Idealismo e Realismo, un approccio filosofico semplice. Per valorizzare la dimensione emotiva.

Riporto qui di seguito la concezione di idealismo e realismo da me impiegata nel libro “Le emozioni di base secondo Panksepp. Introduzione e connessioni filosofiche”. Detto in estrema sintesi, l’idealismo mette in luce il nostro ruolo di attori costitutivi del mondo, e si pone quindi come una piattaforma concettuale adatta per approcciare la dimensione emotiva, evitando il rischio di appiattire la nostra concezione delle emozioni al solo piano delle cose materiali.

“L’opposizione fra realismo ed idealismo è vecchia di secoli, e non saremo noi qui in questa sede a venirne a capo, nondimeno è utile ai nostri scopi proporne un approccio semplice. Se io (realista) dico che c’è una realtà là fuori, subito tu (idealista) puoi farmi notare che c’è stato bisogno di un soggetto perché la mia affermazione potesse essere concepita, ma io (realista) posso risponderti che tale soggetto aveva bisogno di un sostegno materiale, ad esempio di un corpo con un sistema nervoso e poi tu (idealista) puoi di nuovo farmi notare che tutto questo discorso è creazione interna ad un soggetto.

È abbastanza facile vedere che queste due mosse possono essere concatenate una sull’altra a formare un battibecco illimitato. Un punto di equilibrio sano potrebbe consistere in una cornice di riferimento idealista che ospita al suo interno un realistico riconoscimento delle parti solide del mondo (in questo modo la percezione della solidità della realtà prevale sul suo trovarsi fuori o dentro). Siamo dunque idealisti nel considerare il mondo come una creazione del soggetto, e siamo realisti nel riconoscere le parti solide del mondo, che dobbiamo accettare così come sono e non rispondono al nostro desiderio immediato. Ad esempio io posso prendere la decisione di uscire di casa, ma riconosco realisticamente che la decisione di vedere la tastiera rossa anziché nera non sta nelle mie possibilità. Siamo idealisti, di nuovo, nell’assumere il punto di vista per cui il mondo è creato dall’uomo, più precisamente dal lavoro dell’uomo, dove tale lavoro si pone in tanti modi qualitativamente differenti, dal costruire un muro di mattoni allo scrivere un software, dal prendere decisioni politiche allo scrivere libri, dall’alzare un braccio al produrre la percezione per mezzo del sistema nervoso.

Le emozioni così come le abbiamo descritte hanno sia una parte solida, non modificabile, sia una parte che è raggiungibile dal lavoro dell’uomo. Noi non possiamo cambiare la radice biologica delle nostre emozioni, non possiamo alterare la loro collocazione anatomica, e non possiamo interferire direttamente coi processi chimici dei neurotrasmettitori. Possiamo però elaborare nuove prese cognitive per le situazioni che originano le emozioni. Possiamo costruire idee nuove per vivere equilibri emotivi diversi.

Noi non possiamo interferire con l’origine sotterranea del flusso emotivo, ma possiamo portare la nostra accoglienza consapevole sempre più vicina alla sorgente di questo flusso, pur senza mai toccarla. È proprio per favorire tale atteggiamento che troviamo adeguata una sensibilità idealista. Una concezione soltanto realista rischierebbe infatti di concepire le emozioni come un qualcosa di troppo fisso e predefinito, impedendo al senso interno di allenarsi a cogliere le sorgenti del vissuto.

La scienza vede il pensiero come una creazione del sistema nervoso, e questo corrisponde all’osservazione idealista che per dire qualsiasi cosa sul mondo serve un soggetto. Inoltre, in accordo con un approccio idealista come lo abbiamo descritto qui sopra, la scienza più recente pone un accento significativo sul fatto che il mondo è costruito dal nostro agire. Ad esempio, le qualità specifiche della vista non sono intrinseche al segnale che gli occhi mandano al cervello (né tantomeno a ciò che sta là fuori), ma dipendono da come i segnali dell’occhio cambiano in base al movimento dell’occhio stesso e dell’intero corpo. La qualità intrinseca del vedere dipende da come cambia l’informazione proveniente dagli occhi al cambiare dell’impulso motorio. Noi creiamo il vedere per mezzo del nostro agire, dove il nostro agire include l’attività del sistema nervoso.1

La posizione di riferimento che abbiamo scelto è idealista, ma c’è qualcosa di più fondamentale che decidere se vogliamo vivere la nostra vita sotto il titolo dell’idealismo o sotto quello del realismo. Questa cosa più fondamentale è l’accento posto sulle possibilità per l’uomo di costruirsi il mondo con il proprio lavoro, incluso il lavoro su sé stesso. È in tale ottica che continuiamo il nostro ragionamento con alcune osservazioni sulla percezione, con particolare riferimento a quella visiva.”

Estratto da: “Le emozioni di base secondo Panksepp”

1“…l’esperienza percettuale non è un evento interno o uno stato del cervello ma un’abile attività costituita in parte dalla conoscenza pratica (da parte di chi percepisce) del modo in cui la stimolazione sensoriale varia col movimento. Sensi differenti hanno diversi schemi di dipendenza sensomotoria, e chi percepisce ha una profonda ed implicita competenza di tali differenze. Nella visione, per esempio, quando l’occhio ruota, la stimolazione sensoriale della retina slitta e si deforma in un modo preciso, determinato dall’ampiezza del movimento dell’occhio, dalla forma sferica della retina, dalla densità variabile dei fotorecettori della retina dalla fovea alla parafovea, e via dicendo. Quando il corpo si muove in avanti, lo schema del flusso ottico della retina si espande, quando il corpo si muove indietro, si contrae. Quando gli occhi si chiudono durante i battiti delle ciglia, la stimolazione diviene uniforme (l’immagine retinale si svuota). Queste dipendenze sensomotorie sono distintivamente visuali, là dove quelle caratteristiche dell’udito e del tatto hanno strutture differenti.”

Evan Thompson, Mind in Life. Biology, phenomenology, and the sciences of mind, (Cambride: The Belknap Press of Harvard University Press, 2010), 254.

Per approfondire il tema si può fare ricerca su questa parola chiave: ‘sensorimotor contingency theory’.