La rabbia verso il partner: il ruolo delicato del desiderio

Chi si arrabbia non è (quasi) mai “un mostro”. Chi si arrabbia è sempre una persona che ha a cuore qualcosa. Il che è molto umano.

Assumere questo punto di vista ci aiuta a comprendere il legame fra il sentimento della rabbia e la relazione di coppia. E aiuta anche a limitare i sensi di colpa riguardo alle nostre manifestazioni di rabbia verso il partner.

La rabbia verso il partner

La rabbia verso il partner

La rabbia (che possiamo chiamare anche collera, oppure ira) nasce quando qualcuno non rispetta le nostre aspettative e impedisce ai nostri piani di realizzarsi, quando qualcuno ci manca di rispetto, quando percepiamo una forma di ostilità che in qualche modo ci danneggia. In un ambiente competitivo, come per esempio sul posto di lavoro, sappiamo che le altre persone si comportano anzitutto in base al proprio interesse, ma dal nostro partner ci aspettiamo che tenga in maggior conto le nostre esigenze. Tanto più noi teniamo un atteggiamento aperto nei confronti del partner e nutriamo delle aspettative di fiducia, tanto più succederà che anche le cose di poca importanza ci feriscano.

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La profondità e la qualità della relazione fanno crescere le aspettative, e la crescita delle aspettative rende più facile che esse vengano tradite. È per via di tale il meccanismo che il sentimento della rabbia è sempre presente nella sfera di possibilità anche delle coppie più affiatate.

Quando in una coppia si verificano arrabbiature e conflitti occasionali, allora abbiamo a che fare con fenomeni che possono rientrare nella normalità di una relazione solida e promettente. Quando invece accadono frequentemente dei veri e propri attacchi di rabbia, allora è possibile che sia necessaria una riflessione (molto delicata) sui desideri reali di entrambi i partner, sui loro schemi tipici di attaccamento, e sugli eventuali meccanismi di dipendenza affettiva.

Nella complessa stratificazione di eventi singoli, di abitudini ripetute e di significati più o meno nascosti, si possono individuare alcuni fattori ricorrenti che possono condurre ai litigi di coppia. Questi sono l’eccesso di critica, l’accumulo di fastidio, il rifiuto inaspettato, il tradimento della fiducia e la mancanza di considerazione.1

Tra le modalità negative di gestire il conflitto si segnalano la richiesta di compensazioni e contropartite, la negazione di responsabilità e gli attacchi personali.2 Tra le abitudini costruttive vi sono invece l’ascolto empatico, l’accettazione di compromessi, la negoziazione. Sempre valido è il consiglio di esporre le proprie obiezioni seguendo questo schema: “Quando hai fatto X, io mi sono sentito Y. Se tu avessi fatto Z, per me sarebbe stato meglio” (lo sottolineava già Goleman nel suo libro sull’intelligenza emotiva). Il principio sottostante è che nella comunicazione bisognerebbe tentare di bilanciare la descrizione di ciò che non va bene con la descrizione delle alternative positive. Nella medesima ottica, bisognerebbe anche evitare di essere eccessivamente critici verso se stessi, unendo invece il riconoscimento dei propri errori ad un’onesta espressione delle proprie esigenze.

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Un fattore decisivo affinché i conflitti all’interno della coppia possano essere risolti in modo costruttivo, migliorando la soddisfazione coniugale, è la comprensione del partner “Maggiori livelli di accuratezza nel percepire le strategie del partner nel gestire il conflitto (…) si sono mostrati associati con maggiori livelli di soddisfazione della relazione. Consistente con queste conclusioni, la letteratura sulla percezione interpersonale (…) ha mostrato che un’accurata comprensione del comportamento del partner è collegata alla soddisfazione coniugale.”3

Perché abbia luogo un’adeguata comprensione del partner è importante saper cogliere tutti i segni, anche quelli minimi, del sentimento del proprio compagno. Solitamente le donne in questo genere di abilità sono meglio degli uomini: “Complessivamente, le evidenze trovate indicavano che le donne sono più accurate nelle loro valutazioni dei comportamenti conflittuali rispetto agli uomini.”4

Generalmente, le donne si aspettano dagli uomini (correttamente) la tendenza a minimizzare le questioni affrontate. Gli uomini, invece, si aspettano dalle donne delle conseguenze sovradimensionate, e temono più facilmente di essere rifiutati a seguito di espressioni aperte di collera.5

Le donne solitamente cercano nel rapporto una maggiore intimità, mentre gli uomini cercano maggiore autonomia. Un aspetto di questa ricerca dell’intimità si riscontra nella tendenza delle donne ad esplorare nei dettagli ed in modo critico i motivi del disaccordo, là dove gli uomini preferirebbero spesso ritirarsi dalla discussione accettando un compromesso, mostrando un atteggiamento più accomodante e passivo.6 In accordo con queste differenze, è stato anche suggerito che “le donne gestiscono il conflitto in un contesto di emozione fortemente negativa con molta più competenza rispetto agli uomini.”7

Queste differenze fra uomini e donne, naturalmente, vanno prese come un’indicazione relative alla media statistica, e non tengono conto delle differenze individuali all’interno dello stesso genere, le quali possono essere molto consistenti. Soprattutto, queste indicazioni statistiche non andrebbero impiegate come una scusa per giustificare le proprie lacune. Dovrebbero piuttosto rendersi utili come degli spunti di riflessione per capire gli aspetti su cui lavorare nell’ambito di un percorso di crescita personale.

Una possibilità di favorire l’approfondimento della comprensione reciproca, è descrivere sé stessi in modo trasparente e sincero. Se mi fido di una persona (se mi fido davvero), e se mi aspetto che questa persona voglia tener conto delle mie esigenze, allora il principio guida da seguire è quello di comunicarsi. Perché chi non ci conosce non può sapere come fare a rispettare la dimensione del nostro desiderio. Inoltre, rendendoci trasparenti diventiamo anche vulnerabili. Mettersi in gioco parlando dei nostri punti deboli significa mettere un coltello in mano al nostro interlocutore. Facciamo cosí una mossa emotiva opposta alla mancanza di rispetto che solitamente è il fattore scatenante di ogni manifestazione di collera.

In modo speculare, dovremmo anche creare le condizioni che consentano al nostro partner di rendersi trasparente nei nostri confronti. Sarebbe a dire che non dovremmo usare le informazioni in nostro possesso per colpirlo nel modo più velenoso possibile.

Naturalmente, è anche lecito immaginare che alcune coppie riescano a costruire dei propri equilibri psicologici basati sugli scambi di attacchi reciproci. Noi però preferiamo credere che esistano degli equilibri emotivi di tipo migliore. Rinunciando a dimostrare la nostra bravura ad accoltellarci a vicenda, forse ci sentiremo meno furbi, è vero, ma in compenso si renderanno percorribili alcune vie che l’atmosfera di tensione rendeva impraticabili.

Il problema della gestione della rabbia sta nell’impostare un adeguato equilibrio che eviti al tempo stesso di rinnegarla e di giustificarne pienamente le manifestazioni. Un punto di vista utile è quello suggerito dalle neuroscienze affettive di Jaak Panksepp, secondo le quali la rabbia è un sentimento naturale presente in tutti gli uomini e fondato su alcune strutture anatomiche collocate nelle parti più antiche del cervello.

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Essendo l’emozione della rabbia un modo del sentire innato nell’essere umano, quel che si può fare è comprendere come gestirla, ma è davvero difficile che una persona possa mantenere la propria esperienza immune da questo sentimento. Negando l’importanza dell’emozione della collera si rischia di creare delle situazioni di rabbia repressa, o di sviluppare sensi di colpa eccessivi per le proprie manifestazioni di aggressività ed indipendenza. Un modo adeguato di gestire l’emozione della rabbia potrebbe basarsi sull’espressione costruttiva delle proprie esigenze e dei propri desideri, in modo da evitare l’accumulo, in un certo senso, di tensioni, le quali rischiano di manifestarsi all’improvviso in uno scatto d’ira.

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Vorrei ora proporre una metafora per insistere sul fatto che un certo quantum di conflitto nella relazione di coppia è veramente difficile da evitare.

Cos’è l’ideale di una coppia? A volte sembra che sia qualcosa di simile ad una sorta di sintonizzazione perfetta. Questa sintonizzazione, però, non è come una curva che si avvicina asintoticamente ad una retta, approssimandosi sempre di più al passare del tempo. Il funzionamento di una coppia di anime non è una cosa cosí semplice. Non so nemmeno se esista un’immagine che ne renda conto in modo adeguato. Forse possiamo pensare a due alberi che decidono di coordinarsi e di produrre la stessa configurazione di rami. All’inizio è più facile, perché ci sono soltanto pochi germogli da coordinare. Ma col passare del tempo il numero dei ramoscelli e delle nuove gemme aumenta a dismisura, ed è difficile tenere il coordinamento.

Nel corso di una relazione ci si trova ad affrontare situazioni di complessità crescente, e non è realistico pensare che si sarà sempre d’accordo su tutto. Il conflitto è inevitabile. E dove c’è il conflitto è molto facile che emerga una qualche gradazione di rabbia. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di bandire l’espressione del proprio disagio e delle proprie esigenze. L’obiettivo dovrebbe essere lavorare sui modi migliori di esprimersi.

Quando abbiamo a che fare con qualcuno che si è preso l’impegno di rispettarci, un po’ di coraggio e di sincerità nel descrivere esattamente il centro emotivo della situazione in corso possono creare una sintonia preziosa. Denudarsi paga quando chi ci osserva sa accettarci come siamo. Nel nostro approccio emotivo la situazione ideale non è quella di “nessuna rabbia”. L’ideale è che la rabbia venga colta al volo quando è ancora soltanto un’irritazione, e poi, che ogni irritazione diventi l’occasione per confessare un desiderio.

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BIBLIOGRAFIA

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Keener, Emily, JoNell Strough, and Lisa DiDonato. “Gender differences and similarities in strategies for managing conflict with friends and romantic partners.” Sex Roles 67.1-2 (2012): 83-97.

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Yoo, Seung Hee, et al. “Responding to partners’ expression of anger: The role of communal motivation.” Personality and Social Psychology Bulletin 37.2 (2011): 229-241.

1Fehr et al. 1999, p. 304.

2Hojjat 2000, p. 601.

3Hojjat 2000, p. 613.

4Hojjat 2000, p. 612.

5Fehr et al. 1999, p. 306.

6Il criticare può essere inteso sia come una forma di comportamento inibito, se il desiderio è quello di aggredire in modo più fisico. Questo può far giungere alla conclusione che nelle donne l’espressione dell’ira sia più inibita. Secondo alcuni autori, infatti, le donne sono più inibite nell’esprimere la rabbia. D’altra parte, l’aggettivo “inibito” implica che vi sia una tendenza a cui non viene data espressione, il che è soltanto un’ipotesi. Inoltre, vi sono anche degli studi secondo i quali le donne non esprimono meno l’ira rispetto agli uomini. Sembra più opportuno considerare il criticismo prolungato come una modalità a sé stante di esprimere la rabbia, e non come una forma “repressa” di forme più violente, sia verbali che fisiche.

Fehr et al. 1999, p. 302-303.

7Hojjat 2000, p. 611.

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