Variante di copertina. E’ sempre un muro, ma è un altro muro.
Il libro si può comprare qui:
http://www.ibs.it/ebook/cappello-manuel/troppi-fiori/9786050338096.html
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Ispirazioni, metafore e riflessioni sull’amore; e sugli effetti collaterali.
“Finalmente ho capito a cosa serve il vento.
Ad asciugare le lacrime senza rovinarle con le dita.”
In ufficio c’è un Van Gogh coi girasole.
Nel corridoio una ragazza chiede ai petali una risposta.
Il capotreno ha una corona di rose in testa,
il vagabondo ha una viola nel taschino,
e nei tuoi occhi è un tulipano nero.
Ma troppi fiori non va bene.
Troppi fiori non è la verità.
1 – Da quando ti ho incontrato, sul tram mi siedo al primo posto, e non mi volto.
13 – Con te ho trovato quello che non riesco a dire.
25 – Dopo te il mio cuore ha cambiato forma.
38 – E fu così che accese nelle sue stanze la radio e la lasciò accesa per sempre. Per tenere lontano il silenzio.
49 – Gli equilibristi sul filo non possono sbagliare un passo. I perseguitati dall’amore, ogni giorno, ogni secondo, non possono sbagliare nemmeno un pensiero.
68 – Quando un uomo è abituato ad uscire dal nero te ne accorgi. Non nella notte in cui si rotola fra il letto e il posacenere, per venire a capo di una donna. Ma quando nel mattino arriva la prima luce. La differenza sta lì: non bisogna fare una risata rumorosa, ma un sorriso contenuto, mettendosi a lavorare in silenzio.
72 – IL FANTASMA DELL’OPERA. All’opera ci sono tanti personaggi stasera. Alcuni cantanti sono grassi, altre sono belle donne. Alcuni hanno la spada e dichiarano vendetta, altri hanno un fiore e dichiarano amore. La storia comincia, diventa importante e poi finisce. L’orchestra tocca l’apice e il pubblico applaude. Gli attori si tengono per mano e fanno un inchino. Un uomo in platea si alza, si gira, e si mette il cappotto. Il regista e i critici salgono sul palco. Anche qualche giornalista. Si formano gruppi di gente che parla. La tensione della performance è passata. I tecnici vanno a togliere i cavi. Qualche luce si spegne. Il rumore delle chiacchiere scende piano. Una voce da lontano si dà appuntamento al ristorante. Non rimane nessuno. Soltanto il fantasma del principe azzurro è rimasto seduto ad aspettare in mezzo al palco. E quando è sicuro di non essere sentito, lui la chiama, e riprendono a parlare.
79 – Poi ti rendi conto che non serve diventare matti. Di una persona basta capire due o tre cose.
83 – Le persone non cambiano quando sbagliano, ma quando vedono i propri errori.
93 – Quando andavi a scuola c’erano lunghe file di numeri e segni alla lavagna. Dovevi fare tutte le somme senza dimenticarti di nessun pezzo. Si faceva così per trovare il risultato.
Con le emozioni è diverso. Devi cancellare dalla lavagna tutte le parole e tutte le figure. E stare ad aspettare.
98 – Le anime perse esistono. Lo capisci con certezza dopo averne incontrata più d’una. E da quel momento, come puoi non rendere questa ricerca il centro della tua vita? Per poi prendertene cura.
99 – Te ne accorgi da come parlano. Più raramente da come scrivono. Mettono le parole in modo diverso. Hanno dei gesti, delle pose. Hanno un loro dialetto comportamentale da cui vieni influenzato. E loro assorbono ciò che è tipico di te. Sono l’uno percento. Sono persone dotate di uno stile. Quando le incontri ti lasciano un segno.
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La società è una caserma di pompieri
che accorrono frettolosi
là dove nasce una fiamma.
E dentro ognuno di noi c’è un pompiere
che si sveglia quando si accende la fiamma.
Questo ci viene insegnato,
con la carota e col bastone.
Con il piacere e col dolore.
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Sbattevano le onde,
sbattevano da tempo su una roccia
che si sosteneva da sola nel mezzo del mare.
Questa roccia aveva un cuore
che si spezzava spesso,
e aveva il suo bel da fare
a ricomporne i pezzi.
Almeno poteva dire
di avere imparato come farlo:
come ricomporlo,
il proprio cuore.
Ma ora la ferita è più profonda,
non è nel cuore:
è nella testa.
…eppure il sale delle onde è ancora dolce
a questo pensiero,
che ancora ha voglia
di vento,
di tempesta,
di sussurri.
No, non è ancora il momento della stanchezza.
La voglia di vita è ancora troppa,
e di conseguenza gli errori futuri saranno gli stessi del passato.
Ma sono davvero errori?
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De Beers dice che un diamante è per sempre, mentre Nietzsche ed Eraclito dicono che tutto diviene e se ne va. Chi ha ragione? Se costruiamo una torre e poi questa crolla, sul terreno rimangono le pietre. Se un camion se le porta via poi non rimane davvero niente. Ma se costruiamo un palazzo di pensieri ed emozioni, e se poi questo crolla, le cose vanno diversamente. All’inizio sembra una vittoria del divenire che ci ha travolto. Poi, dopo qualche giorno, camminando svoltiamo l’angolo e ritroviamo una facciata di quel palazzo in un posto dove prima non c’era. Ma non è come prima. Le finestre sono più strette, i capitelli hanno un altro stile, e hanno messo dei fiori accanto al cancello.
C’è sempre un diamante che sopravvive al divenire?
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Due anime hanno lasciato vuoto il palcoscenico. Non le lega più lo sguardo del pubblico, rimasto a bocca asciutta. Ora sono unite soltanto dalle loro capriole, come creature fatate in un teatro di Shakespeare.
Cosa è più forte? Cosa è più vero? Queste capriole fra le nuvole, indifferenti ai chilometri, o le opinioni di chi ti osserva?
Piangeranno queste anime? Ma a che servono poi le lacrime? A convincere sè stessi dell’importanza di qualcosa? E allora, se si è sicuri, non è meglio tenere gli occhi asciutti?
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Jószef Attila: più lo leggo e più mi piace. Qui c’è un’altra metafora che colpisce dritto dritto nel punto giusto. Anzi, nel punto dolente, visto che ciò che viene descritto è uno stato, per così dire, di malattia. Infatti la casa dove l’uomo dovrebbe abitare è il presente. Il futuro è una sorta di malattia necessaria.
Per quanto riguarda la forma, la traduzione che ho scelto è abbastanza libera. Più letteralmente diventa: Soltanto cio che sarà, quello è un fiore/ ciò che è, cade a pezzi.
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“Csak ami lesz, az a virág,
ami van, széthull darabokra.”
“Soltanto nel futuro
le cose sono fiori.
Qui nel presente,
tutto va in frantumi.”
“Only future things are flowers,
here in the present,
everyhting falls apart.”
RACCONTO BREVE
Il poeta con la cinepresa racconta la storia in bianco e nero di un pugile contro. La narrazione rimane scritta nel cuore del ragazzo che la segue dal divano, incantato. Le immagini del combattimento gli tornano alla mente aspettando l’autobus nel freddo, durante gli intervalli passati in disparte, e nei piccoli rumori della notte, con la fronte appoggiata alla finestra senza sonno. Nei sogni, lui supera gli ostacoli indossando i guantoni e guardando in faccia i nemici.
Ma il combattente a viso aperto è un’idea che non funziona nel mondo vero. Verrà sconfitta dalle prese in giro dei compagni, dagli inganni delle amanti e dai sotterfugi dei colleghi. Le parole volanti del poeta sono destinate a naufragare sui dettagli retrostanti sui quali si regge il mondo; a causa di questo insuccesso l’uomo smetterà di credere nel poeta. Divenuto un po’ più triste, l’uomo resterà invischiato nella gara sociale della furbizia, che mette in palio la fetta più grossa della torta benestante. Il sorriso delle sue labbra non sarà più accompagnato da quello degli occhi, e lui smetterà di guardarsi allo specchio. Addolcita dal piacere dei sensi, la nebbia della falsità lo accompagnerà fedele fin dentro la bara, economica, scelta con cura dai parenti.
Oppure, avrà un colpo di fortuna, e da un ricordo del passato nascerà un’ispirazione. Se lo sporco è annidato nei risvolti complessi del mondo, non basta una poesia per fare pulizia. Per cui no, non tornerà a confondere il mondo con le storie degli eroi, come faceva Don Chisciotte. Non si possono fermare i mulini a vento. Bisognerà prenderne atto e tornare sì a credere, ma in un modo diverso. Toglierà dunque la passione dai tumulti esterni, dei quali non si può aver ragione, e metterà un recinto e una password a protezione di un nuovo angolo del cuore, in cui le parole volanti del poeta torneranno di casa. Non più bandiera da pirati sui mari del mondo, ma preghiera di un cielo, silenziosa in un tempio.
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Poesia
Silvio non ti amavo,
però non son sicuro,
se guardo quel banchiere
scelto senza un voto.
Nel nome di un bilancio
lui chiede il sacrificio
su consiglio interessato
di uffici su nel Belgio,
che son chiamati Europa.
Silvio non ti amavo,
ma non eran mie le tasche
che cercavan le tue donne.
Quest’uomo grigio invece
ha dei soldi per amici
che non parlano italiano,
e se ne sbattono i coglioni
dei danni alla nazione.
Le cavallette hanno già fame
e gli squali sono pronti;
tempi duri abbiam davanti,
soprattutto i fine mese.
di Manuel Cappello