Edward Tronick, le emozioni nei bambini e il momento dell’incontro

Edward Tronick ha dedicato una vita allo studio delle emozioni nei bambini. Nei suo scritti si trovano alcune idee che si rivelano illuminanti anche per le relazioni interpersonali fra adulti.

La madre ed il bambino non si trovano in uno stato di sintonia continua e ininterrotta. La madre e il bambino si trovano in uno stato di sintonia altalenante.1 La proprietà fondamentale su cui porre l’attenzione non è la capacità di restare sempre in sintonia, bensì la capacità di recuperare la sintonia e di ripristinare la relazione dopo che queste sono state interrotte.

Con l’accumulazione e la reiterazione di successo e riparazione, il bambino stabilisce un nocciolo affettivo positivo, con confini più chiari fra il sé e gli altri (…) Questi bambini, sulla base della loro esperienza di interazione normale, hanno una rappresentazione dell’interazione come riparabile e di sé stessi come efficaci nel compiere tale riparazione.2

Quello che il bambino può imparare, dunque, non è tanto che vi è una sorta di magia relazionale permanente, quanto che la magia relazionale persa può sempre essere ristabilita, per mezzo della propria azione. Tale dinamica sembra essere alla base di quella fiducia fondamentale nel mondo che Donald Winnicott considerava strettamente legata al fenomeno del gioco.


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Il punto di vista di Tronick è sostenuto da un grande lavoro di investigazione empirica, del quale andiamo ad esporre alcuni degli aspetti più rilevanti.

Le emozioni fondamentali sono rintracciabili nei bambini fin dai primi mesi di vita. I neonati sono in grado di utilizzare quasi tutti i muscoli facciali impiegati dagli adulti per manifestare le emozioni.3 Sono in grado di assumere espressioni di gioia, interesse, sorpresa, paura, rabbia, tristezza.4 Sono anche in grado di riconoscere le espressioni emotive degli adulti.5


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I bambini sviluppano molto presto la capacità di porsi in modo strumentale nei confronti degli oggetti ed in modo comunicativo rispetto alle persone.6 Già a sei mesi, inoltre, sembrano emergere dei modi stabili di gestire le interazioni sociali,7 inclusi alcuni processi di autoregolazione emotiva: “Per esempio, succhiarsi il pollice può calmare i bambini sottoposti a stress e distogliere lo sguardo può ridurre il battito cardiaco”.8

Tronick ha contribuito a sviluppare il metodo del volto immobile (still face). In tale situazione sperimentale viene chiesto alla madre di assumere all’improvviso un volto inespressivo mentre sta giocando col bambino. Il bambino si trova cosí sottoposto ad una situazione di stress in cui la reazione più tipica è quella di sollecitare la madre a ritornare espressiva, a ritornare in relazione.9 La reazione opposta, considerata meno adattiva, è quella di ritirarsi e di rinunciare a sollecitare il ritorno in relazione. Si potrebbe intravedere in queste differenti modalità di reazione il punto di origine dello stile di attaccamento sicuro oppure insicuro.10

Nel corso di questi esperimenti sui bambini, vengono osservati i seguenti elementi del comportamento: “direzione dello sguardo (sguardo alla madre, sguardo agli oggetti, “scansione”), vocalizzazioni (neutrale-positiva, difficile-esigente, pianto), gesti di prelievo, altri gesti (indicare con una mano, protendersi verso la madre, inclinarsi verso la madre, toccare la madre), auto-consolazione (prendere in bocca una parte del corpo oppure un oggetto), distanziamento (scappare voltandosi e rigirandosi nella sedia), e indicatori di stress autonomico (sputare o singhiozzare).”11

Nell’esperimento del volto immobile, solitamente i bambini maschi si rivelano più delicati rispetto alle bambine: “I bambini sembravano avere una più limitata capacità di autoregolazione rispetto alle bambine, e rendevano i loro bisogni espliciti alla madre con una maggiore varietà di espressioni sia positive sia negative. Le bambine, d’altra parte, mostravano un maggior livello di interesse e di esplorazione degli oggetti rispetto ai bambini e sembravano meno vulnerabili ad uno stress relazionale del tipo creato dalla situazione di still face e dal (successivo, ndt) gioco di ri-unione”12 (Tronick ritiene che queste diversità nei bambini piccoli possano essere alla base della successiva differenziazione fra i comportamenti di ragazze e ragazzi.)

Studiando il comportamento del bambino nel modo appena descritto, si tende a focalizzarsi sulle emozioni provate dal bambino momento per momento. Ciò che invece sfugge a tale approccio è l’osservazione degli “schemi emotivi”13 durevoli.14

In modo molto intuitivo, uno schema emotivo triste, per esempio, può mostrare un certo grado di resistenza al cambiamento, e può rimanere inalterato anche se il bambino riceve alcuni input positivi. Se però gli input positivi si susseguono, allora lo schema emotivo triste può tramutarsi in uno schema emotivo basato sul sentimento della gioia. Tronick propone una metafora curiosa per visualizzare il modo in cui avviene questo cambiamento. Lo schema emotivo triste è come una zuppa di piselli. Se ci si aggiunge una carota, il gusto non cambia di molto, ma se si aggiungono abbastanza carote, allora la zuppa di piselli può trasformarsi in una zuppa di carote.15


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Gli studi sulle emozioni hanno messo in luce che nell’uomo vi sono alcune emozioni fondamentali alla base della nostra esperienza cosciente. Le neuroscienze affettive di Jaak Panksepp, per esempio, hanno individuato una lista di 7 emozioni basate su circuiti nervosi di origine innata. Queste radici fondamentali del nostro sentire si pongono come un punto di partenza biologico sul quale poi si innesta la differenziazione individuale dovuta alle esperienze personali e alle culture in cui siamo immersi.

Tronick fornisce un esempio interessante di variabilità interculturale quando prende in considerazione la cultura degli Efe, ovvero i pigmei che vivono nella foresta pluviale dell’Ituri, nella Repubblica Democratica del Congo. Presso questa popolazione i bambini spendono molto tempo con persone diverse dalla madre. Tronick ipotizza che a questa condizione corrisponda una maggior capacità di gestire la relazione emotiva con le altre persone, una concezione rassicurante del contesto sociale, e al tempo stesso anche una maggior dipendenza da tale contesto sociale, con un minore sviluppo delle strategie di autoregolazione che il bambino mette in atto quando è solo.16

Un altro esempio interessante riguarda la cultura Gusii del Kenya, nell’ambito della quale si riscontrano delle norme piuttosto strette a riguardo degli sguardi scambiati nel corso di un’interazione faccia-a-faccia. Una madre Gusii distoglierà lo sguardo dal proprio bambino che ha raggiunto un picco emotivo positivo, col risultato di farlo tornare in uno stato più neutrale. Al contrario, le madri americane studiate da Tronick si comportano in modo opposto, eccitandosi insieme al bambino e promuovendone l’intensità emotiva positiva.17

Il significato della ricerca di Tronick si espande ulteriormente se lo poniamo in relazione col sentimento della solitudine. Il sentimento della solitudine (o pena della solitudine) non è una modalità accessoria del sentire umano. Esso fa parte di quel gruppo ristretto di emozioni innate che governano il nostro modo di stare nel mondo. È da tale sistema emotivo che si originano il senso di solitudine, il pianto del bambino rimasto solo, il pianto dell’adulto che ricorda una persona scomparsa, l’agitazione dell’adulto in preda all’attacco di panico. Come ben puntualizza Panksepp18, la pena della solitudine è un sistema emotivo con effetti molto profondi sulla natura umana, e strettamente legato all’insorgere della depressione.

Ma cosa c’entra questo con Tronick?

Con la sua attenta analisi dello scambio interindividuale fra la madre e il bambino, Tronick ha messo a fuoco il momento dell’incontro fra persone, ed ha evidenziato come le modalità di questo incontro siano decisive per lo sviluppo della personalità fin dai primi mesi di vita. Il bambino posto in un esperimento di volto immobile si rende conto che la presenza della madre è venuta a mancare, che non vi è più sincronizzazione, che non vi è più comunicazione. Il bambino si rende conto che è rimasto solo, e si da da fare come può per ricongiungersi alla madre, per tornare ad interagire con la madre, per tornare a giocare con la madre. Per tornare ad incontrarla.

L’incontro è un momento di sincronia che diventa consapevole,19 e quando noi diventiamo consapevoli di una sintonia sentendola come incontro con un’altra persona, ecco, è allora che ci troviamo proprio al polo opposto rispetto al sentimento della solitudine.

Tronick, le emozioni e il momento dell'incontro

Tronick, le emozioni e il momento dell’incontro


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BIBLIOGRAFIA

Beebe, Beatrice, and Frank M. Lachmann. “The expanding world of Edward Tronick.” Psychoanalytic Inquiry 35.4 (2015): 328-336.

Panksepp, Jaak, and Lucy Biven. The archaeology of mind: neuroevolutionary origins of human emotions (Norton series on interpersonal neurobiology). WW Norton & Company, 2012.

Tronick, Edward Z. “Emotions and emotional communication in infants.” American psychologist 44.2 (1989): 112.

Tronick, E. Z. “A model of infant mood states and Sandarian affective waves.” Psychoanalytic Dialogues 12.1 (2002): 73-99.

Tronick, Edward Z., Gilda A. Morelli, and Paula K. Ivey. “The Efe forager infant and toddler’s pattern of social relationships: Multiple and simultaneous.” Developmental Psychology 28.4 (1992): 568.

Weinberg, M. Katherine, et al. “Gender differences in emotional expressivity and self-regulation during early infancy.” Developmental psychology 35.1 (1999): 175.


1Il coordinamento, indipendentemente dall’età del bambino nel corso del primo anno, viene osservato solo nel 30% o meno del tempo di interazione faccia a faccia, e le transizioni dagli stati coordinati a quelli scoordinati e viceversa accadono circa una volta ogni 3-5 secondi…”

Tronick 1989, p. 116

2Tronick 1989, p. 116

3“I bambini piccoli compiono quasi tutti i movimenti muscolari che sono impiegati dagli adulti per esprimere le emozioni primarie”

Tronick 1989, p. 115

4“Izard ha identificato le espressioni facciali di interesse, gioia, disgusto, sorpresa e sofferenza/afflizione (distress) nei bambini piccoli. Weinberg (1988) e Hamilton (1988) hanno identificato le espressioni facciali di tristezza e rabbia nei bambini dai tre ai sei mesi.”

Tronick 1989, p. 115

5“I bambini piccoli possono anche discriminare le espressioni facciali degli altri…”

Tronick 1989, p. 114

6“Detto in modo semplice, i bambini comunicano con le persone e agiscono strumentalmente con gli oggetti”

Tronick 1989, p. 114

7Weinberg et al. 1999, p. 183

8Tronick 1989, p. 113

9Weinberg et al. 1999, p. 177

10“Inoltre, i bambini piccoli che avevano esperito più riparazioni della sincronizzazione nel normale corso del gioco, e che avevano impiegato metodi di gestione più adattivi nell’ambito degli esperimenti di volto immobile, erano più propensi ad avere uno stile di attaccamento sicuro all’età di un anno…”

Beebe et al. 2015, p. 332

11Weinberg et al. 1999, p. 177

12Weinberg et al. 1999, p. 186

13L’espressione schemi emotivi è presa da Izard. Tronick, in inglese, usa il termine mood.

14Tronick ha scritto un articolo a tal riguardo (Tronick 2002), paragonando lo sviluppo di questi schemi emotivi allo sviluppo dei cicli circadiani del sonno. In entrambi in casi sarebbe decisiva l’interazione fra il bambino e la persona che se ne prende cura.

15Tronick 2002, p. 95

16“Gli Efe potrebbero rappresentare un estremo del continuum della cura multipla, con una quantità considerevole di cura fornita da molti individui al di là della madre.”

Tronick et al. 1992, p. 575

17Tronick 1989, p. 117

18Panksepp et al. 2012, p. 314 (e in generale tutto il capitolo 9)

19“La teoria dell’espansione diadica della coscienza si basa su una propria teoria della mutua regolazione, e prende spunto dal concetto di momento dell’incontro di Sander (…) Sander basava il suo concetto di momento dell’incontro sul concetto di specificità accoppiate(Weiss, 1970), una risonanza fra due sistemi sintonizzati uno con l’altro da proprietà corrispondenti. Un esempio potrebbe essere la somiglianza dei ritmi vocali in entrambi i partner.”

Beebe et al. 2015, p. 333

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