RIFLESSIONI SUI CONCETTI PRINCIPALI DEL LIBRO DI JACQUES MONOD: IL CASO E LA NECESSITÀ.[]
LE TRE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEI VIVENTI
LA DIFFERENZA FRA TELEONOMIA ED INVARIANZA
LA STRUTTURA DELLE PROTEINE
IL CASO
LA NECESSITÀ NEL DISCORSO SELEZIONISTA
IL BISOGNO DI SPIEGAZIONI
IL CONFLITTO FRA LA SCIENZA E LE SPIEGAZIONI
CONCLUSIONI: VERITÀ O VOLONTÀ?
NOTA BIOGRAFICA
LE TRE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEI VIVENTI
Jacques Monod
Jacques Monod inizia questo libro proponendosi di stabilire come distinguere gli oggetti naturali dagli oggetti artificiali prodotti da una creatura intelligente. Inizialmente prende in considerazione la regolarità e la ripetizione come proprietà tipiche degli oggetti artificiali, ma finisce per constatare che questi criteri strutturali non sono adeguati allo scopo, in quanto presenti anche negli esseri viventi (i quali sono considerati come oggetti naturali), oltre che nei cristalli e nei prodotti di alcuni animali, come ad esempio i favi delle api.
Successivamente Monod sposta l’attenzione sulla definizione di alcune proprietà di carattere diacronico[] che consentono di individuare in modo oggettivo gli esseri viventi. La prima caratteristica fondamentale dei viventi, a cui viene dato il nome di teleonomia,[] è che sono oggetti dotati di un progetto. Questa proprietà non è però sufficiente da sola a distinguere gli esseri viventi dagli oggetti artificiali, in quanto anche questi ultimi sono dotati di un progetto.
Il passaggio successivo consiste nell’osservare che, mentre la costruzione degli oggetti artificiali avviene principalmente per mezzo dell’azione di agenti esterni, gli esseri viventi si costruiscono da sé. Questa proprietà viene chiamata morfogenesi autonoma.[]
La terza caratteristica degli esseri viventi è costituita dal “potere di riprodurre e di trasmettere l’informazione corrispondente alla loro struttura”[] e viene denominata riproduzione invariante, o semplicemente invarianza. Essa si riferisce chiaramente al DNA che i viventi si tramandano di generazione in generazione.
LA DIFFERENZA FRA TELEONOMIA ED INVARIANZA
Riflettendoci, viene la tentazione di considerare la teleonomia come un sottinteso dell’invarianza e di ritenere il progetto teleonomico equivalente all’informazione trasmessa col DNA, la quale è denominata “contenuto di invarianza”.[] Ma quando si parla di teleonomia il progetto che ha in mente Monod non è il codice sorgente del DNA, bensì il fatto che le varie parti del corpo sono strutturate in funzione di uno scopo: le gambe sono costruite per camminare, le ali per volare, e l’occhio per captare immagini.[] Con il concetto di progetto teleonomico ci si riferisce all’insieme delle prestazioni tipiche del vivente compiuto, “che si possono considerare come aspetti o frammenti di un unico progetto primitivo, cioè la conservazione e la moltiplicazione della specie.”[]
Per rimarcare la differenza fra questi due concetti, Monod porta ad esempio il confronto fra l’uomo ed il topo: per quanto riguarda l’invarianza notiamo che il DNA di questi due esseri viventi ha dimensioni e contenuto molto simili, mentre per quanto riguarda l’aspetto teleonomico osserviamo che molte prestazioni dell’uomo sono inesistenti nel topo, e si pongono su di un livello qualitativo completamente differente. Il fatto che il topo e l’uomo abbiano un contenuto di invarianza molto simile ma prestazioni teleonomiche molto differenti indica che l’invarianza e la teleonomia costituiscono due caratteristiche ben distinte.
A questa osservazione di Monod si potrebbe obiettare che l’insieme delle prestazioni teleonomiche del vivente è già dettagliatamente descritta nel codice sorgente del DNA, e che dunque anche la differenza fra le prestazioni deve per forza di cose essere già inclusa nel DNA.[] Se guardando l’uomo ed il topo vediamo due DNA molto simili e due corpi dalle prestazioni molto differenti, forse è per via del fatto che non siamo in grado di apprezzare a sufficienza la portata delle differenze presenti nel DNA umano rispetto al topo, o forse perché sovrastimiamo la differenza fra l’uomo ed il topo, che si ridimensiona se li mettiamo entrambi a paragone con il mondo inorganico.
Ciò che è evidente è che esiste una trasformazione esatta la quale dal DNA conduce al corpo, e che nel corso di questa trasformazione certe differenze vengono amplificate, almeno dal punto di vista della capacità osservativa umana. Non disponiamo ancora di un linguaggio formale per descrivere significativamente il DNA, l’insieme delle prestazioni del corpo e la trasformazione che li lega, ma in una certa misura possiamo considerare il progetto teleonomico come il risultato di una trasformazione che ha come input il contenuto di invarianza del DNA. Ciò sembrerebbe richiedere un ulteriore esame per esplicitare meglio le relazioni fra questi due concetti che possono essere considerati distinti ma non indipendenti.
Un altro argomento che Monod utilizza per sostenere la distinzione fra invarianza e teleonomia è che tale distinzione corrisponde a quella fra le due classi principali di macromolecole presenti nelle cellule. Infatti l’invarianza si realizza per mezzo degli acidi nucleici che compongono il DNA,[] mentre la realizzazione delle strutture corporee che consentono le prestazioni del progetto teleonomico avviene per mezzo delle proteine.[]
LA STRUTTURA DELLE PROTEINE
Esistono proteine filamentose e proteine globulari. Queste ultime sono le più importanti per il funzionamento dell’organismo, e sono costituite da una catena di amminoacidi che si ripiega spontaneamente su sé stessa a formare un gomitolo dalla struttura molto precisa.[]
I legami fra gli atomi si dividono in legami covalenti e legami non covalenti. I primi sono quelli in cui due atomi mettono in comune un elettrone che con i suoi percorsi li avvolge entrambi, mentre i secondi sono quelli dove ogni elettrone rimane a percorrere orbite limitate al proprio atomo. Il legame non covalente è molto più debole di quello covalente, di circa dieci volte;[] per via di tale debolezza, il legame non covalente può sussistere solo quando gli atomi che si legano si trovano ad una distanza molto bassa.
I legami covalenti sono quelli che tengono insieme gli anelli della proteina, mentre i legami non covalenti sono quelli disposti “lungo il bordo della catena proteica”; sono questi ultimi quelli che determinano il modo esatto in cui la proteina si ripiega.
Immaginatevi ora la superficie di una proteina una volta che si è ripiegata nella sua forma definitiva. Su tale superficie, ricca di creste e avvallamenti, ci sono atomi predisposti a formare legami non covalenti, ma perché questo accada sarà necessario che la proteina incontri un’altra proteina con una superficie combaciante con la propria, in modo che gli atomi sul fondo delle proprie valli possano essere vicini agli atomi che si trovano sulle creste dell’altra proteina, e viceversa.
La debolezze dei legami non covalenti fa sì che due proteine riescano a legarsi solo quando le loro superfici si accoppiano in modo preciso, e le rende così capaci di riconoscersi in base alla forma. Possiamo esprimere questo concetto dicendo che le proteine hanno un comportamento stereospecifico.[]
La conseguenza è che all’interno di un ambiente in cui sono presenti miriadi di composti chimici è possibile che una proteina formi dei legami soltanto con certe altre proteine di tipo ben preciso. Ciò rende fattibile la coesistenza di innumerevoli processi chimici fra loro indipendenti, il che è un presupposto importante per l’esistenza di una cellula altamente organizzata.
jacques monod – il caso e la necessità
IL CASO
Dopo aver dedicato ampio spazio alle notevoli caratteristiche delle proteine, Monod ci fa notare che la sequenza degli amminoacidi che formano una proteina è del tutto casuale, nel senso che “conoscendo esattamente l’ordine di centonovantanove residui in una proteina che ne comprende duecento, è impossibile formulare una regola, teorica o empirica, che consenta di prevedere la natura del solo residuo non ancora identificato.”[]
Le mutazioni che nel corso del tempo hanno portato il DNA di ogni specie allo stato attuale sono essenzialmente casuali, sia perché derivano dal confluire di avvenimenti molecolari tra loro indipendenti, sia perché la mutazione è un avvenimento dai caratteri quantistici e quindi è intrinsecamente imprevedibile per via del principio di indeterminazione.[] []
Nella concezione di Monod il ruolo del caso è molto rilevante non solo per quanto riguarda la formazione del DNA e quindi delle proteine in esso codificate, ma anche per quanto riguarda l’origine della vita e l’esistenza stessa della biosfera: “Secondo la tesi che presenterò qui, la biosfera non contiene una classe prevedibile di oggetti o di fenomeni, ma costituisce un evento particolare, certamente compatibile con i primi principi, ma non deducibile da essi e quindi essenzialmente imprevedibile.”[] []
LA NECESSITÀ NEL DISCORSO SELEZIONISTA
Tutto il ragionamente di Jacques Monod è inscritto in una concezione selezionista: “…si tratta dell’idea darwiniana che la comparsa, l’evoluzione e il progressivo affinamento di strutture sempre più fortemente teleonomiche sono dovuti al sopraggiungere di perturbazioni in una struttura già dotata della propria invarianza, e quindi capace di conservare il caso e di subordinarne gli effetti al gioco della selezione naturale.”[] []
Il termine necessità assume una funzione precisa nel discorso selezionista di Monod là dove viene riferito alla raffinata e precisa organizzazione a livello molecolare destinata a garantire la riproduzione di un’informazione genetica identica all’originale. Potremmo dire che tale necessità, riproducendo per sempre ciò che è avvenuto una volta per caso, è il mezzo grazie al quale il caso diviene la sorgente da cui si possono sviluppare strutture altamente organizzate come i viventi.[]
Monod specifica come la giusta interpretazione del selezionismo non sia quella di una lotta per la vita; la normale azione del selezionismo non è tanto l’eliminazione dei più deboli, quanto la promozione degli individui che all’interno della specie si riproducono maggiormente.[] [] Per quanto riguarda l’uomo però, a partire da quando si è raggiunto un livello di evoluzione tale da dominare l’ambiente circostante, si è creato il presupposto per la lotta fra gruppi distinti all’interno della specie: la guerra.[]
Un’altra precisazione di Monod è che la selezione non proviene soltanto dall’ambiente esterno, ma è fortemente condizionata anche dalle precedenti scelte evolutive della specie oltre che dalle sue strutture e prestazioni specifiche.[] In particolare, la notevole autonomia dell’uomo rispetto all’ambiente ha fatto sì che nel suo caso il comportamento orientasse la selezione più che negli altri esseri viventi.
jacques monod – citazione
IL BISOGNO DI SPIEGAZIONI
Monod osserva che per un tempo lunghissimo dell’evoluzione umana la forte integrazione nel gruppo sociale è stata un carattere premiante, e che quindi ci deve essere stata una selezione in grado di promuovere la coesione sociale. Monod è convinto che ci siano dei caratteri genetici che determinano l’angoscia esistenziale, la quale costringe l’uomo a cercare il significato dell’esistenza creando miti e storie. Questi si pongono a fondamento della legge che garantisce il funzionamento e l’unità del corpo sociale. “Come spiegare”, altrimenti, “l’universalità nella nostra specie del fenomeno religioso su cui si basa la struttura sociale?”.
A questa dinamica sarebbero riconducibili tutte quelle visioni del mondo che Monod cataloga come animistiche, le quali spiegano l’intero percorso evolutivo del cosmo riconducendolo a un progetto complessivo in cui l’uomo ha un posto d’onore. In questa categoria troviamo “tutte le religioni, quasi tutte le filosofie, perfino una parte della scienza, che sono testimoni dell’instancabile, eroico sforzo dell’umanità che nega disperatamente la propria contingenza.”[] In quest’ottica, un’attenzione particolare è data da Monod al materialismo dialettico,[] che viene riassunto all’incirca nei termini che seguono.[]
Secondo il materialismo dialettico c’è un solo principio che governa l’evoluzione del mondo intero, che si tratti della materia o dello spirito. Dunque, visto che lo spirito è accessibile alla nostra introspezione, noi possiamo osservare come esso si comporta e poi dire che il mondo si comporta allo stesso modo.[] Kant, in precedenza, ha ritenuto di dover compiere un’analisi dello strumento con cui l’uomo indaga il mondo: la ragione. Ciò però non va d’accordo con il materialismo dialettico, secondo il quale lo spirito è intimamente connesso al mondo materiale: l’analisi di Kant implica che la ragione abbia dei limiti e che essa non sia “lo specchio perfetto”[] di ciò che accade nel mondo.
L’idea di un’analisi della ragione si accorda invece con l’esistenza di un sistema nervoso che elabora i dati dei sensi prima di presentarli alla mente. Monod sottolinea che inizialmente l’idea di una critica della ragione era stata propria solo dei filosofi, mentre in seguito questa esigenza iniziò ad essere sentita anche dagli uomini di scienza, nella fase immediatamente precedente l’avvento della teoria della relatività e della meccanica quantistica.
IL CONFLITTO FRA LA SCIENZA E LE SPIEGAZIONI
Il fondamento della scienza, secondo Monod, è il principio di oggettività, che viene fatto risalire a Galileo e Cartesio e coincide con l’assenza di un progetto che governa il divenire del mondo materiale e degli esseri viventi.[] [] Questo fa sì che la scienza non possa accettare le storie che raccontano il divenire del cosmo riconducendolo ad un progetto universale assegnando un posto di rilievo agli esseri viventi e all’uomo in particolare.
Alla sua comparsa l’evoluzionismo lasciava una possibilità di mantenere una visione antropocentrica nel pensare l’uomo come erede ultimo e necessario del processo evolutivo, ma a partire dalla seconda metà del novecento questo non sarebbe più possibile, in quanto una ipotetica teoria universale potrebbe prevedere la possibilità degli esseri viventi ma non la loro necessità.
Il problema centrale che oggi ci troviamo di fronte è che la scienza su cui la nostra società è basata entra in conflitto con i nostri sistemi di valori, nel senso che distrugge le storie[] che li giustificano:
“È vero che la scienza attenta ai valori. Non direttamente, poiché essa non ne è giudice e deve ignorarli; però essa distrugge tutte le ontogenie mitiche o filosofiche su cui la tradizione animistica, dagli aborigeni australiani ai dialettici materialistici, ha fondato i valori, la morale, i doveri, i diritti, le interdizioni.”[]
Si evidenzia dunque una netta distinzione fra il discorso dei valori, l’etica, e il discorso della conoscenza. Noi perseguiamo dei valori il cui fondamento è negato dai tratti distintivi di una conoscenza di cui non possiamo fare a meno. Con queste premesse si possono impostare dei discorsi autentici soltanto tenendo chiara ed esplicita la distinzione fra il campo dell’etica e quello della conoscenza.[]
Per eliminare alla radice il problema, Monod propone di adottare un’etica che ponga il raggiungimento della conoscenza oggettiva come obiettivo ultimo: “Essa impone istituzioni votate alla difesa, all’ampliamento, all’arricchimento del Regno trascendente delle idee, della conoscenza, della creazione.”[]
Dando uno sguardo utopico verso il futuro, trovo possibile intravedere un progresso in cui, una volta risolte le necessità più stringenti del corpo, il sapere diventi il cibo più raffinato con cui formare lo spirito, ma personalmente non condivido l’idea di un’etica della conoscenza così come è stata impostata da Monod. Benché l’acquisizione del sapere sia un importante momento di formazione dello spirito, il sapere mantiene anche una ineliminabile dimensione strumentale, e mi risulta difficile porlo come unico fondamento di un’etica.[]
CONCLUSIONI: VERITÀ O VOLONTÀ?
Questo libro è un discorso che ruota attorno alla natura degli esseri viventi: prende in esame le loro caratteristiche distintive ed il processo selezionista da cui si sono originati. Tale processo è caratterizzato dall’azione congiunta del caso e della necessità che Monod mette in luce con un esame dettagliato delle strutture cellulari fondamentali: le proteine globulari e il sistema del DNA.
L’esame degli esseri viventi viene condotto sottolineando il rispetto del metodo scientifico, il quale presuppone l’assenza di un disegno predefinito che governa l’evoluzione del cosmo. Il metodo scientifico stesso diviene oggetto del discorso là dove se ne prende in esame la compatibilità con le credenze dell’uomo, le quali sono da considerarsi influenzate dalla storia evolutiva dell’uomo stesso.
Monod ha uno stile scorrevole e fornisce informazioni scientifiche e interpretazioni di grande interesse, ma forse la sua argomentazione non è abbastanza precisa e puntuale per poter dire che abbia sviluppato una teoria solida come sarebbe stato lecito aspettarsi.
Personalmente mi trovo d’accordo con Jacques Monod là dove critica i facili antropocentrismi promossi dal marketing popolare delle concezioni animistiche che garantiscono l’illusione di un paradiso in cambio di una mano alzata, ma penso che l’alternativa non stia tanto nella ricerca della verità (a cui l’etica della conoscenza di Monod assomiglia molto), quanto nell’esercizio della volontà.
Se mettiamo la conoscenza oggettiva dinanzi a tutto, non è difficile immaginarsi creature naturali o artificiali in grado di soppiantare l’uomo. Il regno della conoscenza oggettiva non offre garanzie per la creatura uomo,[] e ci rendiamo conto che se vogliamo un umanesimo dobbiamo costruircelo. L’umanesimo non è gratis, e l’uomo non può semplicemente credere nell’uomo: l’uomo deve volere l’uomo.[]
–
NOTA BIOGRAFICA
Jacques Monod nasce a Parigi nel 1910 da una famiglia protestante. Il padre è ammiratore di Darwin e appassionato di musica. A metà degli anni trenta passa un anno al California Institute of Technology di Pasadena. Al ritorno ha la tentazione di fare il musicista per professione, ma alla fine sceglie di essere biologo. Nel corso della II guerra mondiale partecipa alla resistenza contro i tedeschi. Dal 1953 è capo laboratorio all’Institut Pasteur. Nel 1965 raggiunge la popolarità grazie al Nobel per la medicina per le ricerche sulla regolazione cellulare. Nel 1970 pubblica “il caso e la necessità”. Muore nel 1976, 4 anni dopo la moglie.