepp non vale tant’oro quanto pesa. Di più. Molto spesso utilizza i dati scientifici di base per delle considerazioni su come affrontare i principali “malfunzionamenti” mentali dell’uomo, come depressione, rabbia e mancata felicità in genere. L’importanza di queste considerazioni non sta nella loro novità assoluta, ma nel fatto che sono fondate sulla conoscenza della struttura fisica del cervello che si è andata accumulando nelle ultime decine di anni. Non sono soltanto “valide impressioni”, ma punti di riferimento consolidati. Traduco qui l’ultimo spunto interessante che ho trovato:

“Come vedremo nel prossimo capitolo, la giocosità, che è la sorgente di uno dei più positivi sentimenti sociali-affettivi che la nostra mente possa generare, non è ancora sistematicamente o adeguatamente impiegata nei contesti psicoterapeutici. Ci sono sicuramente dei modi per rendere questo robusto affetto positivo un aspetto comune delle interazioni psicoterapeutiche. Dovremmo ricordarci la famosa idea di Norman Cousin’s (1983): che la risata potrebbe essere una delle nostre migliori medicine.”

Ma gli angeli giocosi, per essere tali, non dovranno prima imparare ad usare i coltelli contro i cani arrabbiati?

Testo originale in inglese:
“As we will see in the next chapter, playfulness, which is the source of one of the most positive social-affective feelings our brain can generate, is not yet systematically or well used in psychotherapeutic contexts. There are surely ways to make this robust positive affect a more common aspect of therapeutic intereaction. We may be wise to remember Norman Cousin’s famous idea: Laughter may be one of our best medicines.”

Da: The Archaeology of mind – Neuroevolutionary Origins of Human Emotions.
Jaak Panksepp e Lucy Biven

Panksepp e i figli dell’indifferenza

Secondo Jaak Panksepp, sono due le influenze che nel corso del novecento hanno contribuito a tenere lontano il pensiero dominante dall’elaborazione di un’adeguata riflessione sulla struttura emotiva dell’uomo. Prima il comportamentismo, che rifiutava di prendere in considerazione il contenuto del pensiero in quanto non misurabile oggettivamente, con il risultato di favorire lo studio del comportamento e di tutto ciò che vi è di più materiale nella vita dell’uomo. Successivamente la strada alla comprensione della dimensione emotiva è stata bloccata dalla visione cosiddetta cognitiva dell’uomo, formatasi utilizzando il computer come metafora e privilegiando le funzioni linguistico-razionali superiori a scapito delle radici emotive sottostanti.

A proposito del comportamentismo, Panksepp scrive un passo che trovo molto interessante per capire fino a che punto un sapere sbagliato possa rovinare la vita dell’uomo. Ho pensato quindi di tradurlo (il libro è in inglese) e di riportarlo in italiano.

“… i comportamentisti credevano che i bambini non avrebbero avuto ragione di legarsi ai loro custodi se questi non avessero provveduto ai loro bisogni fisici. Non c’era l’idea che i bambini o i giovani animali avessero un intrinseco bisogno di attaccamento sociale al di là della soddisfazione dei bisogni fisici. Alcuni dei più notevoli consigli furono dati da John Watson, il padre del comportamentismo, che allevò i propri figli con poco affetto. Il suo pezzo più famoso riguardante un’appropriata educazione dei figli fu di “mai abbracciarli e baciarli, mai lasciarli sedere in grembo. Se dovete, baciateli una volta sulla fronte quando gli date la buona notte. Stringetegli la mano al mattino. Dategli un tocco sulla testa se hanno compiuto un lavoro straordinariamente buono o un compito difficile” (dal suo Cura Psicologica dell’Infante e del BambinoPsychological Care of Infant and Child, 1928, che vendette più di 100.000 copie nei primi mesi dopo la pubblicazione). Tutti i suoi figli ebbero gravi problemi emozionali, forse a causa di indifferenza parentale, inclusa una figlia che tentò più volte il suicidio e un figlio che riuscì a togliersi la vita.”

Pensate forse che si tratti di cose lontante dalla nostra realtà? Quante persone emotivamente equilibrate e consapevoli credete che ci siano fra i guerrafondai che oggi spingono per bombardare la Siria?

Il pezzo è tratto da The Archaeology of Mind – Neuroevolutionary Origins of Human Emotions, di Jaak Panksepp e Lucy Biven, 2012

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