Regolazione Emotiva: Distrazione e Reinterpretazione

Le emozioni nascono da come percepiamo le situazioni in cui ci troviamo. Da ciò seguono due possibilità fondamentali di regolare l’emotività: possiamo intervenire sulla situazione materiale, oppure sul nostro modo di interpretarla.

Per intervenire sulla situazione possiamo decidere quali sono i luoghi ed i contesti sociali che vogliamo frequentare, oppure possiamo agire fisicamente per cambiare la situazione corrente. Per intervenire sull’interpretazione possiamo distogliere l’attenzione da ciò che ci dà più fastidio, oppure fare uno sforzo di re-interpretazione, ad esempio cercando di capire le ragioni di chi ci ha fatto arrabbiare. Un’altra possibilità è quella di modificare il comportamento che segue alla percezione di una certa emozione, per esempio dissimulando la rabbia anziché manifestarla.

Nel suo articolo sulla regolazione delle emozioni,1 James Gross si dilunga molto sulle possibilità di modellizzare questi aspetti. Da un punto di vista concreto mi pare che vi siano almeno un paio di indicazioni interessanti da riportare. La prima è che la soppressione delle emozioni negative (rabbia, ansia, paura) non è generalmente una strategia valida. La seconda è che la reinterpretazione della situazione non funziona bene quando l’emozione che si vorrebbe ridurre è intensa, là dove invece ciò che funziona bene è la distrazione. Il suggerimento di Gross è dunque quello di approcciare le situazioni che generano emozioni negative intense con una fase di distrazione seguita da una successiva reinterpretazione.

A questa indicazione di Gross vorrei aggiungere alcune osservazioni. Per distrarsi dal pensiero di un evento che ci ha fatto arrabbiare, la strategia più valida non è il rifiuto esplicito di pensarlo, quanto piuttosto lo spostamento dell’attenzione su un’alternativa nella quale coinvolgersi.2 Dovendo dunque scegliere un’alternativa, mi sembra logico scegliere di focalizzarsi su una forma di esperienza che abbia radici profonde e robuste nella nostra organizzazione psichica. Ad esempio, possiamo concentrarci su un’emozione fondamentale alternativa alla rabbia, quale è il prendersi cura di qualcuno (il prendersi cura è un’emozione fondamentale secondo le neuroscienze affettive di Jaak Panksepp).

Quando poi viene il momento di reinterpretare un evento che ci ha fatto arrabbiare, una strategia premiante è, come già accennato, cercare di capire le ragioni di chi ci ha fatto arrabbiare. Questa strategia però non è sempre semplice da attuare. Può allora essere d’aiuto se per un momento accettiamo di vestire i panni di Socrate e ci rendiamo conto di non sapere. Se noi pensiamo di aver capito già tutto di quella persona che ci ha fatto arrabbiare, allora non ci sarà spazio per la reinterpretazione. Dobbiamo prima riconoscere di non sapere i motivi esatti che la spingono ad agire. Solo così potremo attivare la curiosità (la curiosità è legata all’emozione della ricerca/voglia di fare, che rappresenta un’altra emozione fondamentale nell’ambito delle già citate neuroscienze affettive) ed assumere uno sguardo alternativo a quello della rabbia.

Riassumendo: quando ci prendiamo cura di una persona a noi cara ne riceviamo una gratificazione ed un significato profondo, il quale funziona bene come punto di ripartenza per staccarsi dal vissuto negativo che vogliamo lasciarci alle spalle. Quando poi torniamo a riflettere su tale vissuto, può essere utile richiamarsi alla formula socratica del sapere di non sapere. Questa favorisce la curiosità e una reinterpretazione efficace della situazione, non eccessivamente centrata su sé stessi.

POST SCRIPTUM: IMPORTANZA DELLA DIMENSIONE RELAZIONALE

Credo opportuno soffermarsi anche su di un altro aspetto. Abbiamo già accennato al fatto che quando si cercano alternative robuste alla ruminazione sulle emozioni negative sarebbe meglio sintonizzarsi su dimensioni del vivere profondamente radicate nella nostra interiorità. Per questo ha senso praticare il prendersi cura di qualcuno, in quanto si tratta di un’emozione fondamentale (al pari di quelle negative che si vogliono contrastare), anziché imbarcarsi in una lunga razionalizzazione che rischia di alimentare la ruminazione negativa.

A questo va aggiunto che tipicamente le emozioni emergono da una situazione sociale, e che l’essere in situazione sociale è un tratto profondo della nostra esperienza di vita, ad esempio più dei concetti astratti e della razionalità, i quali arrivano nella nostra vita molto tempo dopo la predisposizione a cogliere la presenza degli altri individui. Non solo, la predisposizione alla relazione è anche indipendente dal sistema degli oggetti materiali, ai quali a volte diamo troppa importanza (creando i presupposti di conflitti che generano emozioni negative).

Quanto appena detto può essere scontato per qualcuno, ma non per tutti. A tal riguardo vale la pena ricordare che il bambino piccolo può sviluppare una comprensione adeguata degli oggetti materiali solo dopo che ha imparato ad afferrarli e ad osservare le conseguenze delle sue manipolazioni.3 Per quanto riguarda invece la predisposizione a polarizzare l’esperienza attorno agli altri individui, è dimostrato che il neonato sviluppa un’attenzione preferenziale alla forma del volto ancora prima della nascita.4 L’importanza della relazione con le altre persone non è costruita sul mondo materiale, bensì una radice indipendente del vivere.5 6 Credo che questo sia un aspetto importante da comprendere per chi vuol venire a capo della propria emotività senza lasciare fuori qualche pezzo troppo importante.

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1James J. Gross (2015) Emotion Regulation: Current Status and Future Prospects, Psychological Inquiry, 26:1, 1-26, DOI: 10.1080/1047840X.2014.940781

2Mann, T., de Ridder, D., & Fujita, K. (2013). Self-regulation of health behavior: Social psychological approaches to goal setting and goal striving. Health Psychology, 32(5), 487-498. http://dx.doi.org/10.1037/a0028533

In questo articolo gli autori notano che “Specificare cosa non fare sembra avere un effetto contrario, perché dà risalto alla tentazione, rendendola più desiderabile e più difficile da controllare” e “Poiché gli obiettivi di raggiungimento tendono ad essere più efficaci degli obiettivi di evitamento, una strategia di intervento potrebbe essere di riformulare gli obiettivi di evitamento in obiettivi di raggiungimento”

Il contesto non è quello della regolazione delle emozioni negative, ma si tratta comunque di evitare il coinvolgimento in una concatenazione di pensieri che tendono ad instaurarsi ma che preferiremmo evitare.

3Larry Fenson & Robert E. Schell (1985) The origins of exploratory play, Early Child Development and Care, 19:1-2, 3-24, DOI: 10.1080/0300443850190102

4Vincent M. Reid, Kirsty Dunn, Robert J. Young, Johnson Amu, Tim Donovan, Nadja Reissland, The Human Fetus Preferentially Engages with Face-like Visual Stimuli, Current Biology, Volume 27, Issue 12, 2017, Pages 1825-1828.e3, https://doi.org/10.1016/j.cub.2017.05.044.

5Confronta: “Dunque, la teoria dell’attaccamento riflette uno stacco dalla teoria della dipendenza e degli istinti collegata ai bisogni fisiologici, in direzione di una teoria di risposte istintuali primarie che funzionano per promuovere l’interazione sociale, comparativamente indipendente dai bisogni fisiologici”

Victoria A. Fitton (2012) Attachment Theory: History, Research, and Practice, Psychoanalytic Social Work, 19:1-2, 121-143, DOI: 10.1080/15228878.2012.666491. Pagina 122.

6Per una visione filosofica centrata su questo primato della dimensione sociale si può fare riferimento all’idea del volto così come è espresso nella filosofia di Emmanuel Lévinas, ad esempio nel libro Totalità ed Infinito.

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