Gli effetti della regolazione emotiva su ansia e depressione

Quali sono le strategie migliori per tenere un equilibrio nella nostra vita emotiva? In questo post descriviamo il risultato di uno studio1 effettuato sugli adolescenti, i cui risultati ci appaiono interessanti anche da un punto di vista più generale.

Nel bambino da 1 a 2 anni la regolazione emotiva dipende essenzialmente dall’influenza esterna dei genitori, mentre durante l’età compresa fra 3 e 5 anni aumenta l’importanza dei processi interiori, che naturalmente si intrecciano con fattori sociali, culturali e interpersonali. Negli anni fra 6 e 12 si sviluppano le competenze esecutive (per esempio attenzione, inibizione, memoria, pianificazione), che si accompagnano ad una maggiore consapevolezza delle emozioni e ad una migliore capacità di gestirle. Queste competenze continuano a svilupparsi nel corso dell’adolescenza (dai 13 ai 18 anni), con la messa a punto di processi cognitivi sofisticati quali l’assunzione delle prospettive altrui,2 il pensiero astratto e il processo decisionale. Aumenta cosí l’abilità dei ragazzi di impiegare le strategie di regolazione emotiva in modo efficace.

Da un’analisi della letteratura è possibile individuare almeno sei strategie di regolazione emotiva. Tra di esse, quelle che hanno un effetto tendenzialmente positivo sulla salute mentale sono:

  • la reinterpretazione dei fatti che hanno dato origine all’episodio emotivo (questa è una strategia nota almeno fin dai tempi di Aristotele)

  • l’accettazione che le proprie reazioni si svolgano senza opporre nessuna resistenza (su questo punto, in particolare, torneremo più avanti).

  • il problem solving, inteso come attività volta ad appianare gli ostacoli e a cambiare le situazioni sfavorevoli

Le strategie tendenzialmente negative per la salute mentale sono invece:

  • l’evitamento degli stimoli e delle situazioni che producono esiti emotivi indesiderati (questo può funzionare nel breve periodo, ma alla lunga gli effetti negativi, per esempio l’ansiosità, prevalgono.)

  • la soppressione della sensazione emotiva e della sua espressione nel comportamento.

  • La ruminazione mentale, intesa come forma di riflessione ripetitiva e sterile su cause e conseguenze dell’esperienza emotiva corrente.

Strategie di regolazione emotiva

Lo studio a cui facciamo riferimento si occupa di verificare il legame fra queste sei strategie di regolazione emotiva e i sintomi di ansia e depressione negli adolescenti fra i 13 ed i 18 anni. Schäfer e colleghi hanno realizzato una meta-analisi in cui sono stati analizzati statisticamente i risultati di 35 studi realizzati fra il 1990 ed il 2015. I risultati della meta-analisi confermano quanto ci si aspettava dalle premesse: i soggetti che prediligono la ruminazione, l’evitamento e la soppressione sono più coinvolti nei fenomeni di ansia e depressione, mentre i soggetti che favoriscono le strategie di rielaborazione, il problem solving e l’accettazione sono meno coinvolti.3

Quanto detto finora riguarda il dato oggettivo messo in luce dai risultati sperimentali. È chiaro che questi risultati supportano l’accettazione delle emozioni in senso lato, nonché lo sviluppo delle capacità di problem solving e di rielaborazione. E sconsigliano la soppressione delle emozioni, l’evitamento e la ruminazione. Bisogna però tenere presente che questi dati rappresentano la media di molte situazioni personali qualitativamente disparate, e non vanno presi come regole definitive, bensì come una base per lo sviluppo di approcci teorici di più ampio respiro, nonché di soluzioni personalizzate in base alle situazioni specifiche delle persone coinvolte. A tal proposito vorremmo aggiungere al dato oggettivo un nostro commento personale.

Il valore dato all’accettazione richiama l’attenzione sulla necessità di scegliere interpretazioni culturali che sappiano incanalare i nostri istinti emotivi dando loro soddisfazione. Questo non significa però che dobbiamo farci star bene qualsiasi sviluppo emotivo spontaneo, perché non ci siamo solo noi, ci sono anche gli altri, e noi scegliamo una visione culturale nella quale prendersi cura degli altri è importante. Sia benvenuta dunque l’accettazione, ma intesa come proprietà generale di una comprensione profonda, di una visione culturale ampia che sappia anche porre un limite al libero corso delle emozioni. Tanto per capirci, quando siamo arrabbiati sarebbe disastroso accettare l’istinto di dare un pugno ad un amico. Sembra meglio sopprimere questo istinto sul momento, e poi tornare a discutere dell’episodio in un secondo momento, per giungere ad una comprensione condivisa che ci consenta, a quel punto sì, di trovare un sentimento di accettazione verso il nostro stato emotivo. Vediamo dunque che la soppressione è in determinati casi funzionale ad uno sviluppo positivo delle relazioni sociali. Quello che si può sconsigliare è piuttosto la soppressione reiterata ed abituale dell’esperienza emotiva.

Se ti è piaciuto questo post potresti trovare interessanti anche i seguenti:

“Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman: una sintesi (e qualche idea nuova)

Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione

Depressione ed attacchi di panico: una radice in comune?

Regolazione Emotiva: Distrazione e Reinterpretazione

La regolazione emotiva: Tre orientamenti

1Schäfer, Johanna Özlem, et al. “Emotion regulation strategies in depressive and anxiety symptoms in youth: A meta-analytic review.” Journal of youth and adolescence 46.2 (2017): 261-276.

2“Perspective taking” in inglese.

3La ruminazione e l’evitamento hanno una correlazione positiva medio-grande coi sintomi di ansia e depressione. La soppressione ha una correlazione positiva piccola. La rielaborazione e le capacità di problem solving hanno una correlazione negativa medio-piccola. L’accettazione ha una correlazione negativa medio-grande.

La differenza dell’effetto di queste strategie fra depressione e ansia è limitata. Segnaliamo che l’accettazione è più efficace contro la depressione, e che l’evitamento favorisce maggiormente la depressione. Per quanto riguarda le differenze di età, nel corso dello studio non si sono rilevati effetti statistici significativi.

“Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman: una sintesi (e qualche idea nuova).

In questo articolo riassumeremo i concetti fondamentali del famoso libro di Goleman, per poi accennare brevemente alla visione corrente delle neuroscienze affettive.

L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Il libro Intelligenza Emotiva, di Daniel Goleman

Il libro di Goleman sull’intelligenza emotiva è una sorta di passeggiata attraverso i temi della psicologia più rilevanti per la vita di tutti i giorni. L’intelligenza emotiva migliora la vita di coppia, l’ambiente di lavoro e l’educazione dei figli. Aiuta la salute del corpo, promuove il rendimento scolastico, previene i problemi con l’alcol il fumo e le droghe.

L’intelligenza emotiva implica anzitutto la capacità di riconoscere ed esprimere le emozioni comprendendone le cause. Sulla base di tale consapevolezza si sviluppa poi la capacità di influenzarne il corso. Le emozioni vissute in prima persona, da dentro, sono conosciute in modo diverso rispetto alle emozioni viste negli altri, dal di fuori. L’intelligenza emotiva è tanto più matura quanto più è in grado di riconciliare il sentimento delle nostre emozioni private con gli stati emotivi osservati nelle altre persone.

Una persona dotata di intelligenza emotiva riesce a intuire la condizione interiore dell’interlocutore, sa come parlargli, è pronta a cooperare e ad ascoltare. È in grado di assumere il punto di vista degli altri ed è predisposta a risolvere i conflitti. L’intelligenza emotiva si associa alla capacità di resistere agli stimoli immediati e al mantenimento di un livello di motivazione costante. L’equilibrio emotivo migliora la fiducia in sé stessi, facilita la gestione dell’ansia e la resistenza allo stress.

LO STUDIO DELLE EMOZIONI

All’inizio del libro Goleman dedica molto spazio alla descrizione del modo in cui la psicologia ha iniziato a interessarsi delle emozioni. La psicologia, infatti, non si è sempre interessata alla sfera emotiva. All’inizio del novecento era predominante la corrente del comportamentismo. Si desiderava impostare la psicologia come uno studio esatto del comportamento osservato dall’esterno, e il contenuto della mente era considerato inaccessibile dalla scienza. Poi, dagli anni settanta, si è affermata la corrente del cognitivismo. Il contenuto della mente veniva studiato come informazione, per mezzo della metafora del computer e del software, ma le emozioni non erano ancora oggetto di attenzione. Quando Goleman scrive, negli anni novanta, è soltanto da pochi anni che l’interesse della psicologia si è concentrato sulle emozioni, sospinto dallo sviluppo delle neuroscienze e dall’avvento delle tecnologie in grado di fornire immagini del cervello vivente.

Da un punto di vista evolutivo, il tronco cerebrale è la parte più antica del cervello, connessa al midollo spinale, e garantisce alcune funzioni fondamentali come il respiro o il metabolismo degli organi. Attorno al tronco cerebrale si sviluppa il sistema limbico, nel quale sono compresi i centri emozionali. Nel corso dell’evoluzione il sistema limbico ha sviluppato delle capacità di apprendimento e memoria, che hanno consentito una maggiore adattabilità del comportamento all’ambiente, sulla base dell’esperienza. Il passo successivo è stato lo sviluppo della corteccia cerebrale, che ha la proprietà di modulare gli impulsi emotivi generati nel sistema limbico, e rende possibile un repertorio più ampio di comportamenti.

Da questa descrizione della struttura del cervello è chiaro che le emozioni non sono un evento secondario rispetto alla vita intellettuale. I centri emotivi erano già vecchi di milioni di anni quando si è sviluppata la corteccia cerebrale, l’organo della razionalità. I circuiti emotivi sono situati nelle radici biologiche più profonde della mente, e l’aspetto esclusivamente razionale non rende conto per intero dei fenomeni che emergono dalla vita della mente. È per questo motivo che uno strumento di indagine come la misurazione del quoziente intellettivo rispecchia soltanto una parte circoscritta delle capacità della mente. Goleman insiste molto su questo punto, ricordandoci che il QI è in grado di spiegare soltanto il 20% dei fattori di successo1, e che l’intelligenza emotiva è un fattore molto importante per la buona riuscita di un progetto di vita.

LA COLLERA

La collera è una delle emozioni fondamentali a cui Goleman dedica più spazio nel corso del libro. La collera è caratterizzata da una concatenazione di pensieri che tendono ad auto-amplificarsi. Ma mano che il monologo interiore rafforza la rabbia, la nostra capacità di giudizio diventa sempre più debole, e la collera diviene più difficile da controllare. La collera ha una natura energizzante, motivo per cui a volte si ritiene benefico darle sfogo, ma questo non rappresenta la soluzione ideale al controllo della rabbia, perché dopo essersi sfogati si può rimanere allo stesso livello di emotività da cui si era partiti, se non più elevato. Per contrastare la rabbia è fondamentale interrompere la catena dei pensieri che la alimenta fin dal suo primo presentarsi, quando lo sviluppo del sentimento è ancora all’inizio. Se questo non funziona, ciò che può aiutare è evitare di alimentare la ruminazione negativa ricorrendo a delle distrazioni. Alcune valide strategie di distrazione possono essere le tecniche di rilassamento, l’attività fisica, leggere qualcosa o guardare la televisione. Quando la collera si sarà calmata sarà allora possibile compiere una riflessione per reinterpretare quanto accaduto, cercando di comprendere il punto di vista della persona che ci ha fatto arrabbiare.

Per un approfondimento su questo tema si possono leggere i nostri articoli:
La Rabbia Repressa
Attacchi di rabbia (e scatti d’ira): come gestirli.
Sfogare la rabbia?
Regolazione emotiva: distrazione e reinterpretazione.

ANSIA E PAURA

Le immagini producono manifestazioni d’ansia più intense rispetto ai pensieri. Per questo le concatenazioni dei pensieri preoccupati possono avere l’effetto di alleviare il sentimento negativo degli stati ansiosi. La riflessione promossa dalla preoccupazione ha la funzione positiva di proporre delle soluzioni per risolvere i problemi da cui scaturisce la paura. Il problema si ha quando la preoccupazione assume forme ripetitive e sterili che non conducono a nessun cambio di situazione. Se il ciclo dei pensieri ansiosi persiste, può dare luogo ad una varietà di patologie quali fobie, ossessioni e attacchi di panico. Le tecniche di rilassamento possono essere d’aiuto per distrarci e spezzare il ciclo dei ragionamenti che producono ansia, così come pure l’uso dei farmaci2. Ciò che però è più importante per affrontare l’ansia in modo sistematico è abituarsi a riconoscere sul nascere i concatenamenti di pensieri ansiosi e ripetitivi, e metterli in discussione cercando visioni alternative.


LEGGI ANCHE: Ansia e Depressione: relazione e differenze


TRISTEZZA E DEPRESSIONE

Vi sono delle situazioni in cui l’effetto di una lieve sensazione di tristezza può anche rivelarsi positivo, interrompendo le attività in corso e favorendo un momento di riflessione. Quando però la propensione all’attività diviene patologicamente bassa, allora si parla di depressione. Vengono a mancare il senso del piacere e la speranza, non si riesce più a trovare il valore e il senso di nulla, e si instaura un profondo sconforto unito ad una sensazione di dolore. La depressione è un fenomeno che riguarda più le donne degli uomini. Come nel caso dei disturbi ansiosi, la depressione è caratterizzata dalla frequente esecuzione di pensieri sterili e ripetitivi che non portano a soluzioni concrete. Interrompere le catene di ragionamenti ripetitivi è un passo importante per affrontare la depressione. Questo può essere fatto ricorrendo a distrazioni quali la lettura, piuttosto che il cinema, il sonno, un puzzle o la programmazione di un viaggio immaginario. Le tecniche di rilassamento non sono molto efficaci nel caso della depressione, mentre possono essere utili i confronti verso il basso. Uno dei modi migliori di affrontare la depressione è quello di imparare a riconoscere e perseguire le attività che ci fanno stare meglio. La ricerca dei piaceri sensuali può essere d’aiuto, come pure la pratica dell’esercizio fisico e il raggiungimento di obiettivi che ci siamo prefissati. Molto importante può rivelarsi il prendersi cura di qualcuno, per esempio sotto forma di volontariato. Chi volesse approfondire questi aspetti può leggere il nostro testo “Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione”.

LA RELAZIONE DI COPPIA

La relazione di coppia è una situazione dove si manifestano dinamiche emotive molto importanti, che tendono a modellarsi sulla base delle differenze intrinseche fra uomo e donna. Le donne sono solitamente più empatiche degli uomini, i quali invece faticano a percepire il malessere della propria compagna, e spesso si creano un’immagine più rosea del rapporto rispetto alla situazione reale. Per le donne è molto importante l’intimità che si crea parlando della relazione, mentre gli uomini, “in linea di massima, non capiscono che cosa vadano cercando le loro mogli.” Uno degli atti più negativi che possono avvenire all’interno di una relazione di coppia è l’attacco personale, la critica aspra rivolta alla persona. Al posto di questo meccanismo distruttivo dovrebbero esserci dei rimproveri costruttivi, indirizzati all’azione esatta che ha creato il problema. La formula giusta per esprimere una critica dovrebbe essere del tipo “Quando hai fatto X, mi hai fatto sentire Y; avrei preferito che avessi fatto Z.” Ad esempio: “Quando sei arrivato in ritardo mi hai fatto sentire trascurata, avrei preferito che mi avvisassi in anticipo”.

Quando in una coppia si evidenziano dei problemi, l’approccio più tipico delle donne è quello di cercare un confronto approfondito ed intenso, mentre gli uomini spesso si trovano a disagio in tale situazione, alla quale spesso reagiscono rifugiandosi in comportamenti inespressivi. I problemi nascono quando questi meccanismi diventano sterili e ripetitivi, stratificandosi, e portando i membri della coppia a vivere due vite parallele “sentendosi soli all’interno del matrimonio”.

Gli argomenti tipici su cui la coppia va in disaccordo sono il sesso, l’educazione dei figli e i soldi. Le coppie che funzionano non sono quelle che hanno eliminato il disaccordo, ma quelle che hanno trovato il modo di parlarne, pur mantenendo opinioni differenti.

Vi sono una serie di consigli che si possono dare per migliorare il benessere emotivo della coppia. Gli uomini dovrebbero “guardarsi dal tagliar corto durante la discussione offrendo troppo spesso una soluzione pratica – solitamente, per la moglie, è più importante sentire che il marito ascolta le sue lamentele ed empatizza con i suoi sentimenti (anche se non deve essere necessariamente d’accordo con lei)”. Gli uomini dovrebbero interpretare le critiche come richieste d’attenzione, mentre le donne dovrebbero evitare accuratamente di porre le critiche nella forma di attacchi diretti alla persona.

Nelle discussioni bisognerebbe evitare le divagazioni e affrontare gli argomenti uno alla volta dando al partner la possibilità di esprimersi. Bisognerebbe esercitare empatia, chiedendosi cosa c’è dietro le parole pronunciate. Quando si ha torto si dovrebbe chiedere scusa, ed è utile trovare qualcosa di buono da apprezzare nel partner. Esercitarsi ad assumere il punto di vista dell’altro è una pratica fondamentale, ma non è così scontato riuscirci. Nelle terapie di coppia si suggerisce un metodo chiamato rispecchiamento: “quando un partner dà voce a una protesta, l’altro la ripete con le proprie parole, cercando di cogliere non solo il pensiero che la anima, ma anche i sentimenti che l’accompagnano”.

LEGGI ANCHE: La rabbia verso il partner: il ruolo delicato del desiderio

L’AMBIENTE DI LAVORO

L’ambiente di lavoro è un’altra situazione tipica dove le dinamiche emozionali sono molto importanti. Quando nell’ambiente di lavoro gli equilibri emotivi sono gestiti in modo inadeguato si verificano dei fenomeni negativi quali una riduzione della produttività, un maggior numero di errori e di scadenze non rispettate, e un elevato numero di persone che scelgono di andarsene in cerca di possibilità migliori.

Un aspetto decisivo della vita emozionale dell’azienda riguarda la comunicazione delle informazioni sgradevoli. Come nel rapporto di coppia, le critiche che assumono il carattere di attacchi personali hanno effetti molto negativi. Le comunicazioni dovrebbero sempre essere specifiche, individuando in modo preciso ciò che va bene e ciò che non va bene. L’esercizio dell’empatia è consigliato per modulare in modo corretto la comunicazione dei problemi. L’indicazione di un problema dovrebbe essere accompagnata da suggerimenti su come è possibile fare meglio le cose. I momenti di comunicazione faccia a faccia e la trasmissione di un feedback frequente sono entrambi fattori che possono migliorare l’ambiente di lavoro.

Le persone che in ambito aziendale riescono meglio sono quelle che si costruiscono una rete di rapporti informali cui appoggiarsi. Queste reti informali possono essere suddivise in tre tipi: le persone con cui si parla, le persone competenti a cui si può chiedere un parere da esperti, e le persone di cui ci si fida. Chi sa costruirsi reti di questo tipo sarà molto più rapido nel raccogliere l’informazione necessaria per far fronte alle situazioni impreviste.

Una parte importante della vita aziendale si svolge in situazioni di gruppo. Ogni gruppo è dotato, per cosí dire, di un suo quoziente di intelligenza, il quale però non è determinato dalla media delle intelligenze di chi vi partecipa. L’intelligenza del gruppo dipende dall’armonia emotiva al suo interno, là dove la presenza di attriti impedisce al gruppo di mettere a frutto le capacità dei membri più capaci. Un buon livello di intelligenza emotiva dovrebbe evitare sia che alcune persone intervengano troppo ed assumano il controllo del gruppo, sia, all’opposto, che alcune persone non intervengano per nulla.

LE EMOZIONI E LA SALUTE

Goleman osserva che abbiamo a disposizione una quantità crescente di evidenze che mostrano come lo stato emotivo influisca in modo concreto sullo sviluppo di molte patologie fisiche. La collera, in particolare, ha un effetto negativo sulle cardiopatie. L’ansia e lo stress invece tendono a compromettere la funzionalità del sistema immunitario. Lo stress rappresenta la reazione alla percezione di un pericolo e rende l’organismo più pronto alla reazione di attacco e fuga (ad esempio alzando la pressione sanguigna). Questo è un vantaggio nel breve lasso di tempo in cui ci si trova di fronte ad un pericolo immediato, ma diventa controproducente quando porta ad uno stato di tensione permanente. L’effetto negativo della depressione sullo stato di salute fisico si manifesta soprattutto quando la depressione è presente insieme ad altre patologie fisiche. In tal caso la depressione è spesso associata a percentuali inferiori di decorso positivo. Un altro fattore molto importante che influenza in modo negativo il corso di una malattia è lo stato di isolamento. Non si tratta tanto di uno stato di solitudine fisica, quanto della mancanza percepita di legami sociali intimi (un approfondimento del legame fra solitudine e depressione si può leggere nel già citato libro sulla depressione).

Goleman suggerisce alcuni provvedimenti che si potrebbero prendere per migliorare l’approccio del sistema sanitario allo stato emotivo dei pazienti. Anzitutto si potrebbero inserire nel percorso di formazione dei medici alcuni momenti dedicati allo sviluppo delle capacità di ascolto ed empatia. L’insegnamento di tecniche di rilassamento ai pazienti può essere utile, soprattutto contro l’ansia e lo stress. I pazienti dovrebbero essere aiutati a porre le domande più efficaci ai dottori, i quali dovrebbero impegnarsi a rispondere in modo esauriente. I dottori dovrebbero anche descrivere con cura il corso della malattia e le condizioni tipiche del periodo di convalescenza. Un altro provvedimento interessante potrebbe essere l’organizzazione degli ospedali in modo da favorire la presenza dei familiari vicino ai pazienti.

LEGGI ANCHE: Lo stress e la depressione

L’EDUCAZIONE

Il cervello umano si mantiene plastico per tutta la durata della nostra vita, ma la plasticità delle strutture cerebrali è particolarmente evidente nelle prime fasi di vita. “Mentre le aree sensoriali maturano nella prima infanzia, e il sistema limbico entro la pubertà, i lobi frontali – sede dell’autocontrollo emotivo, della comprensione e della reazione corticale perfezionata – continuano a svilupparsi fino alla fine dell’adolescenza”3. Nel corso del processo di maturazione le reti nervose del cervello sono più esposte alle influenze dell’esperienza. Ne risulta evidente l’importanza dell’educazione che i genitori impartiscono ai figli.

Goleman si sofferma a descrivere il caso dei bambini oggetto di trascuratezza e di maltrattamenti. Quando i genitori puniscono i bambini in modo arbitrario, questi tendono a sviluppare sentimenti di inutilità ed impotenza. I bambini percossi sono solitamente più problematici e divengono facilmente indifferenti al dolore degli altri. Uno dei problemi principali è la precocità con cui i bambini ripropongono il modello di violenza proposto dai genitori.

Al di là di questi casi più tristi, Goleman considera anche alcuni approcci alle emozioni che si verificano in situazioni più normali, ma che sarebbe meglio evitare. Il primo di questi approcci è quello dei genitori che considerano i problemi emotivi dei bambini come una cosa di secondaria importanza, aspettando che passi. Un secondo approccio è quello di considerare valida qualsiasi strategia per calmare le tempeste emotive, incluso lo scontro fisico piuttosto che mercanteggiare ricorrendo alle lusinghe. Il terzo approccio negativo individuato da Goleman è quello di reprimere con durezza le manifestazioni emotive dei bambini.

LEGGI ANCHE: La rabbia nei bambini in età prescolare

L’approccio migliore sembra essere quello di dare importanza ai turbamenti emotivi del bambino, cercando di comprenderne l’origine, discutendone col bambino, cercando di suggerire delle soluzioni praticabili per calmarsi: “Invece di prenderlo a pugni, perché non trovi qualcosa con cui divertirti da solo finché non ti torna la voglia di giocare ancora con lui?”.

Un caso che richiede delle attenzioni particolari è quello dei bambini timidi. Un bambino su cinque è caratterizzato da una elevata timidezza che sembra avere origini biologiche ed i cui segni si manifestano fin dal primo anno di vita. Sono bambini tendenzialmente silenziosi, dall’atteggiamento reticente, hanno una paura pronunciata dei luoghi sconosciuti e degli estranei, sono predisposti ai sensi di colpa e ai rimorsi, e diventano facilmente ansiosi nelle situazioni sociali. Gli atteggiamenti che in questi casi sarebbe meglio evitare sono l’eccesso di protezione e l’indulgenza nello stabilire i limiti di fronte a potenziali fonti di pericolo. Ciò che funziona invece sono la fermezza nello stabilire i limiti e “una delicata pressione spingendoli a essere più estroversi”.

L’ambiente scolastico è per sua natura una situazione dove si possono intraprendere molte iniziative volte all’alfabetizzazione emotiva. Con i bambini più piccoli il focus cade sulle capacità di riconoscere le emozioni, dando loro un nome e ricollegandole alle proprie esperienze vissute. Si può lanciare il “cubo delle emozioni” e, se esce la tristezza, invitare i bambini a raccontare l’ultima situazione in cui si sono sentiti tristi. Quando si fa l’appello si può chiedere agli allievi di rispondere con un numero da uno a dieci che indica il livello dell’umore, e usare questa indicazione come punto di partenza per possibili approfondimenti. Una strategia generale da seguire è quella di soffermarsi sugli episodi emotivi che avvengono in classe e farne oggetto di discussione comune.

Vi sono alcune strategie semplici ma efficaci che si possono insegnare ai bambini per migliorare il controllo degli impulsi, e che possono essere impiegate per evitare di aggredire, di chiudersi nel broncio o di scoppiare in lacrime. Prima di tutto bisogna calmarsi e descrivere in parole la situazione che ha creato il problema, per poi valutare le alternative e pensare alle conseguenze. Con il progredire dello sviluppo intellettuale dei ragazzi, diventa sempre più importante promuovere la capacità di assumere la prospettiva degli altri.

Per chi fatica ad integrarsi nel gruppo può essere utile una forma di addestramento all’amicizia: “…vennero incoraggiati a pensare a soluzioni e a compromessi alternativi (invece di accapigliarsi), nel caso in cui sorgessero tra loro contrasti sulle regole del gioco; a ricordarsi di parlare con il compagno di giochi e di fargli domande; ad ascoltarlo e a osservarlo per vedere come agisce; a dire qualcosa di gentile quando l’altro bambino fa bene qualcosa; a sorridere e a offrire aiuto, suggerimenti o incoraggiamento.”4

Col passare degli anni i temi affrontati in classe si evolvono in base alle fasi di transizione verso l’età adulta, e l’oggetto della discussione si sposta dalle esclusioni dal gruppo e dalle prese in giro alle difficoltà dei primi appuntamenti, alla gelosia, all’incontro con il sesso, il fumo, l’alcol, le droghe.


PER APPROFONDIRE IL TEMA DELLE EMOZIONI NEI BAMBINI PICCOLI, LEGGI ANCHE: Edward Tronick, le emozioni nei bambini e il momento dell’incontro


COMMENTO

Se volessi essere un poco critico, potrei dire che nel libro di Goleman la sensibilità poetica non è di casa, e ci si trova spesso immersi in un mare di parole che avrebbero bisogno di essere sintetizzate. D’altra parte, se tralasciamo il gusto letterario, bisogna dire che Goleman scrive chiaro, ha una visione ampia dei temi di cui parla, e dice tante cose che riguardano aspetti importanti della vita quotidiana. Rimane dunque un libro da consigliare, e magari anche da regalare.

Detto questo, da quando Goleman ha scritto, nel 1995, di acqua sotto i ponti ne è passata, e le neuroscienze hanno fatto passi avanti. Chi scrive ha per punto di riferimento la visione di Jaak Panksepp, il fondatore delle neuroscienze affettive. Il punto di vista di Panksepp si può trovare sintetizzato nel nostro libro divulgativo “Le emozioni di base secondo Panksepp”.

Ci sono alcune differenze importanti fra la visione di Goleman e quella di Panksepp. In Goleman, ad esempio, passa l’idea che le emozioni siano degli istinti provenienti da un mondo preistorico in cui la vita era più difficile e violenta. Le emozioni sarebbero un residuo obsoleto che bisogna in qualche modo accomodare, se vogliamo vivere una vita di successo nel mondo civilizzato e tecnologico in cui ci troviamo.5 Questa visione è accompagnata da uno spazio argomentativo polarizzato sull’evitamento delle tre grandi emozioni a valenza negativa (rabbia, tristezza, paura) e da una riflessione meno incisiva sulle possibilità di vivere attivamente le affettività positive quali amore, felicità, sorpresa.

Nella visione di Panksepp, invece, le emozioni appaiono come una sorgente primordiale di vita a cui dobbiamo imparare ad attingere. La società non è resa possibile dalla ragione che addomestica degli istinti emotivi pericolosi ed irrazionali. La società è ricondotta invece precisamente all’azione delle emozioni, che ci spingono a cercare gli altri uomini e a costruire legami durevoli. Il ruolo della ragione non è anzitutto quello di dettare le regole che rendono possibile la società, il ruolo della ragione è quello di riconoscere e modulare queste fondamentali sorgenti di vita che sono le emozioni.

Le emozioni fondamentali secondo Goleman e secondo Panksepp

P.S. Per chi volesse leggere il libro originale di Goleman, si tenga presente che Goleman insiste davvero tanto sul ruolo centrale dell’amigdala come sorgente centrale delle emozioni, ma questa è una posizione che oggi non è più sostenibile. Panksepp al riguardo è molto esplicito.6

Se ti è piaciuto quello che hai letto, potrebbero interessarti anche gli articoli seguenti:

Le emozioni di base secondo Panksepp

L’intelligenza emotiva, un fattore eterogeneo

La teoria delle emozioni di Klaus Scherer: il modello componenziale

Emozioni, depressione e mania. Uno schema delle interazioni

Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione

1Il restante 80% include fattori di svariata natura, che possono andare dalla famiglia di origine alla fortuna, e includono anche l’intelligenza emotiva.

2Chi scrive preferisce le soluzioni che non ricorrono agli psicofarmaci

3Pagina 366

4Pagina 407, in riferimento ad un corso ideato da Steven Asher (“Helping Children Without Friends in Home and School Contexts”).

5Questo modo di vedere il ruolo delle emozioni è riflesso in modo evidente nel concetto di “sequestro emozionale”, che Goleman impiega molte volte nel suo libro. Questa impostazione alimenta l’idea che le emozioni siano un qualcosa di pericoloso da tenere a bada, e implicitamente le relega ad un ruolo secondario rispetto alla funzione di regia esercitata dalla ragione. In questo modo si ripresenta un dualismo netto fra ragione ed emozioni che lo stesso Goleman in alcuni passaggi denuncia.

6Si consideri il parere di Jaak Panksepp a riguardo del lavoro di Joseph Ledoux, che è uno dei riferimenti principali di Goleman: “Ma ha anche, purtroppo, condotto all’idea sbagliata che l’amigdala sia letteralmente il quartier generale – La Grande Stazione Centrale – per la produzione delle emozioni in generale. Non lo è.”

Jaak Panksepp e Lucy Biven. “The Archaeology of Mind. Neuroevolutionary origins of Human Emotions” (New York e Londra: 2012, Norton & Company) pagina 228.

PSICOLOGIA, EMOZIONI, CERVELLO

In questa pagina trovate una lista completa dei nostri articoli di psicologia. Per una presentazione più narrativa potete leggere la pagina con la nostra visione psicologica.

RABBIA E DEPRESSIONE

  • LA PSICOLOGIA DELLA RABBIA: UN’OCCASIONE PER CRESCERE (articolo guida sulla rabbia)
    “…il sentimento della rabbia è una sorta di sentinella della nostra identità. Dovremmo imparare a riconoscerne i segnali più lievi ed impercettibili.”
  • LA RABBIA VERSO IL PARTNER: IL RUOLO DELICATO DEL DESIDERIO
    “Chi si arrabbia non è (quasi) mai “un mostro”. Chi si arrabbia è sempre una persona che ha a cuore qualcosa. Il che è molto umano.”
  • LA RABBIA NEI BAMBINI IN ETÀ PRESCOLARE (CAPRICCI, CRISI ISTERICHE E CRISI DI PIANTO)
    “Assistere alle crisi di rabbia di un bambino può essere spiazzante. Durante questi episodi i bambini lanciano oggetti, urlano e sbattono i piedi. Nei momenti più intensi danno calci, fanno versi, colpiscono, tirano e spingono.”
  • LA RABBIA REPRESSA
    “Le conseguenze fisiologiche della rabbia servono a raccogliere l’energia disponibile nel corpo e a concentrarla sull’azione immediata necessaria per contrastare il nemico che si è presentato all’orizzonte.”
  • ATTACCHI DI RABBIA (E SCATTI D’IRA): COME GESTIRLI.
    “Quando siamo presi dalla rabbia la prima cosa da fare è interrompere questa proliferazione di pensieri negativi. Ci sono alcuni semplici metodi da impiegare per ottenere tale risultato.”
  • SFOGARE LA RABBIA?
    “La differenza non dipende dall’energia fisica che buttiamo fuori, la differenza dipende da come riusciamo a “neutralizzare” l’atto di ostilità che ha generato il problema.”
  • INSIDE OUT E LA PSICOLOGIA DELLA RABBIA
    “Il modo migliore di comprendere la rabbia è collocarla in una storia.”
  • LA PSICOLOGIA DELLA GELOSIA
    “Tipicamente la gelosia reattiva si ha quando il partner è effettivamente coinvolto in attività intime o sessuali con un altro individuo del sesso opposto. Nel caso della gelosa possessiva, invece, si vorrebbe proibire al partner di incontrare troppi individui del sesso opposto. La persona gelosa in modo ansioso si contraddistingue per il tempo speso a rimuginare su immagini di infedeltà ipotetica e prova ansia, sospetto, preoccupazione e sfiducia.”
  • LA PSICOLOGIA DELL’ INVIDIA, UN’EMOZIONE SCONVENIENTE ***NUOVO***
    “Di tutte le emozioni l’invidia è forse quella più nascosta. La nascondiamo perché l’ostilità generata dall’invidia non è socialmente giustificata. E la nascondiamo perché mette a nudo il nostro senso di inferiorità rispetto a qualcun altro.”
  • LA RELAZIONE FRA RABBIA E DEPRESSIONE
    “Quando alla mancanza di interesse per il mondo si aggiungono delle manifestazioni significative di rabbia, allora il quadro generale della depressione può aggravarsi, dando luogo ai casi patologici più severi e tenaci.”
  • ANSIA E DEPRESSIONE: RELAZIONE E DIFFERENZE
    “L’ansia nasce da un senso di pericolo e di minaccia, mentre la depressione si caratterizza per una cronica mancanza di interesse verso il mondo.”
  • DEPRESSIONE ED ATTACCHI DI PANICO: UNA RADICE IN COMUNE?
    “Torniamo al bambino che piange perché è rimasto senza la mamma, e immaginiamoci cosa succederebbe se un uomo adulto venisse preso dalla stessa identica sensazione di quel bambino. Come si comporterebbe?”
  • LA DEPRESSIONE E IL PIANTO
    “…uno degli effetti del pianto è proprio quello di creare un incontro e una comprensione emotiva con la persona che assiste al nostro pianto.”
  • LO STRESS E LA DEPRESSIONE
    “Da un lato c’è la necessità di rimanere attivi per combattere la “battaglia” in corso. Dall’altro lato ci sarebbe l’esigenza di “staccare la spina” dalle nostre attività nel mondo, per poter recuperare (o risparmiare) energia, e per consentire cosí ad altri processi corporei di avere luogo.”
  • COMBATTERE LA DEPRESSIONE CON L’ATTIVITÀ FISICA
    “Il modo migliore di fare sport contro la depressione è concentrarsi sulla propria personale sensazione di piacere. Questo atteggiamento mentale sembra essere più importante rispetto all’attività specifica che scegliamo di praticare.”
  • EMOZIONI, DEPRESSIONE E MANIA. UNO SCHEMA DELLE INTERAZIONI
    “I sistemi emotivi della paura, della rabbia, e della pena della solitudine hanno una valenza negativa, e la loro tendenza generale è quella di deprimere le attività del SEEKING/voglia di fare.”
  • COME COMBATTERE LA DEPRESSIONE. 30 PAGINE DI INFORMAZIONE (LIBRO)
    “Faremo quindi riferimento agli sviluppi più recenti delle terapie contro la depressione, come ad esempio l’esercizio fisico, il lavoro sulle abitudini e l’importanza di evitare la ruminazione mentale.”
  • ATTACCAMENTO EVITANTE E ATTACCAMENTO ANSIOSO NEGLI ADULTI**NUOVO**
    “Le persone evitanti impiegano schemi di pensiero negativi a riguardo alle figure con cui interagiscono nelle relazioni affettive. Più precisamente, tendono ad aspettarsi un rifiuto in risposta al proprio bisogno di conforto.”

IL GIOCO

I TEORICI DELLE EMOZIONI (E DEL CERVELLO)


GESTIRE LE EMOZIONI

  • LA LISTA DELLE EMOZIONI PRIMARIE E LE NEUROSCIENZE AFFETTIVE
    Le neuroscienze affettive includono nella lista delle emozioni di base anche tre forme di comportamento che conosciamo bene ma che non siamo sempre soliti considerare come emozioni. Questi sono l’eccitazione sessuale, la cura e il gioco.”
  • REGOLAZIONE EMOTIVA: DISTRAZIONE E REINTERPRETAZIONE
    “…quando ci prendiamo cura di una persona a noi cara ne riceviamo una gratificazione ed un significato profondo, il quale funziona bene come punto di ripartenza per staccarsi dal vissuto negativo che vogliamo lasciarci alle spalle.”
  • LA REGOLAZIONE EMOTIVA: TRE ORIENTAMENTI
    “Si hanno cosí tre grandi famiglie: le tecniche dirette ad ottenere un benessere emotivo immediato (tecniche edonistiche), quelle dirette al raggiungimento di un obiettivo, e quelle che mirano a stabilire un equilibrio generale della persona.”
  • GLI EFFETTI DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA SU ANSIA E DEPRESSIONE
    “…i soggetti che prediligono la ruminazione, l’evitamento e la soppressione sono più coinvolti nei fenomeni di ansia e depressione, mentre i soggetti che favoriscono le strategie di rielaborazione, il problem solving e l’accettazione sono meno coinvolti”
  • LA MEDITAZIONE MINDFULNESS E LA REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI
    “L’ideale della mindfulness è saper cogliere quel dettaglio sbagliato al volo, come se stessimo fermando lo screenshot di un film per salvare l’immagine che ci interessa. ”
  • L’INTELLIGENZA EMOTIVA E L’ANTI-SOLITUDINE. QUANDO LA REGOLAZIONE EMOTIVA DIVENTA FILOSOFIA
    “Chi abita, dunque, al polo opposto della pena della solitudine? Forse la vera amicizia, forse il canto, forse essere il destinatario di un prendersi cura. Forse la propria casa, forse la tradizione, forse una bandiera, forse la sensazione promossa da uno stupefacente a base di oppiacei di cui non sostengo l’impiego.”
  • “INTELLIGENZA EMOTIVA” DI DANIEL GOLEMAN: UNA SINTESI (E QUALCHE IDEA NUOVA)
    “Il libro di Goleman sull’intelligenza emotiva è una sorta di passeggiata attraverso i temi della psicologia più rilevanti per la vita di tutti i giorni. L’intelligenza emotiva migliora la vita di coppia, l’ambiente di lavoro e l’educazione dei figli. Aiuta la salute del corpo, promuove il rendimento scolastico, previene i problemi con l’alcol il fumo e le droghe.”
  • L’INTELLIGENZA EMOTIVA, UN FATTORE ETEROGENEO
    “L’intelligenza emotiva si presenta come un fattore parzialmente sovrapposto a ciò che già in precedenza veniva chiamato intelligenza sociale e a ciò che Gardner, ad esempio, indicava come intelligenza interpersonale e intrapersonale.”
  • LO STUDIO DELLA PERSONALITA’ CON I BIG FIVE E LE EMOZIONI
    “Il modello dei cinque fattori riceve così un’interpretazione più profonda, e le sette emozioni di Panksepp dimostrano il loro potere esplicativo nell’ambito di un campo di studi consolidato…”

Emozioni, depressione e mania. Uno schema delle interazioni

Breve introduzione alla visione psicologica delle neuroscienze affettive.

Questo schizzo è una mia interpretazione semplificata della visione psicologica di Jaak Panksepp. Vi sono sette emozioni fondamentali, a ciascuna delle quali corrisponde una struttura biologica sottostante, delle strutture nervose e dei sistemi di interazione chimica. Non si tratta soltanto di costrutti di natura sociale.

 

Di queste strutture emotive, la piú antica e profonda è quella che in inglese si chiama SEEKING. Noi abbiamo scelto di indicarla con l’espressione italiana “voglia di fare”. Questo sistema emotivo è in stretta correlazione con il livello di attività generale dell’organismo. Quando il SEEKING/voglia di fare si trova in uno stato di patologica sovreccitazione, si è in presenza di una fase di mania. Quando, all’opposto, il SEEKING/voglia di fare è in uno stato cronico di bassa attività, allora si è in presenza di una fase depressiva.

I sistemi emotivi della paura, della rabbia, e della pena della solitudine hanno una valenza negativa, e la loro tendenza generale è quella di deprimere le attività del SEEKING/voglia di fare. In particolare, secondo Panksepp, è la pena della solitudine (in inglese GRIEF) che con la sua azione protratta può condurre all’instaurarsi di fenomeni depressivi.

I sistemi emotivi che hanno una valenza positiva sono invece l’eccitazione sessuale, la cura, ed il gioco. Quando si parla di gioco nell’ambito della teoria di Panksepp bisogna ricordare che ci si riferisce essenzialmente agli episodi di gioco di lotta che sono comuni a molti mammiferi, uomo incluso.

Caratteristico della visione di Panksepp è che la pena della solitudine, la cura ed il gioco siano il sostrato emotivo grazie al quale è possibile la concretizzazione di formazioni sociali nei mammiferi. Questo implica che la socialità umana non sia il frutto specifico della razionalità verbale, la quale riuscirebbe finalmente a porre ordine nel disordine degli istinti e delle passioni. Piuttosto la radice della socialità viene a trovarsi ad un livello pre-verbale e biologico. Ed in questo noi vediamo una nota di ottimismo per il futuro del nostro essere sociali.

Naturalmente questo breve post e questo schema costituiscono soltanto un approccio super-semplificato alla visione psicologica proposta da Jaak Panksepp. Per un primo approfondimento vi invito a leggere il libro “Le emozioni di base secondo Panksepp” che ho pubblicato nel 2017, e nel quale colgo l’occasione per aggiungere alcune osservazioni di natura filosofica all’impostazione sviluppata da Panksepp.

Se ti è piaciuto quello che hai letto, potrebbero interessarti anche gli articoli seguenti:

Depressione ed attacchi di panico: una radice in comune?

Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione

L’intelligenza emotiva, un fattore eterogeneo

Il concetto di intelligenza emotiva é diventato famoso col libro omonimo di Daniel Goleman, scritto nel 1995. Sul nostro sito é disponibile un articolo in cui proponiamo un riassunto sintetico dei concetti principali esposti nel libro di Goleman. In questo post invece,  cercheremo di capire il fondamento scientifico del concetto di intelligenza emotiva, appoggiandoci in particolare ad un lavoro di Adrian Furnham.2

UN CAMPO DI APPLICAZIONE DELL’INTELLIGENZA GENERALE

Per mettere a fuoco il nodo concettuale dell’intelligenza emotiva può essere utile costruirci un esempio. Se fin da piccoli siete sempre stati appassionati di automobili e avete colto tutte le occasioni per impararne qualcosa, probabilmente ora le conoscerete molto bene, e potremo dire che avete una grande intelligenza automobilistica. Non per questo però sarà lecito ritenere che l’intelligenza automobilistica sia una struttura profonda del pensiero, con una natura ben distinta da quella dell’intelligenza generale. Al contrario, sembrerà più opportuno concepire lo sviluppo della vostra intelligenza automobilistica come una conseguenza del vostro livello di intelligenza generale e della continua frequentazione del mondo delle automobili. Le cose stanno in modo simile per quanto riguarda il caso dell’intelligenza emotiva, che non sembra essere tanto un tipo specifico di intelligenza, quanto il risultato di un’intelligenza generale applicata al mondo delle dinamiche emotive.

Il concetto di intelligenza generale si sviluppa nella moderna psicologia a partire dall’osservazione di Charles Spearman per cui i risultati scolastici nelle differenti materie sono collegati fra di loro, nel senso che di solito gli studenti ottengono risultati di un livello simile in tutte le materie, piuttosto che risultati di livello molto differente da una materia all’altra. Da ciò nasce l’ipotesi che vi sia un fattore generale di intelligenza al quale sono collegate tutte le prestazioni cognitive nei diversi campi del sapere.

Ciò di cui stiamo parlando è il quoziente di intelligenza che si misura normalmente nei test psicometrici. La rilevazione statistica di questa intelligenza generale non implica che se ne conosca la natura biologica, non ci dice se essa dipenda per esempio dal numero di neuroni, da quanto gli assoni dei neuroni sono intrecciati o da quanto frequentemente si attivino.3 Ciò che viene misurato è un’abilità largamente a valle delle strutture biologiche fondamentali da cui si origina, e che nondimeno presenta un significativo carattere di generalità.

MISURARE L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Fra i campi di applicazione degli studi sull’intelligenza emotiva vi sono il mondo del lavoro, dell’educazione, della salute. L’obiettivo di molti studi è quello di stabilire una correlazione fra le misure di intelligenza emotiva ed i risultati raggiunti da lavoratori, dirigenti, studenti, insegnanti, medici, etc. Nel prendere in considerazione il modo in cui viene definita e misurata l’intelligenza emotiva notiamo che vi sono tanti autori che se ne occupano, molti dei quali propongono una descrizione differente. Il tratto comune alle varie definizioni è l’abilità di riconoscere e regolare le emozioni sia in sé stessi che nell’ambito delle relazioni interpersonali.

Al di lá del modo in cui si definisce l’intelligenza emotiva, le misurazioni che se ne possono fare sono di due tipi fondamentali, il primo dei quali consiste nell’utilizzo di report composti di domande che chiedono al soggetto di autovalutarsi. Il vantaggio di tali questionari è la possibilità di interrogare direttamente gli aspetti qualitativi del vissuto personale. Lo svantaggio è che i soggetti possono alterare deliberatamente o inconsciamente le risposte, ad esempio per dare una migliore immagine di sé.x

L’altro metodo per misurare l’intelligenza emotiva consiste nel sottoporre i soggetti a dei test di abilità che non implicano i problemi collegati all’autovalutazione. Ad esempio, si mostra ai soggetti un’espressione facciale e gli si chiede di indicare a che emozione corrisponde. Si può chiedere anche di connettere le emozioni più adeguate a certi dipinti, fotografie, registrazioni vocali o descrizioni di situazione. Un’altra possibilità è verificare la capacità di individuare come si trasforma un’emozione a seguito di un’intensificazione.4

Furnham ha sviluppato insieme a K.V. Petrides un questionario per la misurazione dell’intelligenza emotiva che prende il nome di TEIQue.5 Nel 2016 Annamaria di Fabio ha pubblicato un articolo che si occupava di esaminare la validità della versione italiana di tale questionario su di un campione di 1154 giovani adulti italiani.6 Nel corso di questa ricerca è emersa una buona corrispondenza fra il questionario TEIQue ed un altro questionario molto popolare, quello sviluppato da Reuven Bar-on. Risulta invece bassa la correlazione fra il questionario TEIQue ed il test di abilità di Mayer, Caruso e Salovey (uno dei più importanti), ad indicare che le due procedure misurano qualcosa di diverso. La correlazione del TEIQue con il modello dei cinque fattori è moderatamente positiva: l’intelligenza emotiva da esso misurata “si sovrappone ad alcuni aspetti della personalità, ma è configurata come un costrutto distinto.”

ALCUNE CONCLUSIONI

Nel 1983 Gardner propose l’ipotesi che vi fossero 7 tipi fondamentali di intelligenza distinti uno dall’altro.7 Tale ipotesi si poneva come alternativa al fatto che vi fosse un unico fattore generale di intelligenza, ma in seguito vi sono stati alcuni studi che hanno riaffermato la validitá interpretativa del fattore unico. Il caso dell’intelligenza emotiva è simile a quello delle intelligenze multiple individuate anzitutto da Gardner e successivamente da altri. L’intelligenza emotiva sembra interpretabile meglio come un’applicazione dell’intelligenza generale al campo socio-emotivo, e non come un tipo di intelligenza a sé stante.

Per quanto riguarda la possibilità di stabilire una misurazione sicura e utile dell’intelligenza emotiva, al di là dei problemi specifici dell’autovalutazione, sembra più opportuno attendere che venga accumulata una maggiore mole di dati su cui vengano poi effettuate della meta-analisi di spessore adeguato.

L’intelligenza emotiva si presenta come un fattore parzialmente sovrapposto a ciò che già in precedenza veniva chiamato intelligenza sociale e a ciò che Gardner, ad esempio, indicava come intelligenza interpersonale e intrapersonale. Ciò non toglie che il gruppo di abilità collegate all’intelligenza emotiva abbia una notevole importanza pratica, ed il rinnovato focus di interesse sulle emozioni è da vedere con occhio positivo, anche se al momento gli studi scientifici di questo settore sembrano trascurare la natura delle emozioni fondamentali.

Facendo una ricerca su Google Scholar con la parola chiave “intelligenza emotiva”, ho scaricato una ventina di articoli accademici di cui ho controllato l’abstract e alcune bibliografie. In ció che ho letto non ho trovato riferimento alle neuroscienze affettive di Jaak Panksepp, che sono un ottimo punto di riferimento per chi vuole comprendere quali siano i sistemi emotivi fondamentali. Sembra che l’attenzione dei lavori sull’intelligenza emotiva si concentri sul problema della misurazione, ma non su quali siano le emozioni di base che andrebbero riconosciute e regolate dai soggetti coinvolti nei test. Si dà per scontato il riferimento alle emozioni tipiche degli studi sulle espressioni facciali, che peró sono differenti da quelle individuate dagli studi di Jaak Panksepp. Per approfondire questo tema si possono leggere questi due articoli: Le emozioni di base secondo Panksepp, oppure Paul Ekman e le emozioni di base.

1 Consiglio ad esempio quella che si trova sul sito tramedoro.eu

2 Adrian Furnham, Emotional Intelligence, (2012 INTECH Open Access Publisher). Ho scelto questo testo per via dell’autorevolezza dell’autore, perché ha contribuito a sviluppare uno dei test di riferimento per l’intelligenza emotiva, e perché tale testo è impostato come una meta-analisi che compara l’esito di approcci differenti al tema dell’intelligenza emotiva.

3 Si tratta di esempi di fantasia, non significativi.

3 Tale problema di misurazione viene meno là dove l’impiego di tali questionari si dimostra in grado di prevedere una variabile concreta quale il rendimento scolastico o la carriera in ambito professionale. Questa capacità previsionale è ciò che hanno di mira i ricercatori e si pone, per così dire, a valle di tutto. Se c’è quella, qualsiasi cosa possa essere accaduta nella mente di chi ha compilato i questionari non è più un’obiezione valida. Se infatti l’obiezione fosse stata valida, sarebbe stato impossibile riscontrare la capacità previsionale. Se c’è vento e devo tirare la freccia, si può giustamente dubitare della mia capacità di colpire il bersaglio. Ma la successiva osservazione di quante volte colpisco il bersaglio non vale di meno a causa di quei dubbi.

4 John D. Mayer, Peter Salovey and David R. Caruso, “Emotional Intelligence. New Ability or Eclectic Traits?,” American Psychologist Vol. 63, No. 6, (2008 September), 503–517. doi: 10.1037/0003-066X.63.6.503

5 Trait Emotional Intelligence Questionnaire. I quindici aspetti su cui si basa sono: adattabilità, assertività, espressione delle emozioni, gestione delle emozioni, percezione delle emozioni, regolazione delle emozioni, impulsività, abilità relazionale, autostima, automotivazione, competenza sociale, gestione dello stress, empatia, felicità, ottimismo.

6 Annamaria Di Fabio, Donald H. Saklofske and Paul F. Tremblay, “Psychometric properties of the Italian trait emotional intelligence questionnaire (I-TEIQue),” Personality and Individual Differences 96, (2016), 198–201. doi: http://dx.doi.org/10.1016/j.paid.2016.03.009.

7 Linguistico-verbale, logico-matematica, musicale, corporea, spaziale, interpersonale, intrapersonale.

Lo studio della personalità con i Big Five e le emozioni.

Quello che segue é un estratto dal libro Le emozioni di base secondo Panksepp, che ho pubblicato di recente.

“Lo studio dei sistemi emotivi condotto da Panksepp si pone in una prospettiva di continuità anche con la concezione dei cinque fattori, che costituisce un punto di riferimento tradizionale nell’ambito dello studio della personalità. Il modello dei cinque fattori trae origine dallo studio statistico degli aggettivi impiegati per descrivere la personalità, ed ha dimostrato di essere valido in contesti culturali differenti. I cinque fattori sono la stabilità emotiva, l’estroversione, l’apertura mentale, l’amicalità, la coscienziosità. Panksepp ha mostrato che si possono dare delle interpretazioni di questi tratti di personalità per mezzo dei sette sistemi emotivi da lui individuati: “la ricerca/voglia di fare è robustamente collegata all’apertura mentale, ed un forte sistema emotivo del gioco si accorda con un’elevata estroversione. Una cura elevata ed una rabbia limitata sono associate con un alto livello di amicalità. Alti punteggi per le emozioni negative nel loro complesso potrebbero essere all’origine dell’instabilità emotiva (con forti contributi provenienti dalla pena della solitudine e dalla paura).”1 Il modello dei cinque fattori riceve così un’interpretazione più profonda, e le sette emozioni di Panksepp dimostrano il loro potere esplicativo nell’ambito di un campo di studi consolidato (per chi volesse, il test di personalità basato sulle sette emozioni di Panksepp è facilmente recuperabile online2).”

1Christian Montag, Jaak Panksepp, “Primary emotional systems and personality: an evolutionary perspective,” Frontiers in Psychology 8:464 (2017), 9-10, doi:10.3389/fpsyg.2017.00464

2Il questionario, in inglese, si trova all’interno di questo articolo: Kenneth L. Davis, Jaak Panksepp, “The brain’s emotional foundations of human personality and the Affective Neuroscience Personality Scales,” Neuroscience and Biobehavioral Reviews 35 (2011), 1946–1958, doi: 10.1016/j.neubiorev.2011.04.004

L’articolo può essere scaricato liberamente dal sito researchgate.net.

La ruota delle emozioni di Plutchik

Nell’immagine potete vedere la ruota delle emozioni cosí come é stata impostata da Robert Plutchik. Questa figura é stata ottenuta dalle otto emozioni che Plutchik considera fondamentali. Le emozioni di qualitá opposta si trovano in posizioni contrapposte di 180 gradi. Abbiamo dunque la gioia opposta a dolore/tristezza (sorrow in inglese), la rabbia opposta alla paura, l’accettazione opposta a al disgusto, e la sorpresa in opposizione all’attesa. Plutchik é stato uno psicologo americano di impostazione psicoevoluzionistica, molto influente nel campo dello studio delle emozioni. Per una sintesi del suo pensiero puoi leggere questo post.

Robert Plutchik e la teoria psicoevoluzionistica delle emozioni

Come altri post che ho pubblicato di recente, anche questo si propone di sintetizzare il testo di uno studioso attivo nel campo della psicologia delle emozioni. Tale lavoro di sintesi è svolto nell’ottica di introdurre il lettore al testo divulgativo che ho pubblicato di recente sulle neuroscienze affettive: “Le emozioni di base secondo Panksepp”. In questa occasione prenderemo in considerazione l’articolo “The Nature of Emotions”1 di Robert Plutchik, che è stato uno psicologo statunitense particolarmente influente nel campo delle emozioni.

All’inizio dell’articolo citato, Plutchik osserva che vi sono alcune difficoltà specifiche dello studio delle emozioni. Tali difficoltà nascono dal fatto che noi siamo in grado di controllare le nostre emozioni in modo cosciente ed inconscio, dalla tendenza di parte del mondo scientifico ad escludere dallo studio queste entità così poco precise e adatte allo studio quantitativo, e da difficoltà aggiuntive di ordine linguistico, in quanto non tutti usiamo allo stesso modo le stesse parole per le stesse emozioni. Per questi motivi lo sviluppo di una teoria delle emozioni sulla base dei report verbali appare difficile, ma ciò non rende lecito escludere le emozioni dal campo dei nostri studi.

Nel descrivere i tratti fondamentali delle emozioni Plutchik sottolinea la compresenza di una dimensione comportamentale e psicologica delle emozioni, nonché il particolare sentire ad esse collegato, ed il ruolo degli stimoli specifici che le attivano. Nella sua concezione, di impronta nettamente evoluzionistica, le emozioni non sono eventi isolati ma fenomeni caratterizzati da un alto livello di integrazione con le situazioni vissute dall’individuo. L’alto livello di interazione fra emotività ed aspetti cognitivi fa sì che non abbia molto senso considerare il processo emotivo come una catena, chiedendosi che posizione esatta vi occupino le funzioni cognitive.

Plutchik tenta di generalizzare teoricamente l’effetto delle emozioni concependole come se fossero il ripristino un equilibrio che è stato alterato, ed arriva a definirle come un sistema di comportamento omeostatico, a feedback negativo.

LA POSIZIONE EVOLUZIONISTICA

Nell’articolare la propria posizione evoluzionistica Plutchik cita John Paul Scott, notando che vi sono alcuni tipi di comportamento molto diffusi sia negli organismi evoluti sia in quelli più semplici: il mangiare, la reazione di fuga-o-lotta, la sessualità, il prendersi cura, e l’investigazione. Plutchik ci segnala che non è facile connettere queste modalità di comportamento osservabili dall’esterno con meccanismi interiori o stati di coscienza. A tale riguardo è opportuno notare che il merito di Jaak Panksepp è proprio quello di aver stabilito questa connessione, grazie all’individuazione di sette sistemi emotivi situati nelle parti più antiche del cervello.

Confrontando i sistemi emotivi di Panksepp coi moduli di comportamento elencati da Plutchik, si vede che alla reazione di fuga-o-lotta corrispondono i due sistemi emotivi di paura e rabbia. Nel sistema di Panksepp inoltre l’eccitazione sessuale e la cura sono due sistemi emotivi fondamentali, così come pure la ricerca/voglia di fare, che appare simile a ciò che Plutchik chiama investigazione. Al comportamento del mangiare invece non corrisponde nessun sistema emotivo nel sistema impostato da Panksepp. Plutchik enumera tra le reazioni emotive anche il piacere, il disgusto, il dolore, che Panksepp non considera come facenti parte il novero delle emozioni. Plutchik si riferisce anche alla depressione come se fosse un’emozione, mentre Panksepp la considera come un problema di bassa attività cronica del sistema emotivo della ricerca/voglia di fare, a seguito di prolungati stimoli negativi da parte della pena della solitudine.

Per quanto riguarda l’impostazione evoluzionistica complessiva, a mio avviso Plutchik spinge l’analogia molto in basso nella scala evolutiva, forse troppo, facendo riferimento agli organismi unicellulari e scegliendo di citare un passo di Darwin dove si parla di rabbia, terrore, gelosia ed amore manifestati dagli insetti. Simili parallelismi possono essere interessanti per fare luce sui fattori ambientali esterni che provocano lo sviluppo dei sistemi emotivi, ma non ci aiutano a capire quanto sia esteso ad altre specie animali il nostro sentire le emozioni. Nel discorso di Panksepp l’analogia emotiva tra esseri umani ed animali è molto più circostanziata a mammiferi ed uccelli, con i rettili in possesso soltanto delle emozioni più primitive, e con una somiglianza relativa ad organismi semplici come i gamberi circoscritta all’effetto di quegli elementi chimici che negli umani sono droghe d’abuso.

L’ATTEGGIAMENTO VERSO LE NEUROSCIENZE

Per quanto riguarda il dato neuroscientifico,2 Plutchik sembra porlo in contrapposizione con una teoria di ampio respiro sulle emozioni, temendo forse una tendenza riduzionista che potrebbe originarsi nell’approccio neuroscientifico. A mio avviso le neuroscienze possono contribuire in modo concreto allo sviluppo di una teoria generale delle emozioni, soprattutto prendendo in considerazione anche la posizione di Panksepp, e non soltanto quella di Ledoux e Damasio, come invece sembra fare Plutchik.

L’elettrostimolazione del sistema emotivo della paura non basta certo a darci una teoria soddisfacente della paura, ma una teoria soddisfacente della paura deve accordarsi coi dati di queste pratiche di elettrostimolazione. Ciò fornisce un vincolo ed un supporto non indifferente allo sviluppo di una teoria matura sulle emozioni.

Sempre per quanto riguarda il campo degli studi neuroscientifici sulle emozioni, va notato che Plutchik segnala il ruolo importante che sarebbe rivestito dall’amigdala, la quale però secondo Panksepp avrebbe più che altro la funzione di canale di trasferimento delle emozioni, e non di sorgente. Il luogo di origine delle emozioni sarebbe da indicarsi più correttamente in alcune zone del tronco cerebrale, ad esempio nel grigio periacqueduttale (GAP, o PAG in inglese).

LE OTTO EMOZIONI PRIMARIE E LA FIGURA DEL CIRCOMPLESSO

Plutchik nota che alcuni studiosi delle emozioni avrebbero riconosciuto una somiglianza fra la nostra percezione dei colori e quella delle emozioni. In particolare, sia i colori sia le emozioni sarebbero mescolabili a formare le più diverse combinazioni. Sulla base di questa concezione Plutchik imposta una rappresentazione grafica delle emozioni che a partire da un circolo di otto emozioni primarie sviluppa una struttura chiamata circomplesso delle emozioni.

Plutchik dispone le emozioni primarie in cerchio, mettendo in posizione di vicinanza quelle simili, ed in opposizione di 180 gradi quelle di significato opposto. Nella ruota delle emozioni così ottenuta abbiamo la gioia opposta a dolore/tristezza (sorrow in inglese), la rabbia opposta alla paura, l’accettazione opposta a al disgusto, e la sorpresa in opposizione all’attesa. Successivamente Plutchik dispone le emozioni simili a quelle primarie, ma di intensità inferiore, sull’esterno, mettendole tanto più lontane quanto meno sono intense. Seguendo lo stesso principio, le emozioni simili ma più intense sono disposte all’interno della ruota delle emozioni primarie. In questo modo si ottiene una specie di fiore i cui petali possono essere uniti verso il basso creando una sorta di cono. È questa la struttura che prende il nome di circomplesso.

È abbastanza chiaro dal discorso di Plutchik che la scelta di quali siano le emozioni di base (così come il disporle in un circomplesso) è una scelta parzialmente arbitraria, fondata sul giudizio degli esperti di settore e sulla lunga tradizione esistente in letteratura, ma non su dati sperimentali chiaramente oggettivi. Plutchik non si basa su dati di natura anatomica, come accade invece negli studi delle neuroscienze affettive, ed il risultato è che vi sono molte differenze fra le emozioni di base principali individuate da Plutchik e quelle individuate da Panksepp.

Rabbia, paura e tristezza sono i punti in comune, e fanno anche parte di molte altre liste di emozioni impiegate negli studi psicologici. Anche la gioia è comunemente indicata come emozione fondamentale, ma essa non ha un esatto riscontro tra i sistemi emotivi individuati da Panksepp. Può essere considerata come manifestazione di varie combinazioni dei quattro sistemi emotivi a valenza positiva: cura, sessualità, gioco, ricerca/voglia di fare. Il disgusto è secondo Panksepp un affetto di natura più sensoriale, e non un’emozione. La sorpresa è considerata da Panksepp un fenomeno con un elevato contributo cognitivo, e non un emozione di base. L’accettazione può forse essere messa in correlazione con la cura, mentre il senso di attesa potrebbe essere messo in connessione con la ricerca/voglia di fare, ma soltanto se lo consideriamo connesso ad un senso di desiderosa anticipazione.

CONCLUSIONI

Come già nel caso di Paul Ekman, anche nel considerare la posizione di Robert Plutchik notiamo che il confronto con il sistema di Panksepp introduce ad una comprensione più sistematica delle emozioni fondamentali. In Panksepp si ritrova l’impostazione evoluzionistica presente in Plutchik, ma consolidata con l’individuazione anatomica dei sistemi emotivi fondamentali. L’impostazione di Panksepp consente di distinguere con più significatività tra le emozioni fondamentali, le emozioni derivate, ed altri affetti di natura non emotiva. La sua visione consente di comprendere meglio la sorgente dell’esperienza emotiva interiore e quindi di rintracciarne con più sicurezza la manifestazione in altre specie animali diverse da noi. Per quanto riguarda il ruolo fondativo delle emozioni rispetto al tessuto sociale, si tratta di un tema riconosciuto da Plutchik, ma che in Panksepp riveste una posizione più centrale, soprattutto nel caso di mammiferi ed uccelli. Per un approfondimento vi invito alla lettura di “Le emozioni di base secondo Panksepp”.

1Robert Plutchik, The Nature of Emotions, American Scientist, vol. 89, Issue 4, (2001/07), 344-350. doi: 10.1511/2001.4.344

2Si tenga presente che Plutchik scrive nel 2001, soltanto 3 anni dopo l’uscita del libro di Panksepp: “Affective neuroscience.” Nella biografia dell’articolo di Plutchik a cui mi riferisco Panksepp non è presente, mentre è presente un riferimento al pensiero di Antonio Damasio, che comporta importanti differenze rispetto al lavoro di Panksepp. Per quanto riguarda Damasio, questi condivide con Plutchik l’impostazione per cui le emozioni contribuiscono a ripristinare una situazione considerata omeostatica.

Paul Ekman e le emozioni di base

Paul Ekman è un teorico delle emozioni famoso per i suoi studi sulle espressioni facciali. La sua ricerca ha consentito di individuare alcune espressioni riconosciute da individui appartenenti a culture molto differenti fra loro. Questo fatto suggerisce che tali espressioni siano un fenomeno di origine innata. Ne segue che il processo di sviluppo culturale dell’esperienza emotiva non avviene in libertà completa, ma prende le mosse a partire da una predisposizione di natura biologica predefinita.1 2

Le espressioni facciali delle emozioni di base

Le espressioni facciali delle emozioni di base

Le emozioni collegate alle espressioni facciali innate sono dette “emozioni di base”, formula che sta a indicare lo svolgimento di una funzione vitale fondamentale. Le emozioni di base sono un modo con cui l’organismo affronta situazioni ricorrenti quali ad esempio il pericolo dei predatori, oppure la competizione per il cibo o per il partner. Ciascuna emozione di base si caratterizza per le situazioni specifiche che ne provocano la manifestazione, per il comportamento che ne scaturisce, e per i cambiamenti fisiologici collegati.3 4

La visione teorica di Paul Ekman si distingue proprio per essere incentrata sull’idea delle emozioni di base. Altri due studiosi importanti che partono da questa premessa sono Carroll Izard e Jaak Panksepp. Un approccio alternativo a quello delle emozioni di base si focalizza sul processo con cui l’organismo valuta la situazione ambientale (in tal caso non si assume come ipotesi di lavoro che il ventaglio di tutte le possibili emozioni si possa ricondurre ad un piccolo numero di emozioni di base.) Questo approccio incentrato sul processo di valutazione (appraisal) è ben esemplificato dal modello componenziale di Scherer.

La lista delle emozioni primarie proposta da Ekman si è ampliata nel corso del tempo. Inizialmente comprendeva paura, rabbia, gioia, disgusto, sorpresa e tristezza. Successivamente si è ampliata fino ad includere divertimento, rabbia, disprezzo, contentezza, disgusto, imbarazzo, eccitazione, paura, senso di colpa, orgoglio del risultato, sollievo, tristezza/sofferenza, soddisfazione, piacere sensoriale, vergogna. Tali emozioni, precisa Ekman, sarebbero più precisamente intendibili come famiglie di stati emotivi simili. Da questo elenco Ekman esclude l’interesse, in quanto ritiene si tratti più esattamente di uno stato cognitivo. Vengono esclusi anche l’amore parentale, l’odio, e la gelosia, in quanto si tratterebbe di schemi emozionali durevoli5 nel corso dei quali ci potrebbero essere diverse manifestazioni di emozioni primarie.

Tra parentesi, vale la pena ricordare che le principali emozioni di cui parla Ekman sono anche alla base del noto film della Pixar “Inside Out”, di cui non a caso Ekman è stato consulente scientifico.

LEGGI ANCHE: Inside Out e la psicologia della Rabbia

Fra le più significative somiglianze interculturali riscontrate nel corso dei suoi studi, Ekman cita la perdita di una persona significativa, che è in ogni cultura un antecedente tipico della manifestazione di tristezza. Il danno fisico o psicologico è invece un tipico antecedente della paura. Purtroppo è difficile accrescere l’evidenza disponibile in tale campo d’indagine, per via delle ambiguità intrinseche all’impiego interculturale dei questionari. Similmente è difficile impiegare lo strumento dei questionari per stabilire la specificità del vissuto di ciascuna singola emozione.

Sebbene le emozioni possano manifestarsi anche in assenza di altri individui, Ekman ritiene che il loro ruolo sia collegato anzitutto alle situazioni sociali. Secondo Ekman le emozioni hanno un ruolo cruciale nello sviluppo delle relazioni interpersonali (sia nell’infanzia che nel corteggiamento) e nella modulazione dell’aggressione. Egli cita il caso dei malati che a causa di paralisi non sono in grado di assumere espressioni facciali o che non sono in grado di gestire o riconoscere la modulazione del parlato collegata all’emotività: questi individui hanno gravi difficoltà di relazione interpersonale.

Le emozioni informano i nostri conspecifici a riguardo di ciò che sta accadendo, e tale informazione riguarda sia quello che succede dentro la persona, sia ciò che è avvenuto prima, sia le possibili conseguenze. Dall’espressione di disgusto, ad esempio, capiamo il tipo sensazione provata dalla persona che stiamo osservando, capiamo pure che essa ha appena incontrato qualcosa di sgradevole al gusto o all’olfatto, e che probabilmente se ne allontanerà nel minor tempo possibile.

Benché le espressioni facciali e vocali siano manifestazioni delle emozioni, possiamo avere sia il caso di emozioni che non vengono espresse, sia il caso di espressioni simulate che non corrispondono ad emozioni realmente provate. Vi sono comunque differenze tra le espressioni sincere e quelle falsificate, ed è dunque possibile distinguerle, soprattutto nel caso delle espressioni facciali.

Qui vale la pensa aprire una breve parentesi e ricordare che Ekman è l’autore del famoso libro “I volti della menzogna”. In questo libro Ekman si dilunga molto sulle varianti di sorriso che si possono assumere per dissimulare la menzogna. Vi sono molte emozioni che intervengono quando quando non si dice la verità, e vi sono molti modi per dissimularle. Ad esempio, è tipico di chi sta raccontando una menzogna la diminuzione dei gesti illustrativi (che accompagnano e rafforzano i significati) e l’aumento dei gesti incompleti o fuori posto. Frequenti in chi sta mentendo sono anche le tirate oratorie, o le pause improvvise che lasciano intravedere la mancanza di un ricordo reale. Tirando le somme, si può dire che i segni della menzogna sono molteplici, ma anche che sono spesso ambivalenti, possono avere significati diversi, e vanno interpretati sulla base del contesto e della persona particolare con cui si ha a che fare.

Tornando alle emozioni di base, Ekman ritiene che la loro valutazione da parte degli individui possa avvenire secondo due modalità differenti. Ci può essere un riconoscimento automatico, rapido, di tipo inconscio, ed un riconoscimento più lento e cognitivamente mediato. Ekman non è però in grado di individuare le strutture anatomiche esatte che sottostanno a tali processi.

Ekman riconosce che ciascuna emozione di base può essere collegata a specifiche attivazioni del sistema nervoso autonomo, in preparazione a comportamenti determinati quali la fuga e l’attacco. Questo punto di vista è in contrasto con la visione di chi pensa che le emozioni siano esclusivamente un costrutto sociale. Esistono infatti degli studi che mostrano come gli schemi di attivazione del sistema nervoso siano simili anche tra culture differenti.6

Questo breve riassunto della concezione delle emozioni secondo Ekman è proposto come approccio al lavoro più profondo sviluppato dalle neuroscienze affettive di Jaak Panksepp. Se si legge il lavoro di Ekman dopo aver studiato Panksepp, il lavoro di Ekman appare come un primo abbozzo di ciò che si rivelerà essere un affresco più vasto ed organico. Il lavoro di Panksepp, in maniera speculare, appare come una sorta di upgrade del lavoro di Ekman, riuscendo a spiegare diversi nessi causali che nel discorso di Ekman sono soltanto intuiti.

La visione di Panksepp, come quella di Ekman, si sviluppa attorno all’idea che vi siano alcune emozioni di base, ma è molto più approfondita da un punto di vista neuroscientifico e individua un diverso set di emozioni di base, che sono la paura, la rabbia, l’eccitazione sessuale, la cura, la pena della solitudine, il gioco, e la ricerca/voglia di fare. Chi scrive ha pubblicato un libro divulgativo sulle emozioni di base secondo Panksepp, di cui si possono leggere le prime pagine online.

1Il riferimento principale per la stesura di questo articolo è: Paul Ekman , Basic Emotions, Capitolo tre in T. Dalgleish and M. Power (Eds.). Handbook of Cognition and Emotion. Sussex, U.K.: John Wiley & Sons, Ltd., 1999.

2Le espressioni nella fotografia sono state impiegate in questo studio: Ekman, Paul, E. Richard Sorenson, and Wallace V. Friesen. “Pan-cultural elements in facial displays of emotion.” Science 164.3875 (1969): 86-88.

3All’inizio della sua carriera Ekman adottava una concezione secondo cui le emozioni sarebbero descrivibili con due assi basati sui concetti attivo-passivo e piacevole-spiacevole. Successivamente, tale concezione ha lasciato posto all’idea che vi siano alcune emozioni di base qualitativamente ben distinte fra loro.

4 L’espressione “emozioni di base” può anche servire per distinguere le emozioni primarie dalle combinazioni che ne derivano (emozioni secondarie).

5Nota che vi sono teorici, come Izard e Panksepp, secondo i quali le emozioni sono assimilabili ad un processo continuo. Non a caso Panksepp inserisce la cura nel novero delle emozioni di base.

6Va comunque segnalato che non a tutte le emozioni è chiaramente associata una specifica attivazione del sistema nervoso autonomo, come ad esempio nel caso di sorpresa e godimento. Oltre all’attivazione del sistema nervoso autonomo, Ekman ipotizza anche un’attivazione del sistema nervoso centrale, in modo da poter rendere conto delle specificità di ciascuna emozione per quanto riguarda le dinamiche di memoria, immaginazione, e aspettativa.