Il matriarcato e la casa delle donne

I cacciatori raccoglitori che praticano forme di accumulazione tendono ad assumere strutture patriarcali gerarchiche.1 Rientrano in questo gruppo di popolazioni quelle dove si riscontrano fenomeni di coltivazione temporanea. Tipicamente queste culture hanno dei miti che dicono più o meno quanto segue: una volta c’era il matriarcato e il potere apparteneva alle donne, poi un giorno gli uomini sono riusciti a rubarglielo, e adesso devono stare molto attenti a tenere le donne sottomesse perché se no queste si riprenderebbero il potere.

Il matriarcato
Il matriarcato

In questo post riporto gli appunti che ho preso da un video sul matriarcato di Chris Knight (il video, in inglese, si trova a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=DrKhQRfKiJ8)

In questi miti è presente spesso una “casa delle donne” in cui solo le donne possono entrare. La casa delle donne era collegata ai misteri della riproduzione e del ciclo mestruale, e se un uomo provava ad entrarvi veniva violentato. O almeno così raccontano questi miti, secondo i quali la presa di potere degli uomini è spesso avvenuta grazie ad un uomo coraggioso che ha scoperto i segreti con cui le donne tenevano in scacco gli uomini (per esempio facendo rumori misteriosi attribuiti agli spiriti). Fu in seguito alla presa di potere degli uomini che la casa delle donne divenne la casa degli uomini.

Nella lezione che ho ascoltato Chris Knight legge alcuni esempi di questi miti, nei quali si riscontrano, accanto alla linea narrativa principale, molte varianti collegate ai flauti magici piuttosto che al sangue mestruale.

Cosa c’è di vero in questi miti? Di certo hanno una funzione giustificatoria delle strutture patriarcali. Le donne sono pericolose, dunque gli uomini devono tenerle sotto controllo con ogni mezzo, inclusi il segreto e la violenza, escludendole dalla gestione del potere. Questo è il messaggio che passa.

Al di là della funzione giustificatoria, c’è una domanda che sorge spontanea: è davvero esistita un’epoca precedente al patriarcato in cui c’era una sorta di matriarcato in cui le donne avevano il potere? Si e no.

Dopo essersi dilungato ad illustrare i miti cui ho accennato, Knight fa riferimento ad alcuni studi che riguardano i cacciatori raccoglitori puri sopravvissuti fino ai giorni nostri. Quelli di origine più antica. Quelli che non coltivano e non accumulano niente. Come i boscimani del Kalahari o altre popolazioni delle foreste pluviali centroafricane. (Ricordiamoci che tutte le popolazioni extra-africane hanno un’origine relativamente tardiva).

In particolare Knight si sofferma su un rito in uso presso gli Mbuti, i pigmei del Congo descritti da Colin Turnbull nel libro “I Pigmei. Il Popolo Della Foresta”. Quando una ragazza aveva la prima mestruazione, questo era per tutta la tribù un evento gioioso. La ragazza si ritirava con alcune amiche più giovani e alcune amiche più anziane in una costruzione dove gli uomini non potevano entrare, e lì una donna adulta insegnava loro i misteri della procreazione. Gli uomini rimanevano fuori, ma sembra che ad un certo punto le ragazze scegliessero uno dei ragazzi, il quale veniva inseguito, catturato e portato nella “casa delle donne”. Qui tutte le ragazze lo “assalivano” per una sorta di iniziazione sessuale. E il tutto avveniva in un’atmosfera di festa.

Sembra dunque che una forma di dominanza femminile sia esistita, ma solo in modo episodico o periodico, senza i caratteri oppressivi che il patriarcato avrebbe poi assunto nei confronti delle donne. La casa delle donne è esistita, ma il suo significato è stato falsificato nei miti che giustificano il patriarcato. Questa è l’ipotesi di lavoro che pare più probabile.

C’è anche altro da aggiungere. Negli esseri umani il periodo mestruale medio è molto prossimo alla durata del ciclo lunare. Quest’ultimo è un fenomeno molto importante per l’organizzazione della vita dei nostri antenati cacciatori raccoglitori. Nelle notti di luna nuova è pericoloso uscire a cacciare, perché nel buio completo si rischia di essere preda dei grandi felini. È più sicuro uscire a cacciare nelle notti di luna piena, mentre nelle notti di luna nuova è possibile che i nostri antenati si stringessero cantando insieme per tenere lontani i grossi predatori con il suono del canto.

In queste società potevano verificarsi dei rituali in cui le donne, in gruppo, prendevano possesso del centro dell’accampamento. Questi rituali femminili si alternavano ad altri rituali in cui gli uomini mettevano in mostra le loro capacità di cacciatori. È possibile che ci fosse un’alternanza fra questi riti femminili e maschili basata sul ciclo lunare. I riti a dominanza femminile avvenivano dunque in coincidenza con la luna nuova, mentre i riti a dominanza maschile coincidevano con la luna piena, quando si poteva cacciare. E tale alternanza avveniva in modo fluido, senza forme gerarchiche rigide e durevoli.

Che considerazioni si possono aggiungere al punto di vista di Chris Knight (un antropologo britannico), che ho fin qui esposto?

Gli equilibri emotivi del matriarcato
Gli equilibri emotivi del matriarcato

Non è facile avere dati certi sulla vita che l’uomo conduceva decine e centinaia di migliaia di anni fa. Quel che si delinea è una società dai valori egualitari dove non si erano ancora manifestate le strutture gerarchiche in cui viviamo oggi. Il mondo dei cacciatori raccoglitori puri (quelli che non attuavano nessuna forma di accumulazione e di agricoltura) non era un paradiso in terra privo di difficoltà, ma sembra che vi regnasse un equilibrio emotivo di qualità superiore al nostro. Non è poco. Anzi, è tantissimo.2

Non è necessario avere la certezza oggettiva che tutte le popolazioni di cacciatori raccoglitori vivessero in una quotidianità libera dall’incombere del futuro, comparabile al paradiso terrestre. Ci basta molto meno. Ci basta sapere che alcune volte, nel corso della storia dell’uomo, si sia verificato un equilibrio stabile per una lunga linea di generazioni nel quale gli uomini abbiano vissuto un contesto emotivo alimentato da amore e gioco, al polo opposto di una dominanza totalizzante e sorda che opprime e controlla più di quanto sarebbe necessario.3

Una cosa molto, molto interessante è che questo lavoro archeologico/antropologico trova riscontro negli ultimi progressi delle neuroscienze affettive. Queste ultime assegnano un ruolo fondamentale alla cura, alla pena della solitudine ed al gioco considerandole come emozioni di base incluse nella nostra natura biologica. Siamo dunque molto diversi dal lupo di hobbesiana memoria, e ospitiamo dentro di noi degli istinti che promuovono il vivere sociale. Siamo istintivamente aggressivi, è vero, ma altrettanto istintivamente ci prendiamo cura, altrettanto istintivamente sentiamo il bisogno dei nostri simili, altrettanto istintivamente siamo predisposti alla gioia del gioco. Quest’ultima forse non è intrinsecamente di natura sociale, ma trova nell’interazione fra persone uno dei luoghi migliori per esprimersi.

Cosa comporta tutto questo discorso per la nostra vita di tutti i giorni? La conseguenza è che si rinforza la possibilità di definire e sostenere dei nuovi equilibri emotivi che non siano soltanto un rimedio all’ansia e agli attacchi di rabbia, bensì una promessa di paesaggi sociali più degni di essere vissuti (nello scrivere questa frase mi sto lasciando ispirare da Herbert Marcuse).

Chiudo riportando un passo del nostro libro divulgativo sulle neuroscienze affettive e sulle relative implicazioni filosofiche:

La visione di Panksepp sembra candidarsi come sostitutiva nei confronti di quella di Freud, la quale ha alimentato molte delle riflessioni di quell’importante gruppo di pensatori costituito dalla Scuola di Francoforte. Nella visione di Freud la riflessività era intrinsecamente necessaria al sociale per la sua funzione di freno nei confronti delle pulsioni fondamentali di piacere e di distruzione. Nella visione di Panksepp la riflessività si pone invece come elaborazione complessa di radici che includono in sé il valore sociale primario.

La ragione non pare più porsi come originaria fonte di luce. Assomiglia più alla modulazione di una luce che proviene da un altro luogo e che bisogna farsi carico di conservare, evitando le riflessioni che potrebbero neutralizzarla invano. In tale concezione perde di vigore il pessimismo cosmico implicito nel concetto di dialettica dell’illuminismo sviluppato da Adorno ed Horkheimer, esponenti massimi della Scuola di Francoforte, a metà del novecento.”

Da: “Le emozioni di base secondo Panksepp. Introduzione e connessioni filosofiche.”

1Tieni presente quanto notava Richard Bulliet nel suo corso di World History alla Columbia University: non è necessario che il fenomeno della proprietà sia emerso anzitutto come proprietà della terra. Potrebbe essersi presentato anzitutto come proprietà degli animali piuttosto che dell’acqua: https://www.youtube.com/watch?v=gE_29Y64frk&t=7s (il titolo del video su youtube fa riferimento all’islam, ma ci deve essere un errore. In questa lezione Bulliet parla delle culture dell’Africa, in particolare del Sahara. È interessante in particolare il riferimento a Nabta Playa.

2Su questo tema vedi anche: Gray, Peter. “Play as a Foundation for Hunter-Gatherer Social Existence.” American Journal of Play 1.4 (2009): 476-522.

3A scanso di equivoci, preciso che noi consideriamo la dominanza come un fenomeno dotato di rivolti sia positivi e negativi. Il nostro sogno nel cassetto non è annullare il fenomeno della dominanza, bensì riformarlo perché si coniughi meglio ad un progetto umanistico che promuova la fioritura dell’uomo. A questo scopo sarebbe desiderabile individuare uno spettro di varianti di dominanza che vanno da quella sorda, totalizzante e ipocrita fino a quella più aperta e minimalista di se stessa.

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