Ansia e Depressione: relazione e differenze

L’ansia nasce da un senso di pericolo e di minaccia, mentre la depressione si caratterizza per una cronica mancanza di interesse verso il mondo. Il senso di pericolo dell’ansia tende a provocare dei comportamenti di fuga ed evitamento, i quali possono interferire con il nostro desiderio di interagire con il mondo. È cosí possibile che l’ansia (abbassando l’interesse verso certi aspetti del mondo) contribuisca allo sviluppo di uno stato depressivo, specialmente se gli effetti dell’evitamento ricadono nella sfera sociale. Lo stato di inattività in cui consiste la depressione, a sua volta, ci rende meno pronti ad interagire e ad affrontare attivamente le situazioni potenzialmente pericolose e fonte di ansia.

L’ansia deriva anzitutto dall’emozione fondamentale della paura. La paura tende ad avere un’origine identificata e dei comportamenti di reazione ben definiti, mentre nel caso dell’ansia il senso del pericolo appare più delocalizzato e non dà luogo a comportamenti di risposta immediatamente praticabili. La paura, ad esempio, ci fa correre nella direzione opposta rispetto al predatore di cui abbiamo avvertito la presenza. Nel caso dell’ansia, invece, ci sentiamo continuamente minacciati da molteplici possibilità di pericolo che intravediamo in ogni situazione quotidiana. Questa ubiquità delle fonti di possibile pericolo dipende dal nostro modo di pensare, e rende difficile identificare una via di fuga per sottrarsi alle minacce percepite.1 2

Oltre al contributo dello stato emotivo della paura, in alcune forme di ansia possono confluire anche gli effetti del sistema emotivo della pena della solitudine, il quale si accompagna al senso dell’abbandono e ad una sensazione di vuoto e spaesamento.3 Il comportamento prototipico di tale modo del sentire è costituito dal bambino che piange quando rimane senza la madre. Il contributo di questo sistema emotivo è particolarmente visibile in quello specifico disturbo dell’ansia che è l’attacco di panico.


La pena della solitudine (GRIEF in inglese) è una delle sette emozioni fondamentali secondo le neuroscienze affettive di Jaak Panksepp.


Non è detto che sia possibile operare una distinzione precisa dentro noi stessi fra il contributo di queste distinte fonti dell’affettività umana. Il normale vivere quotidiano è un flusso continuo di eventi e di situazioni di natura differente. Ogni stato mentale (e similmente ogni patologia mentale) tende a riassumere in sé il contributo di diverse sorgenti emotive che si attivano in risposta a differenti circostanze del mondo esteriore ed interiore. Nondimeno, le differenze fra i due sistemi emotivi della paura e della pena della solitudine possono fornirci dei preziosi suggerimenti nel percorso di comprensione di noi stessi.

Il sistema emotivo della paura tende a produrre un’attivazione generale dell’organismo per fuggire il più rapidamente possibile, o, dove la fuga non è possibile, per affrontare il pericolo con tutta l’energia disponibile. Quest’attivazione è sia di tipo fisico che mentale, e genera i sintomi tipici dell’ansia quali tensione muscolare, sudorazione, respirazione intensa, accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa4 (negli stati a riposo dei pazienti soggetti ad ansia cronica, solitamente rimane evidente la tensione muscolare, al di là dei dati dei self-report che a volte risultano imprecisi ed indicano un’attivazione di tipo più generale5)


Per approfondire il legame fra i sintomi dell’ansia e lo stress, puoi leggere questo articolo: Lo Stress e la Depressione


Gli effetti della pena della solitudine non sono, come nel caso della paura, una concentrazione di risorse finalizzata all’azione immediata.6 7 8 Si tratta piuttosto di una forma di agitazione che serve ad attirare l’attenzione dei propri simili. L’esempio già citato è quello del bambino che piange, ma si potrebbe anche ricordare che lo stesso meccanismo è evidente nei richiami dei piccoli di molti animali. Soprattutto nei mammiferi e negli uccelli.


Il corretto riconoscimento del proprio stato fisiologico non è scontato, e può essere facilitato dalla pratica della meditazione mindfulness.


La pena della solitudine ha come effetto prototipico una manifestazione esteriore che funziona da richiamo, ma questa forma di agitazione ad un certo punto cessa per lasciare posto ad una più lunga fase di calma che evita un consumo eccessivo di risorse. Sembra essere questo uno dei meccanismi che può facilitare lo sviluppo della depressione.9

Il legame fra la depressione e la pena della solitudine implica che la depressione abbia una connessione specifica con la dimensione sociale, ed infatti vi sono delle ricerche che mostrano come la depressione abbia un associazione preferenziale con la “dimensione interpersonale condivisa”.10 L’ansia invece può certo accadere nel contesto interpersonale, ma possiamo anche percepire minacce fisiche o di altra natura, non per forza contestuali alle nostre relazioni personali.

Abbiamo visto che la depressione si presenta come un ritiro dal mondo e come un abbassamento dell’interesse per ogni genere di attività nel mondo. Tale forma mentis si associa ad un generale orientamento al passato,11 alla tendenza all’autocritica, e allo sviluppo di forme di pensiero più concettuali e lente.

L’ansia invece si caratterizza come una frenesia focalizzata sul pericolo incombente e fa si che il futuro sia percepito come psicologicamente vicino,12 13 è caratterizzata da una maggiore tendenza a criticare gli altri, e alimenta il pensiero con processi percettivi automatici e veloci. 14 15 16 17

Una differenza molto significativa tra ansia e depressione è rintracciabile nella dimensione dell’affettività positiva. L’ansia genera dei momenti di affettività negativa e dei fenomeni di evitamento di situazioni o di oggetti specifici, ma non preclude l’esistenza di altri momenti in cui si esperiscono forme di piacere e di affettività positiva. La depressione invece, ha il suo carattere distintivo proprio nell’assenza di affettività positiva, nella difficoltà a provare piacere. Ciò si accorda bene con l’idea che la depressione sia essenzialmente un ritiro dal mondo, una forma cronica di abbassamento dell’interesse per il mondo.18


Per approfondire il tema dell’interesse è possibile leggere questo articolo: Carroll Izard e le emozioni.


La disconnessione fra la depressione e le esperienze di affettività positiva è testimoniata anche da alcune ricerche specifiche sul comportamento visivo, dalle quali risulta come le persone depresse tendano ad evitare gli stimoli positivi, là dove invece questo non accade con l’ansia. Quest’ultima risulta collegata piuttosto ad una maggiore sensibilità per gli stimoli minacciosi, come per esempio volti arrabbiati o animali quali serpenti e ragni.19 20 21

La mancanza di affettività positiva era un cardine della distinzione fra ansia e depressione già nel modello tripartito elaborato da Clark e Watson nel 1991.22 23 Mentre tale aspetto del modello tripartito è rimasto valido, ve ne sono altri che sono stati contestati. In particolare è stata messa in discussione l’idea che l’attivazione fisiologica fosse tipica dei disturbi ansiosi in contrapposizione alla depressione.24 Si tratta di un tema complesso che possiamo provare a riassumere come segue: l’attivazione fisiologica nell’ambito dei disturbi dell’ansia è prodotta anzitutto dal sistema emotivo della paura e quindi è più facilmente distinguibile nei disturbi più strettamente associati alla paura, quali le fobie specifiche (che possono avere per oggetto animali, danni al corpo, oppure certi tipi di spazi, come nell’agorafobia) e in misura lievemente minore le fobie sociali. Nel caso dell’ansia generalizzata e del disturbo da stress post traumatico invece l’attivazione fisiologica è minore25 (il disturbo da stress post-traumatico è caratterizzato dal rivivere un’esperienza traumatica, ed è spesso associato ad un significativo livello di ostilità;26 27 tipico è il caso dei veterani di guerra). Il caso dell’attacco di panico, infine, va compreso in modo particolare, in quanto l’attività visibile è interpretabile come una forma di agitazione che differisce dall’attivazione prodotta dalla paura, come abbiamo già visto nei paragrafi precedenti.28

Sulla base di quanto abbiamo appena osservato è possibile disporre i principali disturbi della famiglia dell’ansia in una serie che va dalle fobie specifiche (manifestazioni più specifiche della paura e del senso di minaccia) agli attacchi di panico, i quali ricevono un contributo più importante dalla pena di solitudine e dal relativo senso di abbandono).29

I disturbi dell'ansia e la depressione

I disturbi dell’ansia e la depressione

Questa interpretazione va intesa come un approccio utile anzitutto come schema orientativo, in quanto un’interpretazione esaustiva dei rapporti reciproci fra i disturbi dell’ansia e quello della depressione non è ancora stata raggiunta dalla scienza contemporanea. Nondimeno tale schema, che abbiamo introdotto riflettendo sull’attivazione fisiologica, riceve anche il supporto di alcune ricerche sui dati della genetica.30 31 Tali ricerche tendono ad associare fra loro i disturbi da attacchi di panico, da ansia generalizzata e da stress post-traumatico, considerandoli prossimi alla depressione, e differenziandoli invece dalle fobie specifiche. Queste ultime potrebbero quindi essere considerate una più pura manifestazione del sistema emotivo della paura, priva del contributo del senso di vuoto e spaesamento che è tipico della pena della solitudine e che può invece entrare a far parte dello stato d’animo ansioso.32 33 34 35

Alcune osservazioni a parte vanno fatte per il disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Tale disturbo fa sempre parte della famiglia dei disturbi dell’ansia e può essere esaminato con una scala diagnostica suddivisa in 4 sottoscale distinte. Fra di esse, quella che mostra una correlazione maggiore con il disturbo depressivo è quella mirata a rilevare i comportamenti di controllo ossessivo (le altre sottoscale sono: accumulazione, pulizia ossessiva e rituali compulsivi, questi ultimi collegati alla mania dell’ordine36). 37 38

Dalla meta-analisi di Jacobson e colleghi del 2017 emerge che il disturbo ossessivo compulsivo favorisce l’insorgere del fenomeno depressivo, mentre il contrario si verifica più raramente. Seguendo le indicazioni di alcuni studi specifici, potremmo dire che la natura del DOC è distinta da quella della depressione, ma che tramite il meccanismo della vergogna39 il DOC può favorire l’insorgere del disturbo depressivo (perché la vergogna tende a separarci dalla dimensione sociale).40 41

La medesima meta-analisi di Jacobson e colleghi del 2017 aveva come obiettivo quello di analizzare l’influenza reciproca fra ansia e depressione. Il quadro risultante è molto complesso, diversificato in base al disturbo specifico preso in esame, e indicativo di un rapporto causa-effetto in entrambe le direzioni. Per quanto riguarda il meccanismo con cui l’ansia tende a favorire l’insorgere della depressione, gli autori di questa ricerca suggeriscono quanto abbiamo già accennato in apertura dell’articolo. L’ansia produce meccanismi di evitamento, e questi ultimi, specialmente se agiscono in un ambito interpersonale, possono deteriorare le nostre relazioni sociali. Ciò finisce per favorire l’isolamento e il senso di solitudine che contribuiscono alla stratificazione della patologia depressiva.42 43

Dall'ansia alla depressione

Dall’ansia alla depressione

L’ansia e la depressione sono due patologie interconnesse44, molto diffuse nella società contemporanea, ma sorprendentemente ancora prive di una comprensione solida e completa che ne metta in luce le reciproche interazioni in modo soddisfacente. Manca anche una descrizione approfondita e definitiva della relazione fra l’ansia, la depressione e la dimensione dell’ostilità, la quale fa capo all’emozione fondamentale della rabbia.45

Quel che si trova in letteratura è un insieme di indizi che abbiamo provato a riordinare secondo un approccio fruibile ispirato dal punto di vista delle neuroscienze affettive. Queste ultime concepiscono le emozioni come una sorgente profonda del nostro essere coscienti. Le emozioni toccano in modo intimo la nostra tendenza ad agire nel mondo. Ne impostano le modalità fondamentali. Con una metafora un poco banale, ma tutto sommato valida, potremmo dire che differenti emozioni attivano differenti atmosfere cosí come accade coi generi cinematografici, quali per esempio il drammatico, la commedia, l’horror, l’erotico e la fantascienza. Succede cosí che oggetti, persone e ambienti simili si trovino coinvolti in narrative diverse, le quali evocano ciascuna un insieme di significati distintivi e specifici.

La paura che alimenta l’ansia genera una tendenza ad evitare, e organizza il nostro comportamento attorno a un polo negativo, il quale sottrae attenzione ad altre possibili esperienze di emotività positiva.46 Chi ha paura non gioca, ad esempio. La depressione invece, è un’affettività negativa che non si organizza intorno a un polo preciso, è una mancanza generalizzata di voglia di fare che si ripercuote nel modo in cui giudichiamo noi stessi, il mondo e la vita.

Queste radici del sentire sono troppo importanti per non farne oggetto di comprensione. In questo scritto abbiamo presentato alcune delle idee più interessanti prodotte dalla letteratura scientifica, cosí da renderle disponibili nel lavoro di crescita interiore. La nostra sensibilità può svilupparsi, il tono affettivo delle nostre giornate può essere compreso, e il movimento delle emozioni non è sottoposto a nessun contratto col destino che abbia decretato la necessità dei momenti neri. È vero, ci sono diversi fatti della nostra vita che non possiamo cambiare a piacimento, ma l’atmosfera emotiva in cui farli confluire rientra nella sfera delle nostre possibilità. L’intento della nostra prosa è quello di sviluppare il miglior vocabolario per prendersi cura di tali possibilità, svelando cosí l’accesso a equilibri del vivere più elevati.


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Il contenuto di questo articolo non sostituisce il parere del medico.

BIBLIOGRAFIA

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Hoehn-Saric, Rudolf, and Daniel R. McLeod. “Anxiety and arousal: physiological changes and their perception.” Journal of affective disorders 61.3 (2000): 217-224.

Jacobson, Nicholas C., and Michelle G. Newman. “Anxiety and depression as bidirectional risk factors for one another: A meta-analysis of longitudinal studies.” Psychological bulletin 143.11 (2017): 1155.

Öhman, Arne. “Fear and anxiety: Overlaps and dissociations.” (2008).

Panksepp, Jaak, and Lucy Biven. The archaeology of mind: neuroevolutionary origins of human emotions (Norton series on interpersonal neurobiology). WW Norton & Company, 2012.

Stone, Leo. “Psychoanalytic observations on the pathology of depressive illness: selected spheres of ambiguity or disagreement.” Journal of the American Psychoanalytic Association 34.2 (1986): 329-362.

Watson, David. “Differentiating the mood and anxiety disorders: A quadripartite model.” Annual Review of Clinical Psychology 5 (2009): 221-247.

Watt, Douglas F., and Jaak Panksepp. “Depression: An evolutionarily conserved mechanism to terminate separation distress? A review of aminergic, peptidergic, and neural network perspectives.” Neuropsychoanalysis 11.1 (2009): 7-51.

1“Nella paura, gli organismi cercano di affrontare il pericolo, ma nell’ansia, la situazione non ammette modalità efficaci per essere affrontata” Öhman 2008, p. 724.

2“Nella paura, dunque, è un evidente (benché non necessariamente percepito con chiarezza) pericolo collocato nello spazio e nel tempo che bisogna affrontare; nell’ansia, invece, la natura e la collocazione della minaccia rimangono più oscure e quindi sono difficili da affrontare con manovre attive di difesa.” Öhman 2008, p. 710.

(Qui si potrebbe osservare che da un punto di vista delle rappresentazioni profonde che l’organismo ha del mondo, sarebbe meglio evitare di dire che il pericolo non è collocato esattamente nello spazio. Pare più primitiva proprio l’assenza di comportamenti efficaci di ingaggio. Il riferimento ad una posizione esatta nello spazio pare essere anzitutto una costruzione cognitiva dell’osservatore. Andando oltre con questo ragionamento, si potrebbe sostituire lo spazio con i percorsi, nell’ambito della gerarchia delle entità più primitive.)

3Considera: “Non ogni forma di ansia emerge dal sistema della PAURA” Panksepp and Biven 2012, p. 189.

4Vedi ad esempio Hoehn-Saric and McLeod 2000, p. 218.

5Considerando le reazioni corporee oggettive e soggettive osservate in soggetti normali durante lo stress acuto, era ragionevole aspettarsi che i pazienti con disordini di ansia cronica, i quali lamentano sensazioni corporee simili, avrebbero mostrato anche una sovreccitazione fisiologica a riposo o, almeno, una risposta più intensa agli stimoli stressanti. Non è questo però il caso nei pazienti con ansia cronica. La maggior parte dei pazienti non mostra segni di sovra-attivazione autonomica a riposo. Contrariamente alle aspettative, essi reagiscono con una più debole risposta fisiologia agli stimoli stressanti da laboratorio rispetto ai soggetti normali di controllo. I pazienti mostrano una forte reazione fisiologica solo a stimoli che sono stati associati con una paura patologica, come gli stimoli fobici.” Hoehn-Saric and McLeod 2000, p. 218.

“Contrariamente ai self-report, la maggioranza dei pazienti con ansia cronica mostra un’accresciuta tensione muscolare, possibilmente come espressione periferica di uno stato di iper-allerta, ma non sovreccitazione autonomica.” Hoehn-Saric and McLeod 2000, p. 223.

6“Complessivamente, questi dati mostrano che la paura intensificata (fobica) degli stimoli animali è associata con una distinta risposta psicofisiologica, suggerendo l’attivazione di una risposta del tipo attacco o fuga, la quale chiaramente differisce dallo schema elicitato da questi stimoli in partecipanti normali. Questa distinta risposta di paura indotta dagli stimoli nel caso di fobie specifiche contrasta con la risposta psicofisiologica allo stress vista in PD e GAD. Nonostante le descrizioni cliniche (confermate dai dati dei self-report) di un panico che implica un’attivazione del sistema simpatico simile a quella della paura (Öhman, 1993), la ricerca mostra che PD e GAD sono associati primariamente con un’attività autonomica improntata al riposo, e, se non altro, con una meno acuta reattività ai comuni compiti stressanti (Hoehn-Saric & MacLeod, 2000).” Öhman 2008, p. 723.

7“Mentre la PAURA induce un individuo a scappare da situazioni che intensificano l’ansia, il PANICO/PENA (pena della solitudine) promuove pensieri sugli oggetti d’attaccamento persi e spinge a cercare la compagnia delle persone che amiamo” Panksepp and Biven 2012, p. 190.

8Vi sono studi che tendono a collegare la sindrome dell’attacco di panico con un maggiore attivazione fisiologica:

“Confrontando i valori medi sulle nuove scale fra pazienti con uno dei quattro disturbi dell’ansia (gSAD, GAD, SP e PDA), la scala dell’attivazione somatica pareva essere specifica dei pazienti con disordine da panico.” Hollander-Gijsman et al. 2010, p. 203.

Per quanto detto nel testo sarebbe interessante andare a verificare di che tipo di attivazione si tratta. L’attacco di panico infatti, secondo la visione delle neuroscienze affettive, sarebbe generato anzitutto dal sistema emotivo della pena della solitudine, che tende ad attivare più il sistema parasimpatico (funzioni di recupero) piuttosto che quello simpatico (attivazione fisica immediata).

(Si tenga presente che livelli molto alti di paura possono provocare anche fenomeni di svenimento e di abbassamento delle attività sostenute dal sistema simpatico.)

9“In modo critico per la nostra discussione, i lavori classici sullo stress da separazione (Bowlby, 1980; Elliot & Scott, 1961; Panksepp, 1981) suggeriscono una fase iniziale di protesta (con una durata variabile in individui e specie differenti), seguita da una cosiddetta fase di disperazione, nella quale gli animali mostrano un analogo della depressione umana, caratterizzato da apatia, letargia, struggimento, ritiro sociale e diminuzione del pianto (Harris, 1989)” Watt and Panksepp 2009, p. 26.

10“Quindi, la più chiara differenza fra i profili di significato riguardava la realtà condivisa interpersonale: questa era chiaramente associata con la depressione ma non con l’ansia.”

Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1396.

11L’orientamento al passato della depressione è coerente con la rilevazione di distorsioni (bias) della memoria associati alla depressione:

“Phillips, Hine, e Thorsteinsson (2010) e Gaddy e Ingram (2014) hanno condotto una rivista meta-analitica della ricerca sui bias di memoria implicita e la depressione. In entrambi gli studi, i dati indicavano che la depressione era significativamente associata coi bias di memoria implicita. In contrasto, Mitte (2008), in una meta-analisi, non ha trovato nessuna relazione fra l’ansia e i bias di memoria implicita.”

E, sulla memoria implicita:

“È prassi comune distinguere fra bias di memoria esplicita (che coinvolgono il recupero cosciente di informazione dalla memoria di lungo termine) e bias di memoria implicita (che riguardano test di memoria implicita come ad esempio il completamento di parole).” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1392-1393.

12“Gli individui ansiosi hanno mostrato una tendenza molto più forte di quelli depressi a percepire il futuro come psicologicamente più vicino.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1392.

13“Comunque sia, la formulazione di Brenner generalizza progressivamente le sue inferenze, fino a che l’ansia viene a significare “qualcosa di brutto sta per accadere” mentre il tono depressivo viene a significare “qualcosa di brutto è accaduto””. Stone 1986, p. 338.

14“…la depressione risultò associata con la ruminazione, l’autocritica, e la mancanza di reinterpretazione positiva e di rifiuto. In contrasto (…) l’ansia risultò associata con il catastrofismo e la critica rivolta verso gli altri.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1397.

15“Per esempio, Williams, Watts, MacLeod, e Mathews (1997) hanno distinto tra processi veloci, “automatici” e percettivi, e processi più lenti, controllati e concettuali. Hanno sostenuto che l’ansia è associata più strettamente con i primi mentre la depressione con i secondi, cosí che non vi sono relazioni di tipo semplice tra i bias cognitivi e l’ansia o la depressione.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1392.

16Nel costruirsi un’immagine del proprio passato prossimo, i depressi tendono a riportare eventi di perdita, mentre gli ansiosi tendono a riportare maggiormente situazioni di possibile pericolo.

“Finlay-Jones e Brown (1981) hanno studiato i pazienti con disturbi d’ansia o depressione, ai quali era stato chiesto di identificare gli eventi di vita nei mesi precedenti l’instaurarsi del disordine. Eventi pericolosi (collegati a minacce future) furono ricordati dal 77% dei pazienti ansiosi, ma solo dal 47% dei pazienti depressi. In contrasto, il 65% dei pazienti depressi menzionò eventi di perdita (collegati al passato) contro solo il 15% dei pazienti ansiosi.”

Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1392.

17“Uno dei più influenti approcci teoretici alla comprensione delle differenze fra ansia clinica e depressione fu proposto da Beck (1976). In essenza, egli sostenne che i disordini dell’ansia sono caratterizzati da un focus eccessivo sul tema del pericolo; ciò implica l’esagerazione della portata della minaccia fisica o psicologica e anche l’esagerazione della probabilità e del costo del danno atteso. In contrasto, i pazienti depressi si focalizzano eccessivamente sui temi dell’auto-svalutazione; ciò produce credenze negative a riguardo di sé stessi, del mondo e del futuro. Queste credenze e temi sono rappresentati nella memoria da schemi cognitivi (definiti da Beck & Duzois, 2011, come “strutture cognitive ben organizzate di informazioni e memorie immagazzinate che formano il nocciolo delle credenze di base su sé stessi e sugli altri” (p.598).” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1397.

18“Ci sono importanti punti in comune nei processi coinvolti nel richiamare gli eventi passati e immaginare quelli futuri (Schacter et al., 2012). (…) Per esempio, MacLeod, Tata, Kentish, e Jacobsen (1997) hanno chiesto ai pazienti ansiosi e depressi di generare esperienze positive dal passato e dal futuro. I risultati furono molto simili per entrambi gli orientamenti temporali: gli individui depressi generano molte meno esperienze positive indifferentemente dalla collocazione dell’esperienza nel passato o nel futuro.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1394.

19“Armstrong e Olatunji hanno passato in rivista gli studi sul tracciamento degli occhi in tempo reale (online eye tracking) e hanno trovato che non c’era un bias attenzionale associato con l’ansia, ma che la depressione era associata ad un bias attenzionale opposto (gli stimoli positivi venivano evitati). Winer e Salem hanno esaminato gli studi sul compito del dot-probe task e hanno ottenuto risultati piuttosto simili.” Eysenck 2018, p. 1395.

20“Un bias attenzionale per le minacce, dunque, potrebbe essere un fattore importante che con un circolo vizioso prolunga l’ansia nel tempo…” Öhman 2008, p. 718.

“Se l’evento minaccioso che trattiene l’attenzione in questo modo è mentale (una memoria, un pensiero, un immagine), ciò è equivalente a rimanere intrappolati in una preoccupazione ruminativa. Quindi il sintomo centrale della GAD potrebbe provenire da problemi con il controllo dell’attenzione.” Öhman 2008, p. 718.

“C’è un’ampia letteratura (…) sulle funzioni cognitive nell’ansia, la quale documenta che l’ansia come tratto della personalità è associata con un bias attenzionale che si focalizza sull’informazione minacciosa presente nei dintorni.” Öhman 2008, p. 716.

21La depressione è associata anche con una difficoltà a a distaccarsi da un contenuto disforico.

“Armstrong e Olatunji (2012) hanno condotto un esame meta-analitico degli studi che impiegano il tracciamento degli occhi per valutare il bias attenzionale. L’ansia è risultata associata con un bias attenzionale. La depressione non è risultata associata con un bias intenzionale in termini di un orientamento iniziale verso la minaccia. Comunque, è risultata associata con una difficoltà a distaccarsi dal contenuto disforico.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1395.

22Il cuore concettuale del modello tripartito del 1991 potrebbe essere cosí riassunto:

“La depressione (ma non l’ansia) è caratterizzata da una relativa assenza di affettività positiva (o da manifestazioni di anedonia). In contrasto, l’ansia (ma non la depressione) è caratterizzata da sovreccitazione.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1394-1395.

23Anche Watson 2009 evidenzia come la mancanza di affettività positiva sia più specifica della depressione che non dell’ansia.

“In accordo con i modelli tripartito e integrativo gerarchico, la scala IDAS Well-Being mostra la più impressionante specificità in questi dati: essa è correlata molto più nettamente con la depressione (valore medio di r = -0.56) che con l’ansia (valore medio di r = -0.32) in entrambi i campioni.” Watson 2009, p. 239.

24Un’altra critica importante che è stata portata a questo modello consiste nel fatto che l’affettività negativa dell’ansia e quella della depressione non sono la medesima cosa, bensì si caratterizzano con tratti distinti, come abbiamo avuto modo di segnalare in più parti del presente articolo.

Un’ulteriore critica importante riguarda il fatto che Clark e Watson nel modello originale hanno posto la dimensione affettiva positiva e la dimensione affettiva negativa su un’unica scala come fossero degli opposti di un medesimo spettro. Ma vi sono analisi che mostrano come queste due dimensioni si comportino come fattori indipendenti. Per approfondire i possibili sviluppi del modello tripartito di Clark e Watson si veda Hollander 2010

25La ridotta attivazione fisiologica nel caso dell’ansia generalizzata potrebbe forse essere interpretata come una conseguenza della mancanza di una possibilità di fuga da mettere in atto.

26“In aggiunta alle manifestazioni cronicamente iperattive dei sistemi della PAURA e del PANICO/PENA, il PTSD è uno stato di terrore spesso accompagnato da rabbia…” Panksepp and Biven 2012, p. 191.

27Öhman 2008, p. 711.

28“Shapiro e Crider (1969) hanno esaminato la vecchia letteratura e hanno concluso che ‘i tentativi organizzati di affrontare le minacce ambientali sono accompagnati da una reazione del sistema autonomo, là dove la disorganizzazione e l’attitudine difensiva sono correlate con un ridotto coinvolgimento del sistema autonomo’” Hoehn-Saric and McLeod 2000, p. 221.

29La serie che proponiamo mantiene una buona corrispondenza con la contrapposizione fra un polo dominato dall’attivazione fisiologica tipica della paura e un polo caratterizzato da una bassa affettività positiva. Vedi al riguardo le seguenti citazioni:

“Specialmente bassa è la correlazione tra la bassa affettività positiva e la paura fobica: r = .26, il che suggerisce come queste scale potrebbero differenziare in modo adeguato la depressione dai disordini della famiglia dell’ansia.” Hollander-Gijsman et al. 2010, p. 202

“I pazienti con un punteggio elevato sulla bassa affettività positiva tendono ad appartenere al gruppo con la depressione (punteggio medio DEP = 4.36, S.D. = .64 contro un punteggio medio ANX = 3.70, S.D. = .82) e i pazienti con un punteggio alto nella paura fobica tendono maggiormente ad appartenere al gruppo con disordini dell’ansia.” Hollander-Gijsman et al. 2010, p. 202

“Come previsto, i pazienti con depressione avevano un punteggio maggiore nella scala LPA (low positive affect) rispetto ai pazienti senza un disordine dell’umore o di natura ansiosa (punteggio medio DEP = 4.36, S.D. = .64 rispetto ad un punteggio medio NO ANX/DEP = 3.60, S.D. = .79, p = .000) e i pazienti con un disordine dell’ansia avevano un punteggio più alto sulla scala PF rispetto ai pazienti senza un disordine dell’umore o di natura ansiosa.” Hollander-Gijsman et al. 2010, p. 202

30“Nell’ambito della letteratura sulla genetica del comportamento sta emergendo una distinzione tra i disordini collegati primariamente alla paura come le fobie specifiche da un lato, e i disordini di natura primariamente ansiosa (PD, GAD, PTSD) e la depressione dall’altro.” Öhman 2008, p. 722.

31“Quindi, è ragionevole parlare di fobie specifiche come di disordini legati esclusivamente alla paura, degli attacchi di panico e forse in particolare della GAD come di disordini primariamente legati all’ansia, e della fobia sociale e del PTSD come disordini collegati sia alla paura sia all’ansia. Tale conclusione è ulteriormente supportata dai dati sulla comorbiditá, che mostrano soltanto una lieve comorbiditá con altri disordini del DSM appartenenti alla famiglia dell’ansia e con la depressione per quanto riguarda le fobie specifiche; un certo grado di comorbiditá del medesimo tipo per quanto riguarda la fobia sociale; e un considerevole grado di comorbiditá del medesimo tipo per quanto riguarda PTSD, PD e GAD (Brown et al., 2001).”

Öhman 2008, p. 725.

32La lettura dei dati di Jacobson e colleghi 2017 (in particolare le tabelle 9 a pagina 1169 e tabella 8 a pagina 1168) suggerisce che l’interazione maggiore col disturbo depressivo si ha per il gruppo GAD PTSD e PD, valori più bassi si hanno per le fobie specifiche, e valori intermedi per la fobia sociale. Anche questi dati supportano lo schema che abbiamo proposto. Vi sono comunque alcuni altri dati nella medesima ricerca che posizionerebbero il disturbo da ansia generalizzata ad livello di interazione inferiore rispetto a PTSD e PD. Vedi tabella 10 a pagina 1170.

33Anche Watson 2009 concorda nel contrapporre le fobie specifiche nei confronti di GAD, PD e PTSD, considerando questi ultimi più prossimi alla depressione. Watson include in questo gruppo anche l’OCD. E considera le fobie sociali come intermedie fra tale gruppo e le fobie specifiche. Il che ha senso in quanto la patologia depressiva ha una profondo legame con la dimensione interpersonale. Watson d’altra parte tende a porre il disturbo da attacchi di panico nello stesso gruppo dei disturbi della paura. Mantiene comunque una struttura in cui a un capo stanno le fobie (disturbi della paura) e all’altro capo il disturbo depressivo (incluso nei distress disorders). E qui è interessante ricordare che Panksepp riteneva la pena della solitudine essere un caso paradigmatico di stress. Quest’ultimo tema può essere approfondito leggendo il nostro articolo su stress e depressione.

Noi abbiamo preferito mantenere gli attacchi di panico prossimi alla depressione seguendo il punto di vista di Panksepp e delle neuroscienze affettive. Tra l’altro Panksepp osserva che alcuni farmaci attivi contro l’ansia (sistema emotivo della paura) sono inefficaci contro gli attacchi di panico.

“Anzitutto, i disordini dell’ansia mostrano una correlazione piuttosto differenziata rispetto alla depressione maggiore e al disordine distimico. Specificatamente, questi disordini dell’umore sono fortemente comorbidi con la GAD; mostrano una più moderata associazione con il PTSD, con i disordini da panico, il DOC e la fobia sociale; e sono collegati debolmente con l’agorafobia e le fobie specifiche.” Watson 2009, p. 241.

“La GAD mostra la maggiore comorbiditá coi disordini unipolari dell’umore del DSM, con una media pesata di correlazione tetracorica di 0.64 e 0.66, rispettivamente, con la depressione maggiore e il disordine distimico. Il PTSD, il disordine da panico, il DOC e la fobia sociale mostrano associazioni più moderate con i disordini dell’umore, con coefficienti medi che variano da 0.48 a 0.57 (media complessiva r=0.52). L’agorafobia e le fobie semplici/specifiche, infine hanno il legame più debole con i disordini dell’umore, con valori medi che variano fra solo 0.41 e 0.48 (media complessiva=0.44).

Inoltre, la GAD mostra un maggior legame con questi disordini dell’umore (media r=0.65) che con altri disordini dell’ansia del DSM (range=da 0.42 a 0.58; media r=0.51).” Watson 2009, p. 225.

“Slade & Watson (2006) hanno ulteriormente esteso questa linea di evidenza definendo un set allargato di disordini dell’ansia. Essi hanno dimostrato che la depressione maggiore, il disordine distimico, la GAD e il PTSD definiscono nel loro insieme il fattore ansia-miseria (anxious-misery), là dove il disordine da panico, l’agorafobia, la fobia sociale e il DOC individuano la paura.” Watson 2009, p. 226.

Nelle conclusioni, Watson cosí si esprime: “Di conseguenza, le analisi strutturali indicano in modo consistente che la depressione maggiore, il disordine distimico, la GAD e il PTSD individuano un fattore, là dove il disordine da panico, l’agorafobia, la fobia sociale e le fobie specifiche ne definiscono un altro. (…) ha più senso organizzarli in disordini dello stress (distress) e della paura, rispettivamente.” Watson 2009, p. 241.

34Sarebbe interessante chiedersi se lungo questa disposizione di patologie è anche lecito ipotizzare un continuum che vada da un massimo di definitezza del pericolo delle fobie specifiche a un malessere dovuto ad indeterminatezza nel caso della depressione. L’interesse di tale approccio deriva dal fatto che il grado di determinatezza potrebbe essere una proprietà molto primitiva degli schemi rappresentativi prodotti dal sistema nervoso. D’altra parte è evidente che la complessità sottostante dei fenomeni in esame necessita di agganciare un tale approccio a dei dati oggettivi non semplici da reperire e da interpretare.

35Il punto di giunzione fra paura e panico (grief) sembra essere lo spaesamento. La mancanza di un comportamento di fuga. La scelta di impiegare l’espressione “comportamento di fuga” anziché via di fuga è nostra, e nasce dalla considerazione che lo spazio geometrico tridimensionale è una costruzione cognitiva elevata, mentre la disponibilità di comportamenti specifici è un tratto molto più primitivo della vita organica cosí come è “vista” dall’organismo. Lo spazio geometrico tridimensionale è pensato da noi, ma non è diffusamente percepito dalle nostre strutture nervose. (Lo spaesamento e la mancanza di comportamenti di fuga si pongono come dei gradi di definitezza. Vedi nota precedente)

36“la sottoscala SCOPI Rituali Compulsivi corrisponde alla sottoscala OCI-R Ordine (r=0.64)” Watson 2009, p. 234.

37Considera anche questo commento: “Le scale che vanno a determinare i pensieri intrusivi e ricorrenti mostrano in modo consistente il legame più forte con la depressione; tutte le altre associazioni sono relativamente basse.” Watson 2009, p. 236.

“Mataix-Cols et al. (2005) hanno passato in rivista i risultati di 12 importanti studi analitici fattoriali e hanno identificato quattro dimensioni di sintomi altamente replicabili: (a) simmetria e ordine, (b) pulizia e contaminazione, (c) ossessioni e controllo, e (d) accumulazione.” Watson 2009, p. 234.

38Sul DOC riportiamo le seguenti citazioni:

“Similmente, anche se i sintomi del DOC sono diffusi nella popolazione generale, (Watson & Wu 2005, Watson et al. 2004), la sindrome completa è infrequente e spesso è esclusa dalle analisi strutturali.” Watson 2009, p. 227.

“L’evidenza disponibile è limitata, ma suggerisce che i sintomi del DOC abbiano una specificità minima o nulla nei confronti degli indicatori tradizionali di ansia e depressione” Watson 2009, p 235.

“Queste correlazioni sono ovviamente di una grandezza molto inferiore rispetto a quelle per il PTSD: là dove la correlazione fra i sintomi del PTSD e la depressione tipicamente si trovano nel range tra 0.45 e 0.75, i corrispondenti valori per le scale DOC si collocano generalmente tra 0.25 e 0.45.” Watson 2009, p. 235.

39“Inoltre, la vergogna mediava trasversalmente (cross-sectionally) la relazione tra DOC e sintomi depressivi” Jacobson and Newman 2017, p. 1170.

40È significativo che il DOC sembri condurre alla depressione più nettamente che non il contrario, il che concorda con l’idea della mediazione da vergogna. È significativo anche che le fobie specifiche e sociali siano causate dalla depressione più di quanto esse non causino la depressione. Jacobson and Newman 2017, tabella 10 a pagina 1170.

41Coerentemente con questa distribuzione dello spettro, la fobia specifica, non sociale, è il disturbo che meno accresce la probabilità di sviluppare la patologia depressiva. La fobia sociale accresce maggiormente tale probabilità, e valori più elevati ancora si riscontrano per il gruppo GAD, PTSD e PD. Da notare che per il DOC si riscontrano valori molto elevati. Come suggerito nel testo, è possibile che il passaggio da DOC a Depressione sia mediato dalla vergogna.

Jacobson and Newman 2017, Tabella 9 a pagina 1169.

42“Quindi, anche se c’è bisogno di effettuare più ricerca, i ritrovamenti preliminari suggeriscono che l’evitamento e le relazioni interpersonali siano fattori mediatori fra un’ansia iniziale e una successiva depressione, e ciò è valido sia a livello di sintomi che di diagnosi del disordine.” Jacobson and Newman 2017, p. 1171

43Anche degli studi sulle interazioni emotive da un giorno al successivo mostrano un ruolo significativo del contesto interpersonale per comprendere come l’ansia causi la depressione. Sembra che le giornate di ansia tendano a provocare delle giornate in cui si tende ad essere più depressi, soprattutto se l’ansia coinvolge la dimensione interpersonale.

“L’ansia in un qualsiasi giorno prediceva in modo evidente la depressione 1,2,3, e 4 giorni dopo. Per contrasto, la depressione non prediceva l’ansia nei giorni successivi. Questa parziale dipendenza dell’umore depresso dal precedente umore ansioso è di potenziale importanza.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1398

“L’umore ansioso era più efficace nel predire il successivo umore depresso nei giorni in cui i pazienti esperivano problemi interpersonali e percepivano un rifiuto. Gli autori hanno anche riscontrato che l’umore ansioso e quello depresso erano più strettamente correlati nei giorni in cui i pazienti ruminavano sulla propria ansia o vedevano i propri sintomi ansiosi in un modo più negativo. In linea di principio, tale ricerca potrebbe chiarificare le modalità in cui la preoccupazione e la ruminazione si attivano a vicenda.” Eysenck and Fajkowska 2018, p. 1398.

44“Inoltre, nel corso della loro vita, dal 49% all’81% delle persone con un disordine depressivo hanno soddisfatto i criteri diagnostici per un disordine dell’ansia, e dal 47% all’88% di quelli con un disordine dell’ansia hanno soddisfatto i criteri per un disordine depressivo” Jacobson and Newman 2017, p. 1155

45In un articolo sulla differenza tra ansia e depressione, cosí si esprimono gli autori:

“La scala dell’ostilità non contribuiva alla funzione discriminante. (…) Comunque, l’ostilità è clinicamente rilevante e sottostimata nei nostri sistemi correnti di classificazione.” Hollander-Gijsman et al. 2010, p. 203

46In precedenza abbiamo osservato che una persona propensa agli stati ansiosi non è priva di momenti di affettività positiva. Ciò che stiamo osservando in questo passaggio si riferisce invece al fatto che mentre l’affettività positiva è ridotta nel momento in cui l’ansia attivamente percepita. (La persona ansiosa può esperire momenti di affettività positiva, ma difficilmente questo accade nei momenti di ansia.)

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