Attacchi di rabbia (e scatti d’ira): come gestirli

La rapidità con cui la rabbia prende possesso delle nostre risorse mentali deriva dalla sua funzione naturale. Di fronte ad un’invasione del nostro territorio, infatti, dobbiamo essere pronti a difenderci subito. Per questo i muscoli vanno in tensione ed i pensieri si focalizzano sul “nemico”, facendo convergere su di lui tutta la nostra potenzialitá distruttiva, incluse le critiche verbali.

La pressione sanguigna si innalza, il respiro accelera, e cosí pure il battito cardiaco. É questo il modo in cui il nostro corpo rende disponibile il massimo dell’energia al sistema motorio. A livello mentale tendiamo ad amplificare ogni informazione che conferma la nostra interpretazione conflittuale, mentre diventiamo sordi a tutto il resto. La forza di questa canalizzazione del pensiero é davvero sorprendente, e costituisce il motivo per cui é difficile contrastare gli attacchi di rabbia.

Come notava Gabor Maté0, la rabbia ha senso soltanto quando riusciamo ad esprimerla sul momento in cui nasce. Chiaramente, questo deve avvenire in modo non distruttivo. Se troviamo il modo di dichiarare subito i bisogni che non sono stati rispettati, forse ci salveremo dalla spirale negativa indotta dall’attacco di rabbia. Ma non é sempre facile trovare un modo di comunicare adeguato al contesto. Anzi, spesso é difficile.

Una mossa che puó rivelarsi molto utile, quando ci sentiamo dominati dalla rabbia, é pensare alle persone di cui desideriamo prenderci cura. Il motivo é semplice. Se la funzione naturale della rabbia é profondamente radicata nel nostro organismo, altrettanto lo é quella della cura. Combattere i nemici é importante, ma non meno importante é prendersi cura dei propri piccoli. Con la differenza che la rabbia ci annebbia la mente e ci rende ciechi, lá dove il sentimento della cura ci predispone all’ascolto.

Fronteggiare la rabbia con la sola razionalitá puó essere difficile. Facendo appello alla cura invece, contrapponiamo alla rabbia una motivazione altrettanto primitiva e potente. Sia nel mondo umano sia in quello animale, vi sono pochi esempi di una determinazione piú grande rispetto alla madre tesa a proteggere i propri piccoli.

Non a caso, la cura é stata identificata dalle neuroscienze affettive come una struttura emotiva di base, al pari della rabbia. E nonostante questo sentimento venga associato facilmente all’archetipo femminile, esso, come ogni padre sa molto bene, fa parte anche della natura maschile.

Il problema é che da un lato l’aggressività ha una radice biologica comune a tutti gli esseri umani, ma al tempo stesso la nostra società condanna (per fortuna) il comportamento aggressivo. La rabbia é importante perché ci segnala che le nostre aspettative sono state calpestate. Ma dopo aver ascoltato con la dovuta attenzione il suo messaggio, non possiamo permetterci di lasciarle il controllo. Dobbiamo piuttosto prenderci cura delle nostre esigenze. Comunicando. Scegliendo le situazioni da frequentare. E decidendo a chi concedere la nostra fiducia.

Il tema della fiducia é molto importante. Tanto piú ci lasciamo colpire nell’intimo, tanto piú sará difficile mantenere il controllo. Per questo dobbiamo stare molto attenti quando ci apriamo, concedendo agli altri di giungere alla nostra parte piú intima. Lo psicoanalista Erik Erikson individuava nelle primissime fasi dello sviluppo il momento in cui l’individuo é chiamato ad imparare il modo giusto di concedere (o non concedere) la propria fiducia00.

In aggiunta a quanto detto finora, vale la pena descrivere alcune semplici strategie che é possibile impiegare per interrompere la proliferazione di pensieri negativi indotta dalla rabbia. Spesso queste strategie fanno ricorso al principio della distrazione: noi non abbiamo davvero il potere di rifiutare ciò che non vogliamo pensare, ma abbiamo la possibilità di praticare dei pensieri alternativi per tenere impegnata la mente e minimizzare i danni dovuti ai sentimenti ostili.


LEGGI ANCHE: La rabbia verso il partner: il ruolo delicato del desiderio


1 – Cambiare la situazione. Se abbiamo la possibilità di uscire dalla stanza, facciamolo. Ci allontaneremo cosí dalle cause immediate che hanno provocato lo scatto d’ira. E il nuovo ambiente offrirá alla nostra percezione diverse possibilitá di agire, di proteggersi, di affermarsi.

2 – Porre attenzione al respiro. È questo un metodo molto praticato nell’ambito della meditazione. L’aria entra nelle narici e rinfresca le cavità del setto nasale, poi cade veloce in gola e va a spandersi nei polmoni che si gonfiano. Il movimento di espansione termina, e i muscoli richiamano indietro l’addome. E un altro ciclo riparte. Concentrarsi su tutte le micro-sensazioni del respiro è un altro modo di tenere lontana la mente dai pensieri che infiammano l’ira. Inoltre, rallentare la respirazione ha anche un effetto calmante sull’attivazione fisiologica della rabbia.

3 – Praticare il rilassamento muscolare. Si tratta di un metodo specifico proposto inizialmente da Edmund Jacobson nei primi decenni del novecento.1 Richiede di passare in rassegna i principali gruppi muscolari del corpo soggetti ad azione volontaria (le gambe sì e l’intestino no, tanto per fare un esempio). Per ciascuno di questi gruppi muscolari si produce una tensione di 5 secondi seguita da un graduale rilassamento di 10 secondi. Come nel caso del respiro, si ottiene un doppio effetto. Anzitutto il pensiero sta impegnato nelle sensazioni corporee e non alimenta il senso di rabbia, e poi il rilassamento muscolare tende a contro-bilanciare l’attivazione fisiologica della rabbia.

4 – Contare. Nella sua semplicità, contare serve a tenere impegnati i pensieri. Passare da un numero al successivo, magari con una pronuncia ben scandita, serve come forma di distrazione dai pensieri che ci alterano.

5 – Lavorare a qualcosa che non c’entra con l’arrabbiatura. I compiti lavorativi usuali si basano su abitudini robuste e radicate, in grado di richiamare all’attenzione una schiera di dettagli e di significati. Questi riempiono lo spazio del pensiero tenendolo impegnato, che è esattamente ciò che ci serve per togliere risorse ai ragionamenti della rabbia.

6 – Guardare un film. Il film è una storia, e le storie sono la forma privilegiata che da sempre cattura l’attenzione dell’uomo. Come già sottolineato più volte, l’obiettivo è creare un alternativa che impedisca ai pensieri di ripetere i circoli viziosi che giustificano il conflitto. Altre attività utili a tal fine potrebbero essere progettare un viaggio con la fantasia piuttosto che cercare un evento per il weekend o fare ordine nelle nostre stanze.

7 – Fare attività fisica è un altro modo di gestire gli attacchi d’ira. Ma bisogna farlo senza pensare all’episodio che ci ha fatto arrabbiare, altrimenti non si interrompe la catena dei pensieri negativi. A tal proposito, si dice a volte che l’esercizio fisico sia un buon modo per sfogare la rabbia, ma dietro questa idea apparentemente semplice si celano alcune difficoltà significative. Qui puoi trovare un articolo più specifico sullo sfogo della rabbia.

8 – L’umorismo. Gli scatti d’ira dipendono dalle aspettative che abbiamo sul comportamento degli altri, e queste aspettative dipendono dal ruolo che rivestiamo. Allentare la forza con cui questi ruoli ci vincolano può togliere enfasi ai ragionamenti che alimentano la rabbia. L’umorismo ci può allora venire in aiuto come se fosse, in un certo senso, un frammento di Carnevale. A Carnevale gli uomini si vestono da donne, i ricchi si vestono da poveri e i timidi possono indossare una maschera disinibita. Ci si scambiano i ruoli. Per questo l’umorismo (fare una battuta) può allentare la tensione, perché per un momento ci separa dal ruolo e dalle aspettative da cui la rabbia si è originata.2

In questo articolo ci siamo concentrati su quel che si puó fare per gestire la rabbia nell’immediato. Per approfondire il lavoro che si puó fare sulla rabbia, potete leggere questo articolo dedicato alla rabbia repressa.


LEGGI ANCHE: La rabbia nei bambini in età prescolare (capricci, crisi isteriche e crisi di pianto)


La gestione della rabbia fa parte del più ampio tema dell’intelligenza emotiva e della regolazione emotiva. Per una panoramica sulle tecniche di regolazione emotiva puoi leggere questo articolo.

Copyright Manuel Cappello 2023 (ultimo update significativo: 19 giugno 2023)

Il contenuto di questo articolo non sostituisce il parere del medico o del professionista abilitato.

1 Su youtube potete torvare il video: “Dr. Gabor Maté on How to Process Anger and Rage | The Tim Ferriss Show”.

1 Gillibrand, Rachel, et al. Psicologia dello sviluppo. Pearson, 2019. p. 46.

1 Martha S. McCallie BSW, Claire M. Blum RN & Charlaine J. Hood (2006) Progressive Muscle Relaxation, Journal of Human Behavior in the Social Environment, 13:3, 51-66.

2 L’umorismo può anche essere un umorismo che mette in luce che non siamo molto importanti. E richiama il concetto di umiltà.

La meditazione mindfulness e la regolazione delle emozioni

Per arrabbiarsi può bastare un dettaglio sbagliato, e poi la fiamma della rabbia alimenta catene di pensieri che vanno per conto loro, senza più tenere conto della realtà. L’ideale della mindfulness1 è saper cogliere quel dettaglio sbagliato al volo, come se stessimo fermando lo screenshot di un film per salvare l’immagine che ci interessa. Naturalmente il film della realtà non può essere fermato davvero, ma quel momento di consapevolezza emotiva può essere colto, e può diventare decisivo per affrontare la situazione con più equilibrio, con più empatia, con più accortezza.

Meditazione Mindfulness e Regolazione Emotiva

Meditazione Mindfulness e Regolazione Emotiva

La meditazione mindfulness è un allenamento a percepire il proprio stato interiore, e quindi anche il proprio stato emotivo. La mindfulness si focalizza sull’interiorità fisiologica per interrompere la ruminazione e le elaborazioni concettuali (personalmente, io amo le elaborazioni concettuali, ma riconosco che in determinate circostanze bisognerebbe frenarle).

La meditazione mindfulness tipicamente comincia con degli esercizi di concentrazione sul corpo o sulla respirazione. Poi, quando si è trovata la concentrazione, si passa ad esercitare un’attenzione diffusa (open monitoring) nel corso della quale si prende atto di qualsiasi evento esterno o interno che vediamo accadere nel presente.2 Suoni, emozioni, pensieri. La focalizzazione sull’esperienza presente si accompagna ad un atteggiamento non giudicante. Questo è fondamentale. Significa che quando un pensiero non ci piace, noi non pratichiamo l’evitamento, non lo ricacciamo indietro, non lo sopprimiamo. Quel che facciamo è accettarlo, restando a guardarlo momento per momento. E nel fare ciò ci vietiamo di dare corso alle catene di verbalizzazioni interiori che così facilmente tendono a germogliare.3

L’atteggiamento non giudicante e l’accettazione conducono a un decentramento dell’esperienza. È questo un altro aspetto importante della psicologia della mindfulness. Anziché vivere gli eventi identificandoci strettamente con il nostro io (con il soggetto grammaticale dei nostri ragionamenti), gli eventi vengono inseriti in un contesto più articolato, in una cornice di riferimento costituita dalla percezione consapevole dei propri molteplici processi interiori.

Mindfulness significa consapevolezza. La meditazione mindfulness è un adattamento occidentale di alcuni metodi di meditazione appartenenti alla tradizione del Buddismo e dello Yoga. Jon Kabat-Zinn, americano, è un personaggio importante nella storia della mindfulness. Nel 1979 ha creato un programma di riduzione dello stress basato sulle idee fondanti della mindfulness, apprese nel corso delle sue frequentazioni di ambienti buddisti zen. Questo programma di otto settimane diverrà poi famoso con l’acronimo MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction: riduzione dello stress basata sulla mindfulness.)

LEGGI ANCHE: Lo stress e la depressione

La formalizzazione delle pratiche di meditazione è stata seguita da un’accresciuta attenzione da parte della ricerca scientifica. Gli effetti della meditazione si sono rivelati benefici per molte patologie della psiche fra cui lo stress, l’ansia, la depressione. Le tecniche di brain imaging hanno rivelato che la pratica della meditazione può cambiare il profilo immediato dell’attività mentale, e nel lungo periodo si possono anche riscontrare dei cambiamenti nelle connessioni fra le diverse aree del cervello.

Le emozioni sono dei processi che possono essere attivati da ciò che vediamo nel mondo, oppure da qualche memoria. Le emozioni hanno conseguenze fisiologiche e cognitive. L’innesco della rabbia, ad esempio, può essere dovuto ad un atto di mancato rispetto, e fra le conseguenze fisiologiche vi sono l’innalzamento della pressione sanguigna, l’accelerazione del battito cardiaco e della respirazione, e un’accresciuta tensione dei muscoli. Da un punto di vista cognitivo, la rabbia produce una catena di pensieri tesi alla distruzione, all’attacco di chi ci ha offeso. La rabbia promuove l’azione necessaria a ristabilire “il nostro territorio”.

La rabbia ha un senso dunque, ma è evidente che può fare dei danni. L’allenamento della mindfulness ci può aiutare a intervenire il prima possibile, quando la rabbia è stata appena innescata, così che sia più facile gestirla. La rapidità d’intervento è uno dei capisaldi della regolazione emotiva.

La mindfulness non ci rende soltanto più bravi a cogliere al volo le manifestazioni dei fenomeni emotivi, siano essi la rabbia, gli attacchi di panico, o le crisi di ansia. L’ascolto sistematico della nostra interiorità crea una sorta di mondo alternativo nel quale si possono tenere impegnati i pensieri. La pratica continua dell’ascolto delle tensioni muscolari e del respiro ci può trasformare, per così dire, in intenditori di noi stessi. È come se sviluppassimo un nuovo gusto per assaporare la nostra interiorità fisiologica.

Quando non vogliamo alimentare un processo emotivo, è molto, molto utile riuscire a concentrarci su qualcosa d’altro (nella letteratura specializzata sulla regolazione emotiva si parla di distrazione), ed è importante che lo si faccia appena possibile . La pratica meditativa ci rende sempre disponibile un’area interiore in cui rifugiarci per staccare la spina dalle ruminazioni concettuali che amplificherebbero le emozioni sgradite.4

Ho parlato finora delle emozioni in termini negativi. Qualcuno forse potrebbe parlare della rabbia come di una forza positiva, ma in fin dei conti le persone arrabbiate non sono felici. Né l’ansia è attraente. Né tanto meno gli attacchi di panico. Ma il cielo delle emozioni è solo per metà colorato di grigio. Vi sono anche emozioni per cui vale la pena vivere. Due di esse, in particolare mi paiono collegate alla pratica di meditazione.

La meditazione si inserisce nella visione del mondo di chi la pratica. Credo vi siano persone che vivono la meditazione come una forma di distacco dal mondo. Io preferisco intenderla come un esercizio per capire quali sia il modo migliore di essere coinvolti nel mondo, il che presuppone anche la capacità di distaccarci da ciò che ci fa male. Soprattutto, credo che sia utile intendere la meditazione in generale, e quindi anche la mindfulness, come una forma di cura. Nell’immediato come una cura verso sé stessi, e più in generale come la coltivazione della capacità di prenderci cura anche delle persone a cui teniamo. La cura, o amore materno, è una delle emozioni primarie secondo le neuroscienze affettive.

La curiosità è un’altra manifestazione emotiva primaria, anch’essa di natura positiva. La curiosità, a me piace pensare, è la vittoria della meditazione e della regolazione emotiva insieme. La curiosità è l’attenzione volta al nuovo, allo scoprire, all’indagare. Chi riesce a far nascere la curiosità, con ciò si è lasciato definitivamente dietro gli schemi fissi alimentati dalla rabbia e dalla paura.

Per gestire le emozioni bisogna anzitutto diventare conoscitori di sé stessi e degli altri. Chi resta prigioniero dei pensieri ciclici non può fare altro che ripetere gli stessi errori. Chi sa diventare curioso delle situazioni emotive invece, è destinato a crescere e a scoprire piccoli tesori nel mondo delle relazioni sociali.

La meditazione, diceva qualcuno, è il singolo cambiamento più importante che una persona possa intraprendere per la propria crescita personale. Di sicuro la meditazione può essere un capitolo importante da aprire nel percorso di una vita. Io credo che il modo giusto di approcciarla non sia un tentativo circoscritto ad una seduta fine a sé stessa. Io ho iniziato a meditare quando mi sono sentito sicuro che avrei dedicato alla meditazione uno spazio piccolo, sì, ma quotidiano. A tempo indeterminato.

Ciascuno di noi segue percorsi diversi per arrivare a questo tipo di decisioni. Per me c’è stata una cosa importante da capire. Nel nostro immaginario la meditazione richiama alla mente delle figure di maestri orientali che vengono da una cultura separata dalla nostra da millenni di civilizzazione distinta. Ciononostante, la meditazione non va vista come una pratica presa a prestito dalla tradizione buddista piuttosto che da quella indiana. La meditazione, io credo, appartiene ad un patrimonio più antico, comune a tutti gli uomini.

Praticare la meditazione, allora, non è una fuga verso qualcosa di esotico e non è un espediente alla moda. È una decisione importante per trovare il proprio centro, un appuntamento con sé stessi, una scelta di lungo periodo che porta ordine nel nostro orizzonte. La meditazione è la scelta di coltivare una sensibilità molto delicata, e il mondo delle emozioni è il territorio dove tale sensibilità può dare i suoi frutti migliori.

Per farti un’idea generale sulla regolazione emotiva ti consiglio di leggere quest’articolo: La regolazione emotiva: Tre orientamenti

Se hai trovato questo post interessante, ti consiglio di approfondire anche il tema dell’intelligenza emotiva, che è molto prossimo a quello di regolazione emotiva.

Le emozioni sono dei processi. È su tale premessa che si basa l’alleanza fra meditazione e regolazione emotiva. Nel modello componenziale di Klaus Scherer troverai un approccio scientifico alla natura processuale delle emozioni.

1L’articolo accademico di riferimento per la stesura di questo testo è il seguente: Farb, N. A., Anderson, A. K., Irving, J. A., & Segal, Z. V. (2014). Mindfulness interventions and emotion regulation. Handbook of emotion regulation, 2, 548-570

2To strengthen attention, MT begins with concentrative attention practices that often focus on physical sensations, such as fine-grained “body scans”, in which individuals attend to physical sensation from specific body parts, or feeling of respiration (…) However, mindfulness practices then transition from focal attention to open monitoring, widespread attention to all sensations, thoughts, and emotions.” Farb e altri 2014, pagina 551-552.

3La mia personale esperienza mi dice che all’inizio è difficile farlo, ma i meditatori di lungo corso dicono che poi ci si riesce.

4Faccio notare un’ambiguità che si può incontrare quando la mindfulness viene presa in considerazione negli articoli scientifici. In un certo senso l’attenzione interocettiva della mindfulness può essere considerata una distrazione dalle ruminazioni concettuali. In un altro senso non è esattamente una distrazione, perché comunque mantiene l’attenzione sulla componente fisiologica dell’emozione in corso.

L’intelligenza emotiva e l’anti-solitudine. Quando la regolazione emotiva diventa filosofia

Nei mesi scorsi ho letto Intelligenza Emotiva di Goleman e ne ho scritto una sintesi. È un libro che si mantiene interessante a più di vent’anni dalla prima edizione; tuttavia, c’è qualcosa nell’impostazione generale che non riesco a digerire.

Goleman dedica molto spazio a raccontare le storie di persone impazzite che fanno strage di minori, omicidi dovuti ad eccessi di rabbia, gravi litigi nati da futili motivi, crisi di coppia, figli maltrattati, ambienti di lavoro corrosivi e medici che non sanno entrate in empatia coi pazienti.

Goleman costruisce gran parte della sua narrazione riferendosi ad esempi tratti dalla cronaca nera, o comunque da situazioni dove l’emotività si lega ad un fallimento del vivere insieme. Nella sua narrativa le tre emozioni principali sono la rabbia, la paura e la tristezza-depressione. In tale visione, la persona emotivamente intelligente è quella che si destreggia meglio tra gli ostacoli-emozioni, evitando di inciamparvi.1

Vi sono alcuni aspetti di questa impostazione che mi interessa approfondire, ed a tale scopo potrà esserci utile un paragone fra Goleman e le neuroscienze affettive di Jaak Panksepp.

Se Goleman è un abile conferenziere che usa molte storie tratte dalla quotidianità, soffermandosi molto sull’aspetto conflittuale degli intercorsi emotivi, se Goleman invoca una forma di intelligenza capace di porre ordine nel caos generato dalle emozioni, allora Panksepp è (lasciatemi usare un po’ di fantasia) il profeta delle emozioni.

Secondo Panksepp il nostro stare insieme non è il frutto della mediazione effettuata da una saggia ragione per mettere pace tra le scapestrate emozioni. Al contrario, il nostro stare insieme e il nostro essere sociali si fondano proprio su alcuni sistemi emotivi fondamentali quali la cura (l’amore materno), il gioco e la pena della solitudine. Queste emozioni fondamentali sono molto diffuse e sviluppate in particolare tra i mammiferi (noi inclusi), ed infatti i mammiferi si organizzano di frequente in compagini sociali che fra i rettili sono assenti.

Semplificando ulteriormente, Goleman dice NO a paura, rabbia e tristezza-depressione, là dove la mossa psicologica fondamentale di Panksepp è dire SI alla cura ed al gioco. Chi scrive preferisce nettamente l’impostazione di Panksepp, perché questi costruisce il suo discorso attorno all’affermazione di ciò che si desidera anziché attorno alla negazione di ciò che si vuole limitare. Negare un pensiero non è assolutamente la strategia migliore per tenerlo fuori dal lavorio della nostra mente. A tale scopo funziona meglio tenere la mente impegnata su un altro tema.2

Quanto detto finora lo avevamo già accennato in alcuni post precedenti, ma qui vorrei aggiungere qualcos’altro. Detto nel modo più semplice possibile, ci rendiamo conto che anche noi (seguendo Panksepp) costruiamo il nostro discorso organizzandolo attorno a una negazione importante, in modo simile a quanto faceva Goleman. Ci troviamo infatti ad organizzare il nostro sistema di valori dicendo NO alla pena della solitudine. Ed io mi chiedo se non vi sia la possibilità di sostituire questa negazione con un’affermazione che abbia un significato equivalente. Perché la negazione contiene sempre in sé un invito al proprio opposto, mentre l’affermazione è una base più solida su cui costruire.

Anziché ripetermi che non devo mangiare i carboidrati, farei meglio ad imparare le ricette che valorizzano le verdure; anziché immaginare tutte le possibilità di tradimento della mia compagna, farei meglio a creare momenti positivi insieme; anziché lamentarmi dei miei fallimenti, farei meglio a elaborare un nuovo progetto di vita. Lo schema è chiaro a sufficienza. Anziché spendere le energie mentali opponendosi a un certo fattore X, si dovrebbe lavorare per promuovere il suo opposto. Ma quale è l’opposto della pena della solitudine?

Panksepp in inglese indica questo sistema emotivo primario con la parola GRIEF. Noi abbiamo scelto di tradurre in italiano con l’espressione ‘pena della solitudine’ per indicare sia l’aspetto di dolore che è connesso a tale fenomeno, sia il fatto che una situazione caratteristica in cui si genera è l’assenza dei nostri simili. La pena della solitudine è il sistema emotivo che promuove il pianto nel bambino quando questi si rende conto dell’assenza della madre.3 Vi è in ciò qualcosa di molto simile alla comune idea di tristezza, ma, mentre la pena della solitudine è proprio una pena, a volte la tristezza può essere concettualizzata come una sorta di vaga consapevolezza che già porta in sé alcune note di conforto, dovute alla stratificazione cognitiva.

Chi abita, dunque, al polo opposto della pena della solitudine? Forse la vera amicizia, forse il canto, forse essere il destinatario di un prendersi cura. Forse la propria casa, forse la tradizione, forse una bandiera, forse la sensazione promossa da uno stupefacente a base di oppiacei di cui non sostengo l’impiego. Alcuni candidati ci sono, ma non è facile sceglierne uno come centro del significato che vogliamo esprimere. Più in generale, le parole che impieghiamo per indicare le nostre emozioni primarie sono il risultato di una stratificazione molto antica, e non si può avere la pretesa di ribaltarle con un ragionamento lungo appena lo spazio dell’articolo di un blog. Nondimeno, non riesco a rinunciare a quest’idea, che anziché fuggire il vuoto ed il disagio della solitudine ci troveremmo meglio se riuscissimo a indirizzare il nostro sguardo verso quella forma di calore e di benessere che si trova al capo opposto del sentire. L’inseguimento del caldo mi sembra un progetto di vita più costruttivo rispetto alla fuga dal freddo, ma mi manca l’appiglio linguistico con cui costruire l’affermazione che mi serve.

Antisolitudine come regolazione emotiva

Antisolitudine come regolazione emotiva

La parola anti-solitudine forse non esprime correttamente il (supposto) polo opposto della pena della solitudine, ma esprime bene l’esigenza che ho tentato di descrivere. È un’idea di cui abbiamo bisogno per dire come vogliamo vivere, per disegnare i paradisi verso cui vogliamo navigare anziché gli abissi che ci inquietano. Si tratta, se volete, di una forma di regolazione emotiva su scala filosofica.


NEL SEGUENTE ARTICOLO ABBIAMO ELABORATO ULTERIORMENTE L’IDEA DI UN POLO OPPOSTO ALLA SOLITUDINE: Edward Tronick, le emozioni nei bambini e il momento dell’incontro


Per approfondire il tema della regolazione emotiva ti consiglio di leggere i seguenti articoli:

La regolazione emotiva: Tre orientamenti (una panoramica sulle tecniche di regolazione emotiva)

Regolazione Emotiva: Distrazione e Reinterpretazione

1 Per non essere ingiusti verso Goleman bisogna dire che vi sono anche dei lati più ottimistici della sua prosa, e che la parte pessimistica è comunque verosimile. Ciononostante, nel discorso di Goleman le emozioni sono presentate troppo spesso come una fonte di caos che bisogna imparare a tenere sotto controllo.

2 “Specificare cosa non fare sembra avere un effetto contrario, perché dà risalto alla tentazione, rendendola più desiderabile e più difficile da controllare”

Mann, Traci, Denise de Ridder and Kentaro Fujita, “Self-regulation of health behavior: Social psychological approaches to goal setting and goal striving,” Health Psychology, 32(5), (2013), 487-498, p. 492. http://dx.doi.org/10.1037/a0028533

3 Panksepp, Jaak and Lucy Biven, The Archaeology of Mind, Neuroevolutionary Origins of Human Emotions (New York: W.W. Norton & Company, 2012).

Cappello, Manuel, 2017, Le emozioni di base secondo Panksepp. http://it.manuelcappello.com/2017/05/le-emozioni-base-secondo-panksepp/

La regolazione emotiva: Tre orientamenti

Una panoramica delle tecniche per gestire le emozioni

Regolare le emozioni è come essere un giardiniere. È come prendersi cura delle piante e dei fiori. Lo sviluppo della regolazione emotiva non ci fa “vivere di meno” e diventare, per cosí dire, più grigi e più scialbi. Le persone con una migliore autoregolazione emotiva hanno una vita interiore ricca di sfumature.1 Il nostro scopo ultimo non è quello di impedire all’emotività di manifestarsi, quanto quello di incanalarla in forme proporzionate e godibili.

Quando siamo presi dalla rabbia, dalla paura o dalla tristezza, questo dipende dalla nostra sensibilità emotiva, che è una parte della nostra personalità relativamente stabile nel corso del tempo. Come poi gestiamo la rabbia, la paura o la tristezza, questo invece fa parte della regolazione emotiva, ed è un arte che col tempo si può apprendere ed affinare. La sensibilità emotiva riguarda l’inizio di un evento emotivo, là dove la regolazione emotiva è l’insieme dei processi che si attuano successivamente, per gestire le dinamiche emotive in corso. 2

Sander Koole3 è l’autore di una rassegna sulle più diffuse tecniche per la regolazione delle emozioni, pubblicata nel 2009. In questo post ripercorriamo l’esposizione di Koole, in cerca dei suggerimenti più adatti per gestire la emozioni in base al nostro stile di vita.

Si possono individuare molteplici strategie di regolazione emotiva di varia natura. Si va dal rilassamento muscolare alla reinterpretazione cognitiva, dalla scrittura espressiva alla meditazione, passando per il controllo del respiro, la soppressione delle emozioni, lo sfogo della rabbia, l’esagerazione dell’espressione e diverse altre. Non è facile organizzare questo materiale teorico in modo sistematico.

Un primo approccio descritto da Koole consiste nell’ordinare queste tecniche in base al sistema su cui intervengono, considerato nell’ambito dell’organizzazione psichica della persona. Si hanno cosí le tecniche per controllare le emozioni che si focalizzano sul contenuto dell’attenzione (come quando ci concentriamo su un compito impegnativo per distrarci da un pensiero sgradito), quelle che agiscono sulla dimensione cognitiva del sapere-che (come quando reinterpretiamo uno sgarbo e ci rendiamo conto che non era diretto a noi), e quelle che agiscono sulla dimensione corporea (come quando cerchiamo di dissimulare un espressione di disappunto).

Tre orientamenti della regolazione emotiva.

Regolazione Emotiva: Tre orientamenti

Il secondo approccio descritto da Koole si concentra non tanto sui “mezzi” (attenzione corrente, sfera della conoscenza, azione fisica), quanto sugli scopi della gestione emotiva. Si hanno cosí tre grandi famiglie: le tecniche dirette ad ottenere un benessere emotivo immediato (tecniche edonistiche),4 quelle dirette al raggiungimento di un obiettivo, e quelle che mirano a stabilire un equilibrio generale della persona.

Questi approcci non danno luogo ad una classificazione esatta, completa e definitiva; sono piuttosto delle mappe utili per orientarsi nelle varie possibilità della regolazione emotiva.

L’Orientamento al benessere immediato

Le persone in cui prevale questo orientamento tendono ad evitare gli stimoli negativi, per esempio distogliendo facilmente lo sguardo da un volto ostile o da una circostanza sgradita. Quando però gli stimoli negativi si fanno più pressanti, e non è possibile evitare di prenderli in considerazione, allora si ricorre a fantasie emotivamente positive per bilanciare il sentimento negativo.

Da un punto di vista cognitivo, questa tendenza “edonistica” si può accompagnare ad una serie di pregiudizi difensivi fra cui la banalizzazione, il criticismo la dimenticanza selettiva delle informazioni che in qualche modo ci danno fastidio, come anche il commento dispregiativo verso gli altri. Un ruolo cognitivo difensivo è riscontrabile anche nei confronti verso il basso e nella creazione di un’immagine importante di sé stessi in un ambito non raggiungibile dalle minacce attuali.5

Da un punto di vista corporeo, la focalizzazione sui bisogni edonistici immediati può far si che il consumo eccessivo di cibo venga impiegato come forma di regolazione/compensazione emotiva, e meccanismi simili possono coinvolgere l’alcol o il tabacco. Anche l’esercizio fisico e la ricerca di vicinanza fisica (soprattutto nelle donne) possono essere interpretati in questo modo.

Ciò che accomuna le tecniche di questa famiglia è la focalizzazione sul qui ed ora e sul benessere emotivo nel breve termine, il che di per sé non è un problema, ed in una certa misura è anche necessario. Il punto dirimente è che un’eccessiva concentrazione su questo tema avviene a spese del benessere di lungo periodo.

L’Orientamento agli obiettivi e ai risultati

Questo orientamento della regolazione emotiva si distingue per la focalizzazione su obiettivi, risultati o compiti ben specificati e descrivibili in parole. Una tecnica tipica in questo ambito è impiegare completamente la propria attenzione nello svolgimento di un compito che richiede un grande impegno, col risultato di distrarsi dai pensieri che alimentavano l’emozione indesiderata. Se mi concentro su un progetto lavorativo, potrò evitare di pensare troppo ai problemi situati nell’ambito della mia relazione. Se invece mi dedico alla costruzione di una casetta nel bosco, potrò evitare di pensare ai problemi di lavoro. Vale la pena ricordare che la negazione diretta dei pensieri sgraditi, al contrario della distrazione, non è molto efficace, e risulta spesso nell’effetto opposto di promuoverli.

L’orientamento agli obiettivi si fonda su di una organizzazione verbale esplicita dei propri intenti e dei propri giudizi di valore sull’ambiente circostante. Questa impostazione si accorda bene con una rielaborazione cognitiva delle situazioni basata su una verbalizzazione esplicita.

Per quanto riguarda il controllo emotivo attraverso il corpo, la focalizzazione su obiettivi e risultati si associa ad un tentativo di moderare l’espressività corporea in modo più o meno consistente. Questo può accadere, ad esempio, nel corso di una trattativa con un cliente, piuttosto che durante un esame universitario. Tale forma di soppressione dell’espressione corporea delle emozioni, però, non è molto funzionale a diminuire le sensazioni emotive provate interiormente. Un paio di alternative possono essere un’espressione esagerata dello stato emotivo, oppure lo sfogo. Nemmeno queste strategie basate sul corpo, però, sembrano essere molto efficaci.6

Nel caso dell’orientamento ad obiettivi e risultati precisi, sembra che la via migliore non sia controllare le emozioni attraverso il corpo, bensì mediante la sfera cognitiva.

L’orientamento alla persona

L’orientamento alla persona prende in considerazione la persona nella sua interezza, lavorando per integrare diversi aspetti della personalità che spesso sono considerati come poli opposti: il corpo e l’anima, le emozioni negative e quelle positive, il controllo e l’ascolto.

Tra le attività che promuovo questa forma di integrazione vi è la meditazione, e nell’ambito delle pratiche meditative Koole cita in particolare la mindfulness. Nel corso di una sessione di mindfulness le persone sono invitate a prendere atto in modo oggettivo, non giudicante, delle proprie esperienze interne ed esterne.

Il processo di integrazione può prendere la forma di una riflessione che inserisce le emozioni in una prospettiva più ampia. Abbiamo cosí la possibilità di impiegare la scrittura espressiva per promuovere la formazione di una narrativa ordinata degli eventi accaduti. Il raccontare inserisce in una cornice di riferimento gli episodi che prima di essere raccontati erano disposti in formazione sparsa.

Similmente, l’elaborazione di una buona memoria autobiografica crea un contesto di ampio respiro dentro il quale si possono collocare gli eventi emotivi, attribuendo loro un significato sullo sfondo del nostro percorso di vita.

Stati emotivi distinti sono associati a schemi di respirazione distinti, motivo per cui la respirazione controllata è un metodo valido per la regolazione emotiva, in particolare per alleviare lo stress emotivo. Negli esercizi di respirazione si esercita sia un controllo sul corpo (imponendo un certo ritmo alla respirazione) sia un ascolto delle sensazioni fisiologiche collegate al respiro. Questo intreccio di azione sul corpo e di ascolto del corpo è un esempio di integrazione che ben si coordina con l’attitudine olistica dell’orientamento alla persona.

Un simile schema di interazioni controllo-ascolto si trova anche nelle pratiche di rilassamento muscolare. Queste consistono nell’alternare brevi momenti di tensione e di rilassamento muscolare, e la loro efficacia per la diminuzione di ansia e stress è migliore quando manteniamo l’attenzione concentrata sulle sensazioni muscolari.

Regolazione emotiva ed intelligenza emotiva

L'Arte della Regolazione Emotiva

L’Arte della Regolazione Emotiva

La regolazione delle emozioni è strettamente imparentata con la regolazione dell’umore, la gestione dello stress e l’intelligenza emotiva. Non è un caso che i vantaggi attribuiti alla regolazione emotiva siano simili a quelli attribuiti all’intelligenza emotiva: miglioramento della salute mentale, soddisfazione nelle relazioni, buona riuscita sul lavoro. Rispetto alla regolazione emotiva l’intelligenza emotiva include esplicitamente la capacità di riconoscere le emozioni, non soltanto di influenzarne il corso. Soprattutto, l’intelligenza emotiva riguarda anche la capacità di interagire con le emozioni degli altri.7 Chi vuole approfondire il tema dell’intelligenza emotiva può leggere il nostro articolo: “Intelligenza emotiva di Daniel Goleman. Una sintesi ed alcune idee nuove.”

Le emozioni fondamentali secondo le neuroscienze affettive

Alla luce della rassegna di Koole, potremmo dire che la nostra personale preferenza va ad un orientamento alla persona capace di promuovere l’autoregolazione emotiva mediante un’integrazione di tipo olistico. Tale azione di coordinamento dovrebbe includere nella propria regia anche la mediazione fra la ricerca del benessere immediato e la focalizzazione sui risultati da raggiungere nel futuro. Perché questa integrazione abbia luogo, un’articolata consapevolezza dei propri stati emotivi può essere d’aiuto.8 In quest’ottica riteniamo utile una riflessione a riguardo di quali siano le emozioni fondamentali dell’uomo. Koole, nel corso della sua rassegna, fa riferimento al modello teorico di Russell, secondo il quale le emozioni sarebbero identificate da un livello di attivazione e da una valenza che assume valori da piacevole a spiacevole. Noi pensiamo che tale visione sia posta ad un livello di astrazione troppo elevato,9 e preferiamo prendere come riferimento il punto di vista delle neuroscienze affettive, le quali individuano sette emozioni fondamentali di origine biologica: paura, rabbia, eccitazione sessuale, cura, gioco, pena della solitudine, ricerca/voglia-di-fare.10 Questa visione (che può anche essere posta in continuità con il modello componenziale di Scherer), può essere approfondita leggendo il nostro testo divulgativo “Le emozioni di base secondo Panksepp”.

Qui di seguito puoi trovare altri articoli sulla regolazione emotiva:

Regolazione Emotiva: Distrazione e Reinterpretazione

Gli effetti della regolazione emotiva su ansia e depressione

1“È dunque verosimile che la vita emotiva delle persone divenga più ricca nel momento in cui le persone apprendono nuove e più potenti metodi per regolare le proprie emozioni.” Koole 2009, pagina 31. (vedi nota 2)

2Questa descrizione della distinzione fra sensibilità emotiva e regolazione emotiva rappresenta il punto di vista di Koole, ma si può notare che un lavoro sufficientemente profondo di regolazione delle emozioni implica anche uno sviluppo dell’identità personale, la quale a sua volta può influire sulla nostra sensibilità emotiva. Per esempio, la rabbia spesso si scatena quando qualcuno ci manca di rispetto, là dove la mancanza di rispetto dipende dalle nostre aspettative, e dal nostro senso di identità, ovvero da quale è di volta in volta il “territorio da difendere”. Per esempio, se ci appassioniamo alla progettazione di un viaggio e lo consideriamo come se fosse una cosa esclusivamente nostra, potremmo anche risentirci nel caso in cui i nostri compagni di viaggio dovessero tardare a prepararsi al mattino, rendendo impossibile realizzare l’intero percorso che ci eravamo immaginati. Una persona che ha sviluppato un buon livello di consapevolezza emotiva dovrebbe invece ricordarsi che non può permettersi di considerare il viaggio come cosa propria, senza tener conto delle aspettative e dei bisogni delle altre persone. Se si impara a tener distinta la passione dal senso di possesso, cosí facendo si cambiano le frontiere della propria sensibilità emotiva.

Vediamo dunque che la distinzione tra sensibilità emotiva e regolazione emotiva sembra giustificata nel breve periodo, ma tende a sfumare quando si considera un intervallo di tempo più esteso e quando si dà un senso più ampio e profondo al concetto di regolazione emotiva, andando ad includere l’intero processo di crescita personale.

3Sander L. Koole (2009): The psychology of emotion regulation: An integrative review, Cognition & Emotion, 23:1, 4-41. DOI: 10.1080/02699930802619031

4“Le strategie orientate ai bisogni (need-oriented) regolano le risposte emozionali per promuovere la soddisfazione di bisogni edonistici” Koole 2009, pagina 21

5A riguardo di questi fenomeni si potrebbe anche parlare di distorsione della realtà, ma bisogna tener presente che tale espressione implica l’esistenza di un’idea oggettiva a riguardo di cosa sia la realtà, e non è cosí scontato che su questo tema sia sempre possibile trovare un completo accordo.

6“Anche se lo sfogo è ampiamente pubblicizzato, la ricerca indica che dare sfogo alla rabbia accresce la rabbia e l’aggressività (…). Presumibilmente, lo sfogo della rabbia mette benzina sul fuoco innalzando l’attivazione dei pensieri di rabbia e le tendenze all’azione (…), che a loro volta promuovono l’emozione della rabbia ed il relativo comportamento.” Koole 2009, pagina 25.

7Vale la pena osservare che calarsi in una rete di relazioni può essere considerato come un modo di creare attorno a sé un ambiente che favorisca la propria regolazione emotiva. In tal senso anche il concetto di regolazione emotiva finisce per assumere una connotazione sociale.

8“Una volta che la conoscenza rilevante alle emozioni è stata acquisita, questa conoscenza può essere d’aiuto nei successivi sforzi di regolazione emotiva. Specificamente, quando la conoscenza delle emozioni diventa più vasta e differenziata, nuove esperienze emozionali possono essere incorporate più facilmente negli schemi cognitivi esistenti.” Koole 2009, pagina 27.

9Scherer critica il concetto di ‘core affect’ sviluppato da Russell e Barrett, il quale individua le emozioni come dei punti in uno spazio bidimensionale determinato da attivazione e valenza. Secondo Scherer questo modello corrisponde ad una forma di elaborazione cognitiva a posteriori delle emozioni, ma non vi sono indicazioni che il piano bidimensionale di valenza e attivazione sia in qualche modo più primitivo di altre rappresentazioni delle emozioni. Riporto in proposito alcune citazioni di Scherer:

“Un problema centrale con la nozione di ‘core affect’ proposta da Russell (…) e Barrett (…) è che vi è soltanto un tentativo minimo di descrivere il meccanismo mediante il quale il ‘core affect’ è prodotto.”

“Secondo, entrambi Russell e Barrett dichiarano che il ‘core affect’, un punto in un semplice spazio valenza-attivazione, è la “primitiva” psicologica centrale per il sentimento degli affetti, ed è la base per tutta la successiva elaborazione, ovvero per la costruzione di una categoria emotiva. Questa affermazione non è né giustificata teoricamente né dimostrata empiricamente.”

“Questo non significa che la proiezione a due dimensioni sia ‘core’ nel senso di essere logicamente prioritaria o più originaria o più primitiva per quanto riguarda la ‘quantità’ di elaborazione subita. Al contrario, una proiezione a poche dimensioni è più verosimilmente un prodotto molto elaborato.”

Le citazioni sono tratte dalle pagine 1335-1336 di questo articolo:

Klaus R. Scherer (2009) The dynamic architecture of emotion: Evidence for the component process model, Cognition and Emotion, 23:7, 1307-1351, DOI: 10.1080/02699930902928969

10Jaak Panksepp and Lucy Biven, The Archaeology of Mind, Neuroevolutionary Origins of Human Emotions (New York: W.W. Norton & Company, 2012).

Manuel Cappello, Le emozioni di base secondo Panksepp, (Brescia, 2017)

PSICOLOGIA, EMOZIONI, CERVELLO

In questa pagina trovate una lista completa dei nostri articoli di psicologia. Per una presentazione più narrativa potete leggere la pagina con la nostra visione psicologica.

RABBIA E DEPRESSIONE

  • LA PSICOLOGIA DELLA RABBIA: UN’OCCASIONE PER CRESCERE (articolo guida sulla rabbia)
    “…il sentimento della rabbia è una sorta di sentinella della nostra identità. Dovremmo imparare a riconoscerne i segnali più lievi ed impercettibili.”
  • LA RABBIA VERSO IL PARTNER: IL RUOLO DELICATO DEL DESIDERIO
    “Chi si arrabbia non è (quasi) mai “un mostro”. Chi si arrabbia è sempre una persona che ha a cuore qualcosa. Il che è molto umano.”
  • LA RABBIA NEI BAMBINI IN ETÀ PRESCOLARE (CAPRICCI, CRISI ISTERICHE E CRISI DI PIANTO)
    “Assistere alle crisi di rabbia di un bambino può essere spiazzante. Durante questi episodi i bambini lanciano oggetti, urlano e sbattono i piedi. Nei momenti più intensi danno calci, fanno versi, colpiscono, tirano e spingono.”
  • LA RABBIA REPRESSA
    “Le conseguenze fisiologiche della rabbia servono a raccogliere l’energia disponibile nel corpo e a concentrarla sull’azione immediata necessaria per contrastare il nemico che si è presentato all’orizzonte.”
  • ATTACCHI DI RABBIA (E SCATTI D’IRA): COME GESTIRLI.
    “Quando siamo presi dalla rabbia la prima cosa da fare è interrompere questa proliferazione di pensieri negativi. Ci sono alcuni semplici metodi da impiegare per ottenere tale risultato.”
  • SFOGARE LA RABBIA?
    “La differenza non dipende dall’energia fisica che buttiamo fuori, la differenza dipende da come riusciamo a “neutralizzare” l’atto di ostilità che ha generato il problema.”
  • INSIDE OUT E LA PSICOLOGIA DELLA RABBIA
    “Il modo migliore di comprendere la rabbia è collocarla in una storia.”
  • LA PSICOLOGIA DELLA GELOSIA
    “Tipicamente la gelosia reattiva si ha quando il partner è effettivamente coinvolto in attività intime o sessuali con un altro individuo del sesso opposto. Nel caso della gelosa possessiva, invece, si vorrebbe proibire al partner di incontrare troppi individui del sesso opposto. La persona gelosa in modo ansioso si contraddistingue per il tempo speso a rimuginare su immagini di infedeltà ipotetica e prova ansia, sospetto, preoccupazione e sfiducia.”
  • LA PSICOLOGIA DELL’ INVIDIA, UN’EMOZIONE SCONVENIENTE ***NUOVO***
    “Di tutte le emozioni l’invidia è forse quella più nascosta. La nascondiamo perché l’ostilità generata dall’invidia non è socialmente giustificata. E la nascondiamo perché mette a nudo il nostro senso di inferiorità rispetto a qualcun altro.”
  • LA RELAZIONE FRA RABBIA E DEPRESSIONE
    “Quando alla mancanza di interesse per il mondo si aggiungono delle manifestazioni significative di rabbia, allora il quadro generale della depressione può aggravarsi, dando luogo ai casi patologici più severi e tenaci.”
  • ANSIA E DEPRESSIONE: RELAZIONE E DIFFERENZE
    “L’ansia nasce da un senso di pericolo e di minaccia, mentre la depressione si caratterizza per una cronica mancanza di interesse verso il mondo.”
  • DEPRESSIONE ED ATTACCHI DI PANICO: UNA RADICE IN COMUNE?
    “Torniamo al bambino che piange perché è rimasto senza la mamma, e immaginiamoci cosa succederebbe se un uomo adulto venisse preso dalla stessa identica sensazione di quel bambino. Come si comporterebbe?”
  • LA DEPRESSIONE E IL PIANTO
    “…uno degli effetti del pianto è proprio quello di creare un incontro e una comprensione emotiva con la persona che assiste al nostro pianto.”
  • LO STRESS E LA DEPRESSIONE
    “Da un lato c’è la necessità di rimanere attivi per combattere la “battaglia” in corso. Dall’altro lato ci sarebbe l’esigenza di “staccare la spina” dalle nostre attività nel mondo, per poter recuperare (o risparmiare) energia, e per consentire cosí ad altri processi corporei di avere luogo.”
  • COMBATTERE LA DEPRESSIONE CON L’ATTIVITÀ FISICA
    “Il modo migliore di fare sport contro la depressione è concentrarsi sulla propria personale sensazione di piacere. Questo atteggiamento mentale sembra essere più importante rispetto all’attività specifica che scegliamo di praticare.”
  • EMOZIONI, DEPRESSIONE E MANIA. UNO SCHEMA DELLE INTERAZIONI
    “I sistemi emotivi della paura, della rabbia, e della pena della solitudine hanno una valenza negativa, e la loro tendenza generale è quella di deprimere le attività del SEEKING/voglia di fare.”
  • COME COMBATTERE LA DEPRESSIONE. 30 PAGINE DI INFORMAZIONE (LIBRO)
    “Faremo quindi riferimento agli sviluppi più recenti delle terapie contro la depressione, come ad esempio l’esercizio fisico, il lavoro sulle abitudini e l’importanza di evitare la ruminazione mentale.”
  • ATTACCAMENTO EVITANTE E ATTACCAMENTO ANSIOSO NEGLI ADULTI**NUOVO**
    “Le persone evitanti impiegano schemi di pensiero negativi a riguardo alle figure con cui interagiscono nelle relazioni affettive. Più precisamente, tendono ad aspettarsi un rifiuto in risposta al proprio bisogno di conforto.”

IL GIOCO

I TEORICI DELLE EMOZIONI (E DEL CERVELLO)


GESTIRE LE EMOZIONI

  • LA LISTA DELLE EMOZIONI PRIMARIE E LE NEUROSCIENZE AFFETTIVE
    Le neuroscienze affettive includono nella lista delle emozioni di base anche tre forme di comportamento che conosciamo bene ma che non siamo sempre soliti considerare come emozioni. Questi sono l’eccitazione sessuale, la cura e il gioco.”
  • REGOLAZIONE EMOTIVA: DISTRAZIONE E REINTERPRETAZIONE
    “…quando ci prendiamo cura di una persona a noi cara ne riceviamo una gratificazione ed un significato profondo, il quale funziona bene come punto di ripartenza per staccarsi dal vissuto negativo che vogliamo lasciarci alle spalle.”
  • LA REGOLAZIONE EMOTIVA: TRE ORIENTAMENTI
    “Si hanno cosí tre grandi famiglie: le tecniche dirette ad ottenere un benessere emotivo immediato (tecniche edonistiche), quelle dirette al raggiungimento di un obiettivo, e quelle che mirano a stabilire un equilibrio generale della persona.”
  • GLI EFFETTI DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA SU ANSIA E DEPRESSIONE
    “…i soggetti che prediligono la ruminazione, l’evitamento e la soppressione sono più coinvolti nei fenomeni di ansia e depressione, mentre i soggetti che favoriscono le strategie di rielaborazione, il problem solving e l’accettazione sono meno coinvolti”
  • LA MEDITAZIONE MINDFULNESS E LA REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI
    “L’ideale della mindfulness è saper cogliere quel dettaglio sbagliato al volo, come se stessimo fermando lo screenshot di un film per salvare l’immagine che ci interessa. ”
  • L’INTELLIGENZA EMOTIVA E L’ANTI-SOLITUDINE. QUANDO LA REGOLAZIONE EMOTIVA DIVENTA FILOSOFIA
    “Chi abita, dunque, al polo opposto della pena della solitudine? Forse la vera amicizia, forse il canto, forse essere il destinatario di un prendersi cura. Forse la propria casa, forse la tradizione, forse una bandiera, forse la sensazione promossa da uno stupefacente a base di oppiacei di cui non sostengo l’impiego.”
  • “INTELLIGENZA EMOTIVA” DI DANIEL GOLEMAN: UNA SINTESI (E QUALCHE IDEA NUOVA)
    “Il libro di Goleman sull’intelligenza emotiva è una sorta di passeggiata attraverso i temi della psicologia più rilevanti per la vita di tutti i giorni. L’intelligenza emotiva migliora la vita di coppia, l’ambiente di lavoro e l’educazione dei figli. Aiuta la salute del corpo, promuove il rendimento scolastico, previene i problemi con l’alcol il fumo e le droghe.”
  • L’INTELLIGENZA EMOTIVA, UN FATTORE ETEROGENEO
    “L’intelligenza emotiva si presenta come un fattore parzialmente sovrapposto a ciò che già in precedenza veniva chiamato intelligenza sociale e a ciò che Gardner, ad esempio, indicava come intelligenza interpersonale e intrapersonale.”
  • LO STUDIO DELLA PERSONALITA’ CON I BIG FIVE E LE EMOZIONI
    “Il modello dei cinque fattori riceve così un’interpretazione più profonda, e le sette emozioni di Panksepp dimostrano il loro potere esplicativo nell’ambito di un campo di studi consolidato…”