Per arrabbiarsi può bastare un dettaglio sbagliato, e poi la fiamma della rabbia alimenta catene di pensieri che vanno per conto loro, senza più tenere conto della realtà. L’ideale della mindfulness1 è saper cogliere quel dettaglio sbagliato al volo, come se stessimo fermando lo screenshot di un film per salvare l’immagine che ci interessa. Naturalmente il film della realtà non può essere fermato davvero, ma quel momento di consapevolezza emotiva può essere colto, e può diventare decisivo per affrontare la situazione con più equilibrio, con più empatia, con più accortezza.
La meditazione mindfulness è un allenamento a percepire il proprio stato interiore, e quindi anche il proprio stato emotivo. La mindfulness si focalizza sull’interiorità fisiologica per interrompere la ruminazione e le elaborazioni concettuali (personalmente, io amo le elaborazioni concettuali, ma riconosco che in determinate circostanze bisognerebbe frenarle).
La meditazione mindfulness tipicamente comincia con degli esercizi di concentrazione sul corpo o sulla respirazione. Poi, quando si è trovata la concentrazione, si passa ad esercitare un’attenzione diffusa (open monitoring) nel corso della quale si prende atto di qualsiasi evento esterno o interno che vediamo accadere nel presente.2 Suoni, emozioni, pensieri. La focalizzazione sull’esperienza presente si accompagna ad un atteggiamento non giudicante. Questo è fondamentale. Significa che quando un pensiero non ci piace, noi non pratichiamo l’evitamento, non lo ricacciamo indietro, non lo sopprimiamo. Quel che facciamo è accettarlo, restando a guardarlo momento per momento. E nel fare ciò ci vietiamo di dare corso alle catene di verbalizzazioni interiori che così facilmente tendono a germogliare.3
L’atteggiamento non giudicante e l’accettazione conducono a un decentramento dell’esperienza. È questo un altro aspetto importante della psicologia della mindfulness. Anziché vivere gli eventi identificandoci strettamente con il nostro io (con il soggetto grammaticale dei nostri ragionamenti), gli eventi vengono inseriti in un contesto più articolato, in una cornice di riferimento costituita dalla percezione consapevole dei propri molteplici processi interiori.
Mindfulness significa consapevolezza. La meditazione mindfulness è un adattamento occidentale di alcuni metodi di meditazione appartenenti alla tradizione del Buddismo e dello Yoga. Jon Kabat-Zinn, americano, è un personaggio importante nella storia della mindfulness. Nel 1979 ha creato un programma di riduzione dello stress basato sulle idee fondanti della mindfulness, apprese nel corso delle sue frequentazioni di ambienti buddisti zen. Questo programma di otto settimane diverrà poi famoso con l’acronimo MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction: riduzione dello stress basata sulla mindfulness.)
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La formalizzazione delle pratiche di meditazione è stata seguita da un’accresciuta attenzione da parte della ricerca scientifica. Gli effetti della meditazione si sono rivelati benefici per molte patologie della psiche fra cui lo stress, l’ansia, la depressione. Le tecniche di brain imaging hanno rivelato che la pratica della meditazione può cambiare il profilo immediato dell’attività mentale, e nel lungo periodo si possono anche riscontrare dei cambiamenti nelle connessioni fra le diverse aree del cervello.
Le emozioni sono dei processi che possono essere attivati da ciò che vediamo nel mondo, oppure da qualche memoria. Le emozioni hanno conseguenze fisiologiche e cognitive. L’innesco della rabbia, ad esempio, può essere dovuto ad un atto di mancato rispetto, e fra le conseguenze fisiologiche vi sono l’innalzamento della pressione sanguigna, l’accelerazione del battito cardiaco e della respirazione, e un’accresciuta tensione dei muscoli. Da un punto di vista cognitivo, la rabbia produce una catena di pensieri tesi alla distruzione, all’attacco di chi ci ha offeso. La rabbia promuove l’azione necessaria a ristabilire “il nostro territorio”.
La rabbia ha un senso dunque, ma è evidente che può fare dei danni. L’allenamento della mindfulness ci può aiutare a intervenire il prima possibile, quando la rabbia è stata appena innescata, così che sia più facile gestirla. La rapidità d’intervento è uno dei capisaldi della regolazione emotiva.
La mindfulness non ci rende soltanto più bravi a cogliere al volo le manifestazioni dei fenomeni emotivi, siano essi la rabbia, gli attacchi di panico, o le crisi di ansia. L’ascolto sistematico della nostra interiorità crea una sorta di mondo alternativo nel quale si possono tenere impegnati i pensieri. La pratica continua dell’ascolto delle tensioni muscolari e del respiro ci può trasformare, per così dire, in intenditori di noi stessi. È come se sviluppassimo un nuovo gusto per assaporare la nostra interiorità fisiologica.
Quando non vogliamo alimentare un processo emotivo, è molto, molto utile riuscire a concentrarci su qualcosa d’altro (nella letteratura specializzata sulla regolazione emotiva si parla di distrazione), ed è importante che lo si faccia appena possibile . La pratica meditativa ci rende sempre disponibile un’area interiore in cui rifugiarci per staccare la spina dalle ruminazioni concettuali che amplificherebbero le emozioni sgradite.4
Ho parlato finora delle emozioni in termini negativi. Qualcuno forse potrebbe parlare della rabbia come di una forza positiva, ma in fin dei conti le persone arrabbiate non sono felici. Né l’ansia è attraente. Né tanto meno gli attacchi di panico. Ma il cielo delle emozioni è solo per metà colorato di grigio. Vi sono anche emozioni per cui vale la pena vivere. Due di esse, in particolare mi paiono collegate alla pratica di meditazione.
La meditazione si inserisce nella visione del mondo di chi la pratica. Credo vi siano persone che vivono la meditazione come una forma di distacco dal mondo. Io preferisco intenderla come un esercizio per capire quali sia il modo migliore di essere coinvolti nel mondo, il che presuppone anche la capacità di distaccarci da ciò che ci fa male. Soprattutto, credo che sia utile intendere la meditazione in generale, e quindi anche la mindfulness, come una forma di cura. Nell’immediato come una cura verso sé stessi, e più in generale come la coltivazione della capacità di prenderci cura anche delle persone a cui teniamo. La cura, o amore materno, è una delle emozioni primarie secondo le neuroscienze affettive.
La curiosità è un’altra manifestazione emotiva primaria, anch’essa di natura positiva. La curiosità, a me piace pensare, è la vittoria della meditazione e della regolazione emotiva insieme. La curiosità è l’attenzione volta al nuovo, allo scoprire, all’indagare. Chi riesce a far nascere la curiosità, con ciò si è lasciato definitivamente dietro gli schemi fissi alimentati dalla rabbia e dalla paura.
Per gestire le emozioni bisogna anzitutto diventare conoscitori di sé stessi e degli altri. Chi resta prigioniero dei pensieri ciclici non può fare altro che ripetere gli stessi errori. Chi sa diventare curioso delle situazioni emotive invece, è destinato a crescere e a scoprire piccoli tesori nel mondo delle relazioni sociali.
La meditazione, diceva qualcuno, è il singolo cambiamento più importante che una persona possa intraprendere per la propria crescita personale. Di sicuro la meditazione può essere un capitolo importante da aprire nel percorso di una vita. Io credo che il modo giusto di approcciarla non sia un tentativo circoscritto ad una seduta fine a sé stessa. Io ho iniziato a meditare quando mi sono sentito sicuro che avrei dedicato alla meditazione uno spazio piccolo, sì, ma quotidiano. A tempo indeterminato.
Ciascuno di noi segue percorsi diversi per arrivare a questo tipo di decisioni. Per me c’è stata una cosa importante da capire. Nel nostro immaginario la meditazione richiama alla mente delle figure di maestri orientali che vengono da una cultura separata dalla nostra da millenni di civilizzazione distinta. Ciononostante, la meditazione non va vista come una pratica presa a prestito dalla tradizione buddista piuttosto che da quella indiana. La meditazione, io credo, appartiene ad un patrimonio più antico, comune a tutti gli uomini.
Praticare la meditazione, allora, non è una fuga verso qualcosa di esotico e non è un espediente alla moda. È una decisione importante per trovare il proprio centro, un appuntamento con sé stessi, una scelta di lungo periodo che porta ordine nel nostro orizzonte. La meditazione è la scelta di coltivare una sensibilità molto delicata, e il mondo delle emozioni è il territorio dove tale sensibilità può dare i suoi frutti migliori.
Per farti un’idea generale sulla regolazione emotiva ti consiglio di leggere quest’articolo: La regolazione emotiva: Tre orientamenti
Se hai trovato questo post interessante, ti consiglio di approfondire anche il tema dell’intelligenza emotiva, che è molto prossimo a quello di regolazione emotiva.
Le emozioni sono dei processi. È su tale premessa che si basa l’alleanza fra meditazione e regolazione emotiva. Nel modello componenziale di Klaus Scherer troverai un approccio scientifico alla natura processuale delle emozioni.
1L’articolo accademico di riferimento per la stesura di questo testo è il seguente: Farb, N. A., Anderson, A. K., Irving, J. A., & Segal, Z. V. (2014). Mindfulness interventions and emotion regulation. Handbook of emotion regulation, 2, 548-570
2“To strengthen attention, MT begins with concentrative attention practices that often focus on physical sensations, such as fine-grained “body scans”, in which individuals attend to physical sensation from specific body parts, or feeling of respiration (…) However, mindfulness practices then transition from focal attention to open monitoring, widespread attention to all sensations, thoughts, and emotions.” Farb e altri 2014, pagina 551-552.
3La mia personale esperienza mi dice che all’inizio è difficile farlo, ma i meditatori di lungo corso dicono che poi ci si riesce.
4Faccio notare un’ambiguità che si può incontrare quando la mindfulness viene presa in considerazione negli articoli scientifici. In un certo senso l’attenzione interocettiva della mindfulness può essere considerata una distrazione dalle ruminazioni concettuali. In un altro senso non è esattamente una distrazione, perché comunque mantiene l’attenzione sulla componente fisiologica dell’emozione in corso.