FESTIVAL DI SANREMO 2012: COMMENTO AI TESTI DELLE CANZONI

CRITICA TAGLIENTE E SEMISERIA ALLE CANZONI DEL FESTIVAL – LE FRASI DA SALVARE

Anche quest’anno il Festival della Canzone Italiana di Serie B è riuscito a mantenere invariato il livello dei testi al quale ci ha abituato per mezzo di lunghi anni di severa disciplina artistica. Naturalmente io sono fra i pochi privilegiati che sanno già chi è il vincitore di questo Sanremo, ma non posso dirvelo per non rovinarvi lo spettacolo. Voglio invece entrare nel merito dei testi delle canzoni andando a vedere come si sono comportati i cantanti in gara, cercando per ciascuno le frasi da salvare.

Dolcenera – Ci vediamo a casa

-La chiamano realtà
-Grande cattedrale ma che non vale un monolocale
-Forma culturale che da tempo non fa respirare

Dopo aver parlato di una cattedrale le deve essere piaciuto molto il contrasto creatosi nel dire monolocale, per cui l’ha detto subito un’altra volta. Questo accostamento di termini non ha un effetto “piacevole” ma potrebbe rimanere nella memoria, sia per l’immagine sia per il significato.
Trovo un po’ riduttivo assumere come ideale il ritrovarsi a casa qualunque cosa accada, ma devo anche ammettere che è in linea coi tempi. Esattamente come lo scetticismo su alcune delle cose più belle della società come la libertà, le opportunità e la cultura. L’espressione qualunque cosa accada per un verso non mi dice nulla, nel senso che non evoca in me un’immagine precisa, ma poi la trovo adatta ad accogliere in sé le sensazioni della crisi.

Marlene Kuntz – Canzone per un figlio

-Se sai bene ciò che fai la felicità sarà sempre raggiungibile

Può anche essere che l’autore di questa canzone mi stia tanto più simpatico di molti altri cantanti del festival, ma questo testo non incontra il mio gusto. Dice troppo direttamente e discorsivamente ciò che vuole senza creare un sistema di metafore, di immagini. Sono frasi più che versi.

Samuele Bersani – Un pallone

-Quando gli manca un metro a una lunga discesa, una scheggia di vetro lo ferma perché è contraria alla libera impresa. Un pallone bucato non è più di nessuno , anzi viene scansato da tutti i bambini
-Per non sentirsi un pallone perso

Non mi è semplice capire se il pallone delle ultime righe è ancora quello che è stato bucato poco prima o se ne è saltato fuori un altro. Questo pallone si muove fra una gran varietà di scene fra cui non è agevole distinguere. A giudicare da come parla della vigliaccheria sembra che sia dotato di una discreta carica di impegno civile.
In questa canzone c’è molta materia prima, ma la forma in cui è organizzata potrebbe essere migliore. Bersani ha l’ispirazione e riesce in parte a trasformarla in immagini, ma gli manca ancora qualche passaggio artistico con cui consegnarci un testo dotato di una narrazione più limpida e chiara, con un punto di arrivo in base al quale decidere gli sfrondamenti. Comunque lui è uno di quelli che non butteremmo giù dalla torre.

Chiara Civello – Al posto del mondo

-Le parole non parlano più
-Più in alto di questo cielo
-Dolce evasione negli occhi

Le parole che non parlano più mi piacciono. I passi passati invece non sono un accostamento “bello” ma sembrano poter dire qualcosa. Questa canzone parla d’amore e a tratti cade nel già visto, ma non si lascia liquidare troppo facilmente. Si muove fra l’ispirazione ed il banale, toccando entrambi. Mi pare che non chiuda gli orizzonti ad una buona interpretazione.

Nina Zilli – Per sempre

-Torna la fame
-E invece di morire ho imparato a respirare
-Se perdo in amore perdo te

Torna la fame è la frase chiave, con quel ragionamento sull’orgoglio che la precede. Tutta la canzone trova compimento in questo verso e nel titolo (la bugia accettata per soddisfare la fame). C’è dunque una struttura narrativa, e lo si vede anche nella frase Ma illudimi che sia per sempre, che funziona appoggiandosi al verso precedente in cui l’illusione non era esplicita: Allora ti direi stavolta sarebbe per sempre.
Peccato che nel racconto dell’accaduto manchino le ispirazioni capaci di dargli più spessore.

Pierdavide Carone e Lucio Dalla – Nanì

-Una bocca senza il suo sapore
-Annusare il tuo mestiere
-C’è un camionista da accontentare

Cercare il mondo che non c’è: di per sé non è una frase molto interessante, ma lo diventa nel contesto in cui è posta. Versi interessanti in questa canzone ce ne sono e sarò curioso di sentirla cantare. Ma ci sono anche delle cadute di stile. Il ritornello non è da buttar via, ma non è all’altezza di una canzone di prim’ordine.
Per quanto riguarda il contenuto, sento qualcosa di vecchio in queste parole: non saprei dire se ai giovani di oggi appaia verosimile perdere la verginità con venti euro dati a una prostituta, ma di sicuro non sarebbero tanto romantici da chiederle di venir via con loro. Li vedo più cinici.

Eugenio Finardi – E tu lo chiami Dio

-Io non do mai nomi a cose più grandi di me
-Su questo piano che si chiama terra

Questa è una di quelle canzoni che sembrano scritte da un autore che voleva dire qualcosa, ma secondo me il dolore e l’amore ce li ha messi solo perché fanno rima. Inoltre la mia religione non accetta canzoni fatte perlopiù da termini privi di sostanza precisa, e non basta dire una volta ospedale per renderli più concreti.
Introdurre una frase come io non sono come te per poi trasformarla in io sono come te crea un minimo di movimento narrativo, ma non basta…

Irene Fornaciari – Grande mistero

-Continuerà a domandarlo il merlo picchiando la grondaia col becco sfoderato che è l’unica sua spada

Leggendo questa canzone mi sono un po’ stupito della ricchezza e della validità delle immagini, insolita per Sanremo; poi ho dato un’occhiata all’autore del testo e ho inquadrato meglio la situazione. Fra i versi che preferisco: le lune a dondolo, le curve che non sai, le monete di sole e la scena del merlo. Le palle di ghiaccio colpite di testa ed il boato sotto il respiro hanno invece qualcosa di anomalo. Sono versi che potrebbero rientrare comodamente nello stile vocale del loro autore, ma cantati da qualcun altro potrebbero non funzionare altrettanto bene.

Arisa – La Notte

-La testa parte e va in giro in cerca dei suoi perché
-Il dolore sul foglio è seduto qui accanto a me

Oltre alle frasi che ho trascritto è vagamente interessante anche il confronto fra le parole nell’aria e quelle scritte. Ma questa canzone è troppo calibrata sull’acquirente adolescente perchè se ne possa parlare seriamente.

Francesco Renga – La tua bellezza

-Mentre giri sull’ultima giostra come sopra due metri di onda

Per fortuna il mio compaesano non ha scritto uno dei testi peggiori di questo Sanremo 2012. Il punto di vista del maschio che si spaventa e la bellezza furiosa e nobile sono sufficienti ad allontanarci dai paesaggi della peggiore banalità che ha finito per diventare un marchio di fabbrica degli ultimi Festival, ma manca quel qualcosa in più per uscire dal campo del ragionamento ed entrare in poesia.

Emma Marrone – Non è l’inferno

-Se sapesse che fatica ho fatto per parlare con mio figlio

C’è un bel rapporto fra la canzone ed il titolo, che è quello giusto per essere arricchito dal racconto del testo. Anzi, sembra che per prima cosa sia stata definita l’immagine del titolo, e che solo in seguito qualcuno sia andato in giro per i sondaggi a raccogliere i pezzi di crisi più frequenti per ricomporli creando la canzone. Sembra… Sembra anche che quel qualcuno abbia dato un’occhiata alla composizione del pubblico tipico del Festival di Sanremo, e che poi abbia pensato a qualcosa per tirarsi le simpatie dei più anziani, perchè tanto i fans della Marrone la voteranno anche senza una buona canzone…

(P.S. A parte il buonismo eccessivo, ma i riferimenti iniziali alla guerra ce li dovevano proprio mettere?)

Gigi d’Alessio e Loredana Bertè – Respirare

-Sono chiusa a chiave

È l’elogio di un certo tipo femminile che dice frasi brevi e ama vedersi in battaglia contro il mondo. Personalmente potrei anche apprezzarlo, ma mi piacerebbe vedere qualche riflessione più strutturata, e non soltanto frammenti di un mondo a suo modo incantato che rifiuta il divenire.

Matia Bazar – Sei tu

-Sei geniale nel fare del male
-E spari su di me
-Petali di ghiaccio sciolti sulla via

C’è il mestiere, c’è l’introduzione, c’è l’impostazione, e ci sono anche alcune frasi buone. Ma il ritornello lascia un po’ a desiderare, e manca il solito qualcosa in più che tanto servirebbe. Perfetto per Sanremo.

Noemi – Sono solo parole

Cos’è, uno scherzo?

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LA MORTE DELL’AUTORE: NON SOLO LETTERATURA

RIFLESSIONI SULLO SCRITTO DI ROLAND BARTHES
[1]

LA CHIUSURA DELLE POSSIBILITA’

Roland Barthes

Roland Barthes

Il pensiero dell’individuo è aperto a molteplici possibilità che le parole scritte possono evocare o allontanare. Se immaginiamo il pensiero del lettore come la grande luce piena di un riflettore, allora ogni lettura è un foglio nero in cui sono aperti degli spazi, e dopo aver messo il foglio davanti alla luce, solo una parte dei pensieri rimane possibile. Cambiare lettura equivale a cambiare il foglio che mettiamo davanti alla luce. Scrivere un’interpretazione invece, significa mettere un secondo foglio in aggiunta al primo; i pensieri che rimarranno possibili saranno molti di meno, solo quelli che troveranno la coincidenza fra le aperture del primo foglio e quelle del secondo. È in questo modo che l’interpretazione di un’opera può chiuderne gli orizzonti, diminuendo le possibilità di intenderla. In questo senso, chiudere un testo non è in sé né male né bene. Se ci piacciono le possibilità rimaste aperte allora saremo felici di averle rese più evidenti, e viceversa.

Un funzionario del potere competente e dotato di una visione di lungo periodo si preoccuperà di favorire visioni del mondo coerenti con i propri interessi, scegliendo le interpretazioni compatibili con i pensieri amici. E il critico letterario sarà benvenuto presso le parti politiche di cui condivide il sistema di valori. Barthes, che non ha simpatia per “il sistema”, assume una posizione che contrasta con questo stato di cose.

Non saprei dire se le premesse storiche utilizzate da Barthes sono sufficienti a sostenere il suo ragionamento o se sono valide soltanto come un’introduzione, ma anche con questi dubbi riguardanti le radici della sua riflessione è possibile vederne chiaramente l’effetto: la morte dell’autore funziona come uno slogan per disconnettere il passato dell’autore dal tessuto del testo, al fine di contestare la critica e di favorire una lettura sincronica.[2]
La critica letteraria che Barthes prende di mira produce infatti delle interpretazioni di tipo diacronico[3]: essa riconduce il valore dell’opera letteraria alle dinamiche del passato che l’hanno generata, con un percorso a ritroso che risale dallo scritto fino alle presunte intenzioni dell’autore. Dunque, se il terreno su cui pascola il critico sono i percorsi del passato e la volontà dell’autore, ecco che Barthes costruisce uno scriptor dotato soltanto di un Qui ed Ora e privo di intenzioni, una sorta di nuda capacità procedurale. Facendo morire l’autore, Barthes rompe il giocattolo della critica.

UN’ATTITUDINE MENTALE

Al di là delle premesse e delle conseguenze della morte dell’autore, vale la pena compiere alcune osservazioni sul modo in cui essa si struttura. L’eliminazione dell’autore viene anzitutto articolata come rifiuto del tempo precedente alla scrittura durante il quale l’autore concepisce l’opera, e facendo coincidere l’esistenza dello scriptor con l’atto dello scrivere.

L’autore, quando gli si crede, è sempre concepito come il passato del suo libro: il libro e l’autore si posizionano automaticamente su di una singola linea divisa in un prima ed un dopo.[4]

In contrasto completo, il moderno scriptor nasce simultaneamente col testo, non è in alcun modo fornito di un essere che precede lo scritto o si estende oltre di esso, non è il soggetto con il libro come predicato; non c’è altro tempo di quello dell’enunciazione, ed ogni testo è eternamente scritto qui ed ora.[5]

Questa enfasi posta sul momento dello scrivere può anche produrre un certo entusiasmo nel lettore, il quale può proiettare sé stesso in una modalità scrivente che sfiora la dimensione del sacro, ma l’eccitazione è destinata a scemare quando vediamo Barthes ridurre le capacità dello scrittore ad una mera ricombinazione di un patrimonio di elementi preesistenti, privandolo esplicitamente di ogni emotività personale.

Il suo unico potere è di combinare le scritture, contrapponendo le une alle altre, in modo tale da non rilassarsi su nessuna di esse.[6]

Successore dell’autore, lo scriptor non porta più con sé passioni, umori, sentimenti, impressioni…[7]

Barthes è abile a prepararne l’entrata in scena, ma il concetto di scriptor è insostenibile là dove viene confrontato con la complessità storica dell’individuo reale che ha prodotto l’opera. Il rifiuto della durata temporale può attribuirsi (forzando un po’ la mano) al solo momento di definizione delle esatte parole che costituiscono il testo, ma non all’intero processo di creazione dell’opera, che tra l’altro vede l’autore divenire lettore di sé stesso al fine di compiere una validazione o un’autocritica. Nel processo di messa a punto del dispositivo letterario l’autore non può essere considerato indipendente dalla propria storia. L’unico modo di avere uno scriptor verosimile è intenderlo come una sottoparte dell’autore reale, come una sorta di microclima mentale caratteristico del momento dello scrivere.

La morte dell'autore

La morte dell’autore

ALLEGGERIMENTO E APERTURA DEL SOGGETTO

Leggendo l’articolo di Barthes si percepisce un’esigenza di maggiore impersonalità; questo termine può essere inteso come la sostituzione di un Io monolitico e ingombrante con una creatura molteplice e sfuggente. In conseguenza di ciò l’autore non entra più a gamba tesa nello scritto, ma con mano leggera si occupa di manovrare una varietà di meccanismi che daranno luogo alla bellezza del tessuto di parole, accompagnato dalla consapevolezza della propria specifica identità acquisita con l’esperienza.
Ma nello scritto di Barthes intravedo una versione perversa dell’impersonalità che ci chiede di gettare via la nostra storia, sia in qualità di scrittori che di lettori. Si tratta di una richiesta a cui difficilmente si può dare una risposta positiva.

UN RESIDUO CHE NON SI PUO’ ELIMINARE

Esponendo il concetto di morte dell’autore, Barthes sostiene che le storie narrate sono altro dalle storie vissute dall’autore, e che la linea principale di narrazione non è aderente al vissuto dell’autore. Di conseguenza considera inconsistente la pratica con cui il critico letterario decifra la linea narrativa riconducendola a tale vissuto.
Ma anche se non c’è un trasferimento diretto delle storie dell’autore dentro il testo, deve comunque esserci una specificità dell’autore che passa nell’opera, altrimenti gli autori sarebbero banalmente uno uguale all’altro. Quindi, a rigore, sussiste sempre la possibilità di impostare un’interpretazione dello scritto che risalga ai tratti specifici delle sue origini.

DOVE STA IL PROGRESSO

Complessivamente la morte dell’autore mi appare come una questione controversa[8]. Come lettori, il migliore uso che possiamo fare di questa immagine è intenderla come un invito a mettere temporaneamente da parte le cause del passato, simboleggiate dall’autore. Così facendo si pongono le condizioni per perdersi nel presente, interpretando lo scritto in base alla relazione tra le parti, evitando di riferirsi ad un altrove. Questo modo di dare fiducia al testo favorisce la creatività nella misura in cui la riflessione opera su strutture di cui dispone pienamente, non interrotta dalla necessità di effettuare delle ricerche nelle tracce del passato per verificare le linee causali. Lo svantaggio, ovvio, è che si rinuncia a certificare ed arricchire l’analisi con il contenuto di informazione presente nel passato.
Per come la vedo io, il progresso consiste nel trovare i fattori qualitativi in grado di indicare quando è necessario interrompere l’analisi sincronica per passare ad una verifica diacronica. Desiderosi di compiere immersioni nelle varie località del Qui ed Ora, abbiamo bisogno di un metodo che ci indichi il momento giusto per tornare nel contesto globale della Storia.[9] [10]

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NOTA BIOGRAFICA

Roland Barthes

Roland Barthes

Roland Barthes nasce in Normandia, nel nord della Francia, il 12 Novembre 1915. Il padre muore in guerra l’anno successivo, e la madre Henriette lavora come rilegatrice di libri per mantenere la famiglia. Roland si laurea alla Sorbona in letteratura classica e poi in grammatica e filologia. Passa diversi anni in alcuni sanatori per via della tubercolosi. Nel 1953 pubblica “Il grado zero della scrittura” e nel 1967 “La morte dell’autore”. Nel 1970 pubblica “S/Z”, un’analisi di “Sarrasine”, una novella di Balzac. L’ultimo libro prima della morte è “La camera chiara”, sulla fotografia, del 1980. Roland Barthes era legatissimo alla figura della madre; era gay, protestante, interdisciplinare, contro il sistema.

 

  1. [1]Questo documento contiene le mie riflessioni a riguardo del testo di Roland Barthes: “The Death of the Author”, del 1967. Mi sono riferito alla versione in inglese di cui riporto i riferimenti: “Image, music, text” 1977 Pagg 142-148 editore: Fontana, Londra – ISBN/ISSN: 0006861350 – Traduzione in inglese di S. Heath. Il pdf si trova a questo indirizzo: http://smile.solent.ac.uk/digidocs/live/Furby/Text/Barthes.pdf. Le citazioni in italiano sono una mia traduzione dall’inglese.
  2. [2]Che esamina il presente senza fare ricorso agli avvenimenti del passato e quindi al divenire.
  3. [3]Estese nel tempo: che prendono in considerazione il presente in base a come si è creato a partire dal passato.
  4. [4]“The Author, when believed in, is always conceived of as the past of his own book: book and author stand automatically on a single line divided into a before and an after.”
  5. [5]“In complete contrast, the modern scriptor is born simultaneously with the text, is in no way equipped with a being preceding or exceeding the writing, is not the subject with the book as predicate; there is no other time than that of the enunciation and every text is eternally written here and now.”
  6. [6]“His only power is to mix writings, to counter the ones with the others, in such a way as never to rest on any one of them.”
  7. [7]“Succeeding the Author, the scriptor no longer bears within him passions, humours, feelings, impressions…”
  8. [8]Io ad esempio, in quanto autore, non sono molto disposto a suicidarmi.
  9. [9]È chiaro che il movimento fra la Storia e le località del Qui ed Ora si verifica molte volte, non si tratta di un singolo evento isolato.
  10. [10]Questo ragionamento è stato introdotto in riferimento al ruolo di lettore, ma non si esaurisce con esso.