La rabbia nei bambini in età prescolare (capricci, crisi isteriche e crisi di pianto)

Assistere alle crisi di rabbia di un bambino può essere spiazzante. Durante questi episodi i bambini lanciano oggetti, urlano e sbattono i piedi. Nei momenti più intensi danno calci, fanno versi, colpiscono, tirano e spingono. Tali comportamenti non rappresentano il caso più insolito o bizzarro, e costituiscono piuttosto un elenco delle azioni più caratteristiche compiute dai bambini durante le crisi di rabbia. A volte, i bambini possono anche arrivare a sputare sulle altre persone o morderle.1

Per indicare questi episodi di crisi emotiva in inglese si usa la parola tantrum, diffusa sia in ambito scientifico che in ambito quotidiano. In italiano spesso si impiegano modi di dire come “fare i capricci” o “fare una scenata”, oppure si parla di “crisi di pianto” o di “crisi isteriche, benché l’aggettivo “isteriche” sia qui utilizzato in modo improprio. Noi abbiamo scelto di usare l’espressione “crisi di rabbia” per evidenziare meglio il legame con l’emozione fondamentale della rabbia.

Le crisi di rabbia riguardano la grande maggioranza dei bambini in età prescolare.2 Si tratta di un fenomeno normale, non dipeso per forza da una cattiva educazione. Nel seguito dell’articolo daremo una breve descrizione di questi momenti di crisi e proveremo a fornire alcune indicazioni per gestirli nel modo migliore. Cercheremo anche di comprendere quando è il caso di preoccuparsi perché sono stati oltrepassati i limiti del comportamento considerato normale.

L’emozione della rabbia è già presente nei bambini di pochi mesi,3 ma la capacità di controllarla si sviluppa lentamente. La rabbia di un neonato può manifestarsi nello sforzo di rimuovere una barriera o un ostacolo, e non crea particolari problemi ai genitori. Quando il bambino inizia a muoversi da solo, però, le difficoltà dovute alle manifestazioni di rabbia aumentano, ed è intorno a un anno e mezzo di età che il bambino può iniziare ad avere delle vere e proprie crisi di rabbia.4

La durata tipica delle crisi di rabbia nei bambini sembra essere inferiore ai 10 minuti (senza distinzione fra maschi e femmine5), anche se si può arrivare a più di mezz’ora.6 Il sentimento della rabbia di per sé tende a decadere piuttosto alla svelta7, ma spesso, nel corso di questi episodi critici, la rabbia si mescola ad un altro sentimento che tende ad allungare la durata della crisi.8 Si tratta di una forma di disagio e tristezza,9 ed è un sentimento forse simile a quello che il bambino prova quando piange disperato per la mancanza della madre. Questo sentimento, distinto da quello della rabbia, fa capo al sistema emotivo della pena della solitudine; il richiamo espresso sotto forma di pianto è una sua manifestazione caratteristica.10 11


PER COMPRENDERE MEGLIO LA PENA DELLA SOLITUDINE SI PUÒ LEGGERE IL NOSTRO ARTICOLO: LA DEPRESSIONE E IL PIANTO.


Comprendere quali siano le componenti emotive attive nel bambino è importante, perché le emozioni sono una forza modellatrice della coscienza, e determinano il modo in cui siamo coinvolti nel mondo. Oltre alla rabbia e alla tristezza (quest’ultima collegata alla pena della solitudine) nel bambino sotto i sei mesi di età è già presente l’emozione fondamentale della paura, la quale risulta ben distinta dalla rabbia e dalla tristezza, ed è strettamente connessa all’ansia.12 L’ansia però, al contrario delle interpretazioniproposte da alcuni ricercatori, non sembra avere un ruolo significativo nelle crisi di rabbia: “…noi non abbiamo trovato indicazioni nei resoconti dei genitori che i loro bambini esperissero ansia o sentimenti collegati durante le loro crisi di rabbia”.13


PER APPROFONDIRE IL TEMA DELLE EMOZIONI NEI BAMBINI, LEGGI ANCHE: EDWARD TRONICK, LE EMOZIONI NEI BAMBINI E IL MOMENTO DELL’INCONTRO


Vi sono alcuni segnali da cui si può intuire la durata di una crisi di rabbia. Quando al principio della crisi (per esempio nei primi 30 secondi) il bambino sbatte i piedi o si abbassa mettendosi a terra, solitamente la crisi ha una durata inferiore.14 Quando invece il bambino mostra evidenti segni di arrossamento del volto (per via dell’intensità della rabbia espressa) allora la scenata può durare più a lungo.15 Alcuni ricercatori hanno anche osservato che “se la crisi persisteva oltre i 3 o 4 minuti, la maggior parte dei comportamenti erano ripetizioni o continuazioni dei comportamenti già mostrati.”16

La frequenza elevata delle crisi di rabbia può costituire un fattore di rischio per cui è opportuno richiedere il parere di un medico o di uno psicologo con esperienza in materia. Secondo alcuni autori il limite critico viene superato quando si verificano dieci o venti episodi nell’arco di un mese in ambiente casalingo, oppure quando si verificano, fuori casa, cinque episodi al giorno in più giorni distinti. Un altro campanello di allarme si ha quando la durata delle crisi è solitamente superiore ai 25 minuti, o se nella maggior parte dei casi il bambino aggredisce chi si prende cura di lui. Oppure, ancora, se il bambino mostra spesso un comportamento violentemente distruttivo verso qualche oggetto. Un’altra situazione a cui bisogna prestare particolare attenzione è quando il bambino si rivela incapace di calmarsi da solo.17

Un ulteriore motivo per cui può essere consigliabile la consultazione di un esperto sono i comportamenti autodistruttivi, come ad esempio colpire se stessi, sbattere la testa, trattenere il respiro e mordersi.18 I comportamenti autodistruttivi potrebbero indicare un legame con la patologia depressiva: “I comportamenti autolesionistici nel corso delle crisi di rabbia sono stati raramente riscontrati nei bambini in età prescolare con l’eccezione dei soggetti con depressione maggiore.”19

Irrigidirsi è un altro tipo di comportamento osservato spesso nelle crisi di rabbia dei bambini. Sembra che solitamente non si presenti spontaneamente come espressione del sentimento di rabbia, ma piuttosto come reazione all’intervento dei genitori.20 Per quanto riguarda lo scappare e l’abbassarsi a terra, invece, tali comportamenti assomigliano più ad un modo di gestire la rabbia che non ad una sua espressione diretta.

Oltre a provare il sentimento della rabbia, i bambini sviluppano molto precocemente la capacità di riconoscere la rabbia nelle altre persone. A tre mesi distinguono già le manifestazioni di rabbia nella madre. A 5 mesi possono riconoscere la rabbia semplicemente ascoltando una voce arrabbiata.21 A 12 mesi si rendono conto quando gli adulti hanno fra di loro un comportamento arrabbiato e “possono fissare o bloccarsi, apparire preoccupati o corrucciare il volto, oppure mostrare uno stress negativo piagnucolando”22 A 16-18 mesi la loro reazione può essere di “coprirsi le orecchie, lasciare la stanza, intervenire verbalmente e/o fisicamente (…) o comportarsi aggressivamente.”23 I bambini di 4 anni dimostrano già una chiara consapevolezza del contesto e sono in grado di distinguere le reazioni che possono aspettarsi dalla madre, dal padre o dagli amici.24 Si accorgono se il conflitto è risolto a partire dai 4-5 anni, e in maniera più precisa oltre i 6 anni.25

Per quanto riguarda lo sviluppo della rabbia nel corso della crescita, è difficile stabilire un percorso univoco valido per tutti i bambini. Nei casi in cui si sviluppa una forma di attaccamento sicuro fra madre e bambino, generalmente si assiste ad una diminuzione della rabbia.26 In particolare diminuiscono le crisi di rabbia, ma non è detto che diminuiscano anche le manifestazioni di rabbia a bassa intensità, le quali possono permanere o anche aumentare.27

Sembra che le crisi di rabbia tendano a diminuire al crescere del linguaggio28, e questo può essere interpretato in due modi. Da un lato, il linguaggio offre gli strumenti per risolvere i conflitti evitando che generino il sentimento della rabbia. Dall’altro, quando il sentimento della rabbia si attiva, esso può trovare nella comunicazione verbale un canale di espressione alternativo29 (il che non significa per forza che l’emotività collegata sia meno intensa).


PER UNA VISIONE INTEGRATA DELLO SVILUPPO DEL BAMBINO, SI PUÓ LEGGERE IL NOSTRO ARTICOLO CHE RIASSUME LA VISIONE DELLO PSICOANALISTA INGLESE DONALD WINNICOTT.


GESTIRE LE CRISI DI RABBIA NEI BAMBINI

Nella prima parte dell’articolo abbiamo dato una descrizione generale del fenomeno della rabbia nei bambini e delle crisi ad essa collegate. Andiamo adesso a prendere in considerazione il modo in cui è possibile prevenire e gestire queste crisi.

La rabbia nasce nel bambino quando le sue aspettative sul mondo risultano disattese. Ne segue che risulta utile costruire un sistema di routine giornaliere, di rituali, di sequenze abituali che il bambino impara ad aspettarsi. Se infatti il bambino si forma delle aspettative corrispondenti a ciò che davvero sta per accadere, poi non avrà motivo di arrabbiarsi. Per noi queste abitudini possono essere noiose, ma per il bambino costituiscono un modo per incanalare l’esperienza di ciò che ancora gli appare come nuovo e sconosciuto. Nel parlare di routine e abitudini bisogna tener presente che il bambino non ha la nostra capacità astrattiva, e ragiona in termini più concreti rispetto a noi. Per noi è normale pensare che mettersi le scarpe per uscire di casa piuttosto che per andare sulla terrazza sia la stessa cosa. Per il bambino invece questo non è scontato, perché è più sensibile di noi ai cambiamenti di situazione.

Considerando che la rabbia emerge quando sono disattese le aspettative del bambino, è molto importante comprendere come si possono gestire le transizioni da una situazione all’altra. Di nuovo, dobbiamo ricordarci che per noi è immediato spostare la concentrazione dal parco giochi all’ambiente di casa, là dove per il bambino questo passaggio non è cosí semplice. Può essere utile annunciare più volte il cambiamento di situazione, con il dovuto anticipo. Per esempio: “Tra un quarto d’ora andiamo a casa” seguito da “Tra dieci minuti andiamo a casa” e poi da “Tra cinque minuti andiamo a casa”.

Per molti bambini il “no” può avere un effetto notevole e diventare l’innesco del conflitto. Il no va usato solo se necessario, perché può essere percepito come una sfida. Dove possibile, è meglio evitare la negazione diretta, accettando con parole accoglienti l’idea del bambino, ma poi indirizzando l’attenzione sull’alternativa preferita dai genitori. “Ah si, i biscotti sono buonissimi, possiamo mangiarli dopo la passeggiata.” “Si anche io vorrei andare al parco, dove c’è l’altalena rossa e gialla. Andiamo a dirlo anche alla nonna.” Ognuno può impiegare la propria fantasia per sviluppare approcci verbali simili.

Quando i bambini devono fare qualcosa gliela possiamo offrire in due alternative fra cui scegliere. Per esempio: “Vuoi dare a tuo fratello il trattore oppure il camion?” “Vuoi mettere le scarpe rosse oppure quelle blu?” “Vuoi indossare prima la sciarpa o la cuffia?” “Vuoi che torniamo a casa adesso oppure fra cinque minuti?” “Ci sono due tipi di shampoo, puoi decidere tu quale preferisci.” Chiedere anziché comandare può aumentare molto il livello di cooperazione, ma bisogna essere sicuri di poterlo fare. Non ha senso chiedere al bambino se vuole mettersi il cappotto o meno, quando sappiamo che è necessario metterlo, ma possiamo sempre chiedergli se vuole indossarlo in corridoio oppure nell’atrio al piano terra.

Quando notiamo che il bambino sta sviluppando un sentimento di rabbia e desideriamo comunicare con lui, si può iniziare riconoscendo lo stato di arrabbiatura del bambino: “vedo che sei arrabbiato, c’è qualcosa che non va?”. Nel fare questo è importante essere consapevoli del proprio linguaggio verbale, evitando ad esempio di stare con le braccia incrociate. Quando il bambino non sa ancora parlare, può essere utile rispecchiare il suo stato d’animo, provando a tradurre in parole le sue emozioni, visto che lui ancora non lo sa fare.

In generale è bene ricordarsi che il bambino è mosso prima di tutto da una forma di amore verso i genitori, non da sentimenti di rabbia. Questi hanno solitamente delle origini ben specifiche che si possono sempre investigare con curiosità, mettendoci nei panni del bambino e interrogandoci sui motivi che lo hanno infastidito. Può sembrare scontato, ma la temperatura dell’acqua o portare l’acqua o il sapone sul volto possono essere il fattore specifico che, se evitato, consentirà di fargli fare il bagno senza proteste.

Come si può notare, ci sono tanti modi di comportarsi che si possono adottare per evitare le crisi di rabbia, e le medesime soluzioni sono d’aiuto anche per migliorare il rapporto col bambino al di là delle manifestazioni di rabbia. Ciononostante, alcuni momenti critici possono essere inevitabili, e sembra esserci un punto di non ritorno oltre il quale lo scoppio di rabbia deve per forza aver luogo. Sembra esserci “…un evidente punto di svolta prima del quale un abile intervento può prevenire una crisi di rabbia e dopo il quale qualsiasi intervento, non importa quanto abile, lo inasprisce soltanto.30


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Come dobbiamo comportarci, dunque, quando il bambino giunge a manifestare intensamente la propria rabbia? Reagire arrabbiandoci a nostra volta, naturalmente, è esattamente quello che non si deve fare: “…una risposta arrabbiata della madre ai comportamenti difficili dei bambini è associata con la persistenza dei bambini nella rabbia e nei comportamenti non accondiscendenti, e con una minore probabilità di risposte empatiche verso le altre persone.”31 Tra l’altro, al di là degli effetti sul bambino, gridare da arrabbiati è un comportamento poco furbo, perché è dispendioso e richiede tanta energia. E quando il bambino ci si abitua non ha più effetto.

Il copione della rabbia è completo soltanto quando c’è qualcuno che osserva la manifestazione della rabbia. Per questo la miglior cosa da fare durante una crisi di rabbia (anche se non è facile) è togliere attenzione al bambino, almeno fino a quando non vi sono comportamenti palesemente distruttivi o violenti. Non bisogna diventare il pubblico della scenata. Cosí che la scenata non abbia motivo di continuare (e cosí che passi la voglia di ripeterla in una situazione successiva).32

Un tema strettamente collegato alla rabbia nei bambini è quello della punizione. La vitalità del bambino lo porta naturalmente a infrangere le regole che i genitori gli impongono. Vi sono però alcuni limiti che non possono essere superati. Non si può accettare, ad esempio, che il bambino picchi un’altra persona. Vorremmo tutti che lo sviluppo del bambino avvenisse in modo indolore, ma sembra impossibile evitare tutte le situazioni in cui è necessario punire il bambino.33

Negli Stati Uniti sono stati sviluppati dei programmi di educazione dei genitori considerati molto efficaci nel gestire i bambini difficili. Un metodo molto diffuso nell’ambito di questi programmi è chiamato time-out.Si tratta di una pratica molto simile ad isolare il bambino mettendolo in castigo per alcuni minuti in un luogo noioso. Il bambino, per sua natura, ama essere nella stessa situazione dei genitori, ama essere parte della famiglia. Interrompendo questa appartenenza si provoca un dolore psicologico. Alcuni genitori possono anche ritenere che l’isolamento in un luogo separato sia una misura eccessiva. Può darsi che basti anche l’interruzione del discorso, lo stare in silenzio. Si tratta di comprendere quale grado di distanza imporre al bambino perché avverta la pena dello stare soli. Non vi dovrebbe essere soddisfazione nel punire in questo modo. Questa imposizione di separazione non andrebbe accompagnata con forme di rabbia o irritazione verso il bambino, e si dovrebbe associare chiaramente la punizione alle conseguenze negative del comportamento punito (“Non hai messo la giacca, di conseguenza prenderai freddo.”)34

Il tema della punizione dei bambini è molto delicato, e ci possono essere genitori che rifiutano del tutto la possibilità di punire i bambini. Pensiamo che sia utile riportare una breve descrizione di come veniva visto questo tema in ambito Montessori: “Nel sistema di educazione Montessori, le ricompense e le punizioni sono state abolite. Lei credeva che le ricompense fossero in qualche modo un insulto alla dignità umana. L’unica misura di punizione riconosciuta era il metodo di isolare il colpevole dal collettivo dei bambini, ma in modo tale che potesse vedere cosa stavano facendo i suoi compagni di classe. Il bambino, naturalmente, soffre di questo suo isolamento.”35

Come già abbiamo avuto modo di notare in precedenza, la fase finale della crisi di rabbia può essere caratterizzata da un momento in cui il bambino è debole, triste e bisognoso del nostro aiuto. Questa è la situazione in cui bisognerebbe dimenticarsi di tutto quello che è appena accaduto ed accogliere il bambino lasciando cadere ogni eventuale malumore. Evitando anche di dare etichette negative al bambino, quali ad esempio “sei una lagna”, “sei impossibile”, “sei capriccioso”.

Il miglior lavoro che si può fare per evitare i momenti di rabbia è in fin dei conti quello di promuovere i comportamenti positivi, concedendo delle piccole ricompense esattamente nel momento in cui avviene il comportamento che apprezziamo. “I programmi di educazione parentale insegnano l’uso del rinforzo positivo (ricompensa o lode) per accrescere il comportamento pro-sociale. Il rinforzo positivo è ottimamente efficace quando è amministrato (…) frequentemente, e immediatamente per piccoli miglioramenti del comportamento. (…) Ai genitori viene insegnato ad usare frasi di lode in cui viene nominato il comportamento del bambino, come per esempio “Grazie per ascoltare.”…”36

Una delle più importanti fonti di gioia nella vita del bambino è il gioco, che è un’altra delle sette emozioni fondamentali secondo le neuroscienze affettive. Non è un caso che molti programmi di educazione dei genitori includano alcune indicazioni su come gestire il gioco dei bambini. Per esempio, ai genitori vengono insegnate “competenze tradizionali della terapia del gioco come seguire il ruolo guida del bambino, imitare il gioco del bambino, fornire un’attenzione indivisa, descrivere le attività di gioco, ed ampliare le verbalizzazioni del bambino”37 lodando, rispecchiando, imitando, descrivendo e usando entusiasmo. È anche importante evitare “comandi e criticismi durante il gioco.”38


PER APPROFONDIRE IL TEMA DEL GIOCO, LEGGI ANCHE: LA PSICOLOGIA DEL GIOCO.


Gli ultimi decenni hanno visto un esplosione dello studio sulle emozioni, che sono viste sempre più come l’origine del nostro essere coscienti e non soltanto come episodi circoscritti del sentire: le emozioni determinano il modo in cui ci sentiamo coinvolti nel mondo. La rabbia è una delle sette emozioni fondamentali dell’uomo secondo le neuroscienze affettive. (Le altre sei sono paura, interesse, eccitazione sessuale, gioco, cura e tristezza.)

La rabbia interviene dove le nostre intenzioni si scontrano con quelle di qualcun altro. Comprendere come funziona la rabbia significa comprendere come è possibile stare con le altre persone in modo costruttivo. Si tratta forse della lezione più importante da insegnare a un bambino.


PER APPROFONDIRE IL TEMA DELLA RABBIA, LEGGI ANCHE: LA PSICOLOGIA DELLA RABBIA


Copyright Manuel Cappello 2021


Precisiamo per correttezza che chi scrive non ha figli. Questo articolo fa parte della nostra ricerca sulle emozioni ed è basato anzitutto sul contenuto della letteratura contemporanea.


Il contenuto di questo articolo non sostituisce il parere del medico o del terapista abilitato.


BIBLIOGRAFIA

Belden, Andy C., Nicole Renick Thomson, and Joan L. Luby. “Temper tantrums in healthy versus depressed and disruptive preschoolers: Defining tantrum behaviors associated with clinical problems.” The Journal of pediatrics 152.1 (2008): 117-122.

Danforth, Jeffrey S. “Parent training for families of children with comorbid ADHD and ODD.” International Journal of Behavioral Consultation and Therapy 2.1 (2006): 45.

Davidson, Dana H. “Temper Tantrums in Young Children.” (2003).

Lemerise, Elizabeth A., and Kenneth A. Dodge. “The development of anger and hostile interactions.” (2008).

Österman, Karin, and Kaj Björkqvist. “A cross-sectional study of onset, cessation, frequency, and duration of children’s temper tantrums in a nonclinical sample.” Psychological reports 106.2 (2010): 448-454.

Pearl, Erica S. “Parent management training for reducing oppositional and aggressive behavior in preschoolers.” Aggression and Violent Behavior 14.5 (2009): 295-305.

Plekhanov, A. “The pedagogical theory and practice of Maria Montessori.” Russian Social Science Review 33.4 (1992): 79-92.

Potegal, Michael, and Richard J. Davidson. “Temper tantrums in young children: 1. Behavioral composition.” Journal of Developmental & Behavioral Pediatrics 24.3 (2003): 140-147.

Potegal, Michael, Michael R. Kosorok, and Richard J. Davidson. “Temper tantrums in young children: 2. Tantrum duration and temporal organization.” Journal of Developmental & Behavioral Pediatrics 24.3 (2003): 148-154.

Potegal, Michael, and Peihua Qiu. “Anger in children’s tantrums: A new, quantitative, behaviorally based model.” International handbook of anger. Springer, New York, NY, 2010. 193-217.

Wilder, David A., et al. “Brief functional analysis and treatment of tantrums associated with transitions in preschool children.” Journal of Applied Behavior Analysis 39.1 (2006): 103-107.

1I termini elencati sono presi dalla tabella proposta da Potegal e Davidson 2003 a pagina 144.

2È stato riscontrato che la diffusione delle crisi di rabbia cresce dall’87% del periodo 18-24 mesi al 91% del periodo 30-36 mesi e poi decresce al 59% del periodo 42-48 mesi, in parallelo coi risultati dello studio longitudinale di MacFarlane et al. …” Potegal e Davidson 2003, p. 142.

Österman e Björkqvist 2010, che lavorano su un campione finlandese anziché americano, forniscono dati a riguardo del primo manifestarsi delle crisi di rabbia che implicano una diffusione inferiore rispetto a quella riportata da Potegal: “La diffusione delle crisi di rabbia trovata da Potegal e Davidson (2003) era molto più alta di quella del presente studio. Questi fatti suggeriscono variazione culturale.” (riferimento di pagina mancante).

In questo articolo vengono forniti esplicitamente dei dati in formato diverso rispetto all’articolo di Potegal e Davidson. Rimane vero anche per Österman e Björkqvist che, considerando l’intero arco dell’età prescolare, le crisi di rabbia riguardano la grande maggioranza dei bambini.

3L’espressione di rabbia è stata osservata in infanti di appena 2 mesi nell’ambito di un paradigma contingency-learning… Lemerise e Dodge 2008, p. 731.

4Per esempio, Campos et al. (1992) riportavano che l’inizio della locomozione è associato con l’osservazione, da parte dei genitori, di rabbia, sia nei bambini sia nei genitori, ed anche con la percezione che i bambini siano più autonomi e responsabili. Lemerise e Dodge 2008, p. 732.

In ogni caso, la percezione dei bambini come autonomi e responsabili, coincidente con l’emergere della locomozione, è associato con l’osservazione, da parte dei genitori, di rabbia nei bambini.” Lemerise e Dodge 2008, p. 733.

5L’analisi della varianza (ANOVA) ha mostrato che la durata delle crisi di rabbia (tantrum) sottoposta a trasformazione logaritmica non differiva in funzione del genere…” Potegal et al. 2003, p. 150.

6“…il 75% delle crisi di rabbia durava tra 1.5 e 5 minutiPotegal et al. 2003, p. 152.

Österman e Björkqvist 2010 invece, indicano tempi più lunghi: “Nell’8% dei casi, le crisi di rabbia sono durate meno di 5 minuti. E nel 46,5% dei casi tra 5 e 10 minuti.”

Come già ricordato in una nota precedente, la ricerca di Potegal riguarda un campione di bambini degli Stati Uniti, mentre quella di Österman riguarda bambini finlandesi.

7Dunque, la rabbia tende a decrescere relativamente velocemente e poi a risolversi, là dove lo stress negativo (Distress) tende ad accrescersi durante la crisi di rabbia.” Potegal et al. 2003, p. 151.

8Questo ritrovamento, e l’alta correlazione riscontrata fra Distress e durata complessiva della crisi di rabbia, indica che le crisi più lunghe potrebbero essere state estese primariamente dal prolungamento del Distress” Potegal et al. 2003, p. 153.

9Camras ha identificato la tristezza come un’emozione che appare nella fase avanzata delle crisi di rabbia. Per via del fatto che i nostri Componenti Principali includevano anche un elemento di ricerca d’aiuto attiva che si estende oltre la semplice manifestazione di tristezza, abbiamo nominato questa combinazione di comportamenti Distress. Questa etichettatura è consistente con altri studi che mostrano come la ricerca di aiuto sia associata con il malessere (discomfort). Che sia la rabbia sia la tristezza siano entrambi abitualmente presenti nelle crisi di rabbia (tantrum) è consistente con la loro frequente riportata co-occorrenza nell’infanzia. Cole et al. hanno trovato, in modo simile, due componenti nella risposta emozionale dei bambini di due anni ai piccoli incidenti (mishap). Una componente si fondava su preoccupazione, tensione e rabbia, mentre l’altra si basava su tristezza e riparazione (reparation).” Potegal e Davidson 2003, p. 146.

10Negli articoli che abbiamo consultato si impiega il termine distress. Noi parliamo di pena della solitudine per via del nostro quadro concettuale di riferimento che fa capo alle neuroscienze affettive di Panksepp. Per comprendere meglio il legame fra pena della solitudine e lo stress si può leggere il nostro articolo: Stress e Depressione.

11Il passaggio dalla manifestazione di rabbia al pianto mosso dalla pena della solitudine andrebbe argomentato qualitativamente. Una possibilità è che il bambino si renda conto dell’inefficacia della propria rabbia e si senta impotente e perso. Un’altra possibilità, è che il bambino, a seguito della scenata, finisca per scoprirsi lontano dalla sua famiglia, non per impotenza, bensì perché l’ha allontanata/rifiutata con la rabbia. Un’ulteriore possibilità è che il pianto sia in parte impiegato strumentalmente dal bambino per ottenere quello che vuole.

Al riguardo, si consideri questo passo: “I commenti di alcuni genitori nella nostra indagine ricordavano i suggerimenti di Camras e di Stein e Levine in base ai quali i bambini diventano inizialmente arrabbiati quando realizzano che i genitori ostruiranno i loro desideri, ma sperano ancora di prevalere. La tristezza predomina in un momento successivo, quando i bambini si rendono conto che la loro rabbia è inefficace, e che non l’avranno vinta.” Potegal et al. 2003, p. 153.

12Lemerise e Dodge 2008, p. 731-732.

13Potegal et al. 2003, p. 153.

Nota che in base alle indicazioni delle neuroscienze affettive gli attacchi di panico sono da ricondurre alla pena della solitudine e non all’ansia. Per approfondire si può leggere il nostro articolo: Depressione ed attacchi di panico: una radice in comune?

14Come mostrato in Figura 2, l’occorrenza sia dell’abbassamento (down) sia del pestare i piedi (stamp) nei primi 30 secondi prediceva una crisi di rabbia più breve…” Potegal et al. 2003, p. 150.

15L’attivazione autonomica visibile ai genitori (per esempio l’arrossamento del viso) era associata con una durata prolungata, un effetto riportato in dettaglio altrove. (…) L’intensità che veniva attribuita alle crisi era correlata con la loro durata…” Potegal et al. 2003, p. 150.

16Potegal et al. 2003, p. 153.

17Belden et al. 2008, p. 121.

18Vedi la tabella di Belden et al. 2008 a pagina 120, in base alla quale si può affermare che i comportamenti manifestati nel corso degli episodi di rabbia sono raggruppabili a formare 4 fattori distinti: aggressivo distruttivo (calciare verso gli altri, colpire gli altri, lanciare e distruggere oggetti); auto-distruttivo (colpire se stessi, sbattere la testa, trattenere il respiro, mordersi), aggressivo non distruttivo (calci a vuoto, battere i piedi, colpire il muro) e aggressività orale (mordere gli altri e sputare sugli altri).

19Belden et al. 2008, p. 121.

20Che l’irrigidimento fosse il comportamento più sensibile all’intervento era interamente nelle previsioni basate sulle narrative dei genitori, nelle quali era chiaro che l’irrigidimento è in generale una risposta all’essere trattenuto, bloccato, sollevato o trasportato e raramente accadeva al di fuori di tali condizioni.” Potegal et al. 2003, p. 152.

Potrebbe essere che, con la chiara eccezione dell’elicitazione dell’irrigidimento da parte dell’intervento dei genitori (con un meccanismo molto simile al riflesso), una volta che la crisi di rabbia è cominciata, molte azioni dei genitori sono una risposta ai comportamenti esibiti durante la crisi, piuttosto che un fattore modellante.” Potegal et al. 2003, p. 152.

21Gli infanti di appena 3 mesi rispondono in modo differenziato alle manifestazioni naturali (multimodali) di emozioni da parte della madre, inclusa la rabbia (…), e gli infanti di 5 mesi rispondono in modo differenziato a vocalizzazioni dirette all’infante e intonate in modo positivo oppure negativo, sia nel loro proprio linguaggio sia in un linguaggio non familiare…” Lemerise e Dodge 2008, p. 732

22Lemerise e Dodge 2008, p. 732.

23Lemerise 2008, p. 732-733.

24I bambini riportavano che si sarebbero sentiti arrabbiati più spesso e che avrebbero regolato di più le emozioni con le madri e gli amici che non con i padri. I bambini si aspettavano che le madri ed i padri fossero più ricettivi degli amici alle manifestazioni delle emozioni; essi erano più propensi a riferire che avrebbero espresso emozioni negative quando si aspettavano di ricevere supporto o assistenza. Dunque i bambini di 4 anni dimostravano una consapevolezza delle norme espressive e una sensibilità al ruolo del contesto nel loro utilizzo.” Lemerise e Dodge 2008, p. 735.

25I bambini con più di 6 anni mostrano una sensibilità crescente a rendersi conto se i conflitti sono risolti, e sono meno agitati dai conflitti risolti, ma anche i bambini di 4-5 anni sono in qualche modo sensibili a tale informazione…” Lemerise e Dodge 2008, p. 734.

26“Kochanska (2001) ha anche trovato che mentre i bambini con attaccamento sicuro diventavano meno arrabbiati dai 14 ai 33 mesi, nei bambini con attaccamento insicuro si accresceva l’espressività emozionale negativa; l’attaccamento disorganizzato era associato con netti aumenti di rabbia e diminuzioni di paura…” Lemerise e Dodge 2008, p. 733.

27La durata della rabbia ad alta intensità diminuiva nei bambini dai 18 ai 60 mesi; la durata della rabbia di basso livello aumentava (questo è stato l’effetto primario dell’età riscontrato in questi dati).” Potegal et al. 2003, p. 153.

28“Il declino delle crisi di rabbia era più rapido per i bambini con un età da 3 a 4 anni, che coincide con un loro vocabolario accresciuto. (…) Queste abilità consentono verosimilmente una migliore espressione e processazione dei sentimenti di rabbia e frustrazione. Se è cosí, ciò potrebbe spiegare la marcata diminuzione delle crisi di rabbia.” Österman e Björkqvist 2010. (riferimento di pagina mancante)

29L’aggressione verbale diventa più frequente con il generale miglioramento delle abilità verbali. Quando le capacità sociali si sono sviluppate, il bambino impiega anche forme indirette di aggressione (manipolazione sociale)” Österman e Björkqvist 2010. (riferimento di pagina mancante)

30Potegal et al. 2003, p. 148.

31Ed anche: Le madri che rispondevano alla rabbia dei bambini con una neutralità calma oppure con manifestazioni di buon umore avevano bambini che mostravano interesse per l’ambiente, emozioni positive e risposte positive agli estranei in assenza della madre.” Entrambe le citazioni vengono da Lemerise e Dodge 2008, p. 732.

32Confronta: I programmi di educazione dei genitori (PMT) insegnano anche ‘l’ignoramento pianificato’, che avviene scegliendo i comportamenti indesiderabili lievi (quelli non pericolosi o distruttivi) da ignorare, e i comportamenti positivi opposti che verranno seguiti con attenzione e lodati…” Pearl 2009, p. 297.

33 La ricerca dimostra che (…) i genitori devono imparare metodi efficaci di imporre limiti (le punizioni) per riuscire ad ottenere miglioramenti clinicamente significativi nell’area del comportamento oppositivo ed aggressivo (…) Tre generazioni di ricercatori sull’educazione parentale hanno confermato l’ipotesi che insegnare ai genitori soltanto le tecniche di rinforzo positivo non è sufficiente a normalizzare il comportamento aggressivo dei bambini…Pearl 2009, p. 297.

34Il Time-out è una strategia disciplinare efficace e comunemente impiegata nella maggior parte dei programmi di educazione dei genitori (…) Con i bambini in età prescolare, il time-out generalmente è situato in un posto noioso nel quale il bambino siede su una sedia larga e robusta (…). I genitori sono istruiti a ignorare le proteste del bambino, ma la durata raccomandata del time-out varia a seconda del programma. La maggior parte dei programmi suggerisce che un time-out efficace per un bambino piccolo non dovrebbe durare più di 2-5 minuti (…) e alcuni programmi raccomandano 1-2 minuti per ogni anno di età del bambino…” Pearl 2009, p. 297.

35Plekhanov 1992, p. 90-91.

36Pearl 2009, p. 297.

37Pearl 2009, p. 298.

Nel medesimo passo si indica che l’espansione della verbalizzazione del bambino può essere compiuta in modo specifico con questo tipo di azioni: lodando, riflettendo, imitando, descrivendo, usando entusiasmo (PRIDE skills).

38Pearl 2009, p. 299.

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